Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7503 del 31/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7503 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 5456-2008 proposto da:
SOCIETA’ INIZIATIVE TURISTICHE S.I.T. di PIEROTTI
MARCO & C. s.a.s. (gia’ Societa’ Iniziative Turistiche
S.I.T. di Pierotti Guido & C. s.a.s.) in persona
dell’Accomandatario

Dott.

Marco

Pierotti,

P.IVA

00185310547, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
RODI 32, presso lo studio dell’avvocato FLAMMINII
MINUTO ALESSANDRA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato PIERI PIERO;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 31/03/2014

VAGNARELLI MARGHERITA, titolare dell’omonima Azienda
Agraria, P.IVA 01683110546, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA RODI 32, presso lo studio dell’avvocato
CHIOCCI MARTINO UMBERTO, rappresentata e difesa
dall’avvocato MONACELLI MARIO;
controricorrente

avverso la sentenza n. 284/2007 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 18/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito

l’Avvocato

PIERO

PIERI

difensore

della

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

rt

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 3.7.1996 Margherita Vignarelli agiva innanzi al
Tribunale di Perugia in negatoria servitutis contro la S.I.T. — Società
Iniziative Turistiche, di Guido Pierotti e C. s.a.s., chiedendo che quest’ultima

albergo, in un laghetto di sua proprietà. Chiedeva, inoltre, il risarcimento dei
danni per l’illegittimo sversamento delle acque avvenuto nel corso degli anni.
Nel resistere in giudizio la S.I.T. eccepiva l’usucapione della servitù. Nel
corso del giudizio il difensore della società convenuta dichiarava la morte del
socio accomandatario e chiedeva che fosse dichiarata l’interruzione del
processo. Tale istanza era respinta dal giudice, che con sentenza del 15.1.2003
accoglieva la domanda, inclusa quella accessoria di danni. In particolare, il
Tribunale perugino rilevava che la stessa S.I.T. aveva dedotto di aver
esercitato la servitù dal 1969 al 1984 senza che sul fondo di fatto asservito
esistessero opere a ciò deputate, e che, sospesa da tale ultima data l’attività
dell’albergo, lo scarico era ripreso nel 1991 tramite un depuratore, sicché solo
da tale momento, infraventennale rispetto all’introduzione della causa, la
servitù poteva ritenersi apparente.
Adita dalla S.I.T., la Corte d’appello di Perugia accoglieva l’impugnazione
limitatamente ai termine fino a cui calcolare il risarcimento annuo stabilito dal
giudice di prime cure.
Riteneva la Corte territoriale, quanto al motivo d’appello con cui la S.I.T.
aveva lamentato la mancata interruzione del giudizio di primo grado, che la
morte del rappresentante legale è causa d’interruzione nel solo caso di

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fosse condannata a cessare l’immissione di acque reflue, provenienti da un

rappresentanza di soggetti incapaci, non anche nell’ipotesi di rappresentanza
organica di enti dotati di una propria autonoma soggettività.
La Corte umbra osservava in merito all’eccezione di usucapione della
servitù, che nei due periodi di tempo anzi detti — dal 1969 al 1984 e dal 1991

l’utilità tratta che per il peso imposto. Nel primo periodo l’utilità era consistita
nel far scorrere le acque reflue attraverso il fondo gravato lungo una fossetta,
per addurle ad un torrente di proprietà demaniale; nel secondo le acque erano
state non solo addotte attraverso il fondo di proprietà Vagnarelli, ma anche
smaltite in un laghetto irriguo. Tale considerazione, secondo la Corte
distrettuale, aveva carattere assorbente rispetto ad ogni altra questione posta
dall’appellante, in ordine alla permanenza del possesso della servitù nel
periodo compreso fra il 1984 ed il 1991 e all’apparenza della servitù stessa.
Infine, quanto al motivo di gravame col quale la società appellante aveva
censurato la condanna ai danni, non avendo il giudice di primo grado valutato
l’esistenza o non della colpa, atteso che la S.I.T. aveva installato un apposito
depuratore, la Corte distrettuale riteneva che il motivo dovesse essere
respinto, giacché l’elemento soggettivo doveva essere riferito all’illecita
immissione delle acque, attività, questa, sicuramente voluta dalla società
appellante.
Per la cassazione di tale sentenza la S.I.T. — Società Iniziative Turistiche,
di Marco Pierotti e C. s.a.s., propone ricorso affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso Margherita Vagnarelli.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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in poi — erano state esercitate due servitù da considerarsi diverse sia per

1. – Col primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza
e/o del procedimento per mancata dichiarazione d’interruzione del giudizio, in
relazione all’art. 306, n. 4 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che in una società di persone, come tale sfornita

l’organo cui è attribuita la rappresentanza legale e il titolare di esso, di guisa
che “soggetto di imputazione di fattispecie giuridiche non è in tal caso l’ente
(…), nella cui sfera giuridica si producono i soli effetti dalle stesse derivanti,
ma il c.d. rappresentante” (così, testualmente, a pag. 7 del ricorso). La morte
del quale, di conseguenza, costituirebbe evento interruttivo del processo, tanto
più considerando che nel caso di specie Guido Pierotti era l’unico socio
accomandatario, sicché non vi erano altri soggetti che potessero stare in
giudizio in nome della società.
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis al ricorso: “nell’ipotesi di morte del legale
rappresentante, unico socio accomandatario, di società in accomandata
semplice, successivamente alla sua costituzione in giudizio: a seguito della
dichiarazione di tale evento in udienza da parte del difensore della s.a.s. e dal
momento di tale dichiarazione, il processo è interrotto ex art. 300 c.p.c. (salvo
che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell’art. 299
c.p.c.) ed il giudice è tenuto a dichiarare tale interruzione, onde consentire la
costituzione del nuovo legale rappresentante della società (volontaria o a
seguito di citazione in riassunzione ad opera dell’altra parte)?”.
2. – Col secondo motivo è dedotta, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.,
l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sulla
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di personalità giuridica, non vi è rapporto d’immedesimazione organica tra

non maturazione dei vent’anni necessari per l’acquisto della servitù per
usucapione.
Si sostiene che le considerazioni svolte nel merito dalla Corte d’appello
non hanno carattere assorbente rispetto ai motivi di gravame svolti circa il

ventennio necessario per l’usucapione era già scaduto, per cui quanto
avvenuto da tale momento in poi non ha alcuna idoneità a impedire l’acquisto
della servitù. Il fatto controverso e decisivo su cui la Corte perugina avrebbe
dovuto pronunciarsi era, in altri termini, l’intervenuto acquisto della servitù
per usucapione nei vent’anni intercorrenti fra il 1969 ed il 1989.
3. – Il terzo mezzo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
1158 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.
Fermo quanto dedotto nel secondo motivo, la S.I.T. sostiene di aver
eccepito l’usucapione di una servitù di “scolo” delle acque, le quali
defluirebbero “naturalmente”, attraverso una serie di opere visibili (una grossa
vasca di raccolta, tubature a vista, tomboli di cemento e scolo nel campo di
proprietà Vagnarelli). La destinazione finale delle acque reflue, e cioè il loro
scarico nel torrente Saonda ovvero la loro stagnazione nel laghetto esistente
nel fondo servente, non assumerebbe secondo parte ricorrente alcun rilievo in
giudizio, anche perché, al contrario di quanto compreso dalla Corte
territoriale, la destinazione ultima delle acque sarebbe sempre stata il predetto
torrente e non il laghetto, il cui “troppo pieno” defluirebbe in detto corso
d’acqua.
Segue il quesito: “nell’ipotesi in cui, durante l’esercizio del possesso
corrispondente all’esercizio di una servitù di scolo, nel periodo di tempo
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rigetto dell’eccezione di usucapione della servitù. Nel 1991, infatti, il

necessario ad usucapire la relativa servitù, avente ad oggetto lo scolo delle
acque reflue provenienti dal fondo dominante sito a monte nel fondo servente
sito a valle, lo scolo dei reflui si verifichi, prima, in un fosso di scolo a vista
con deflusso nel torrente limitrofo al fondo servente e, successivamente, in un

defluente nel torrente limitrofo al fondo servente, si configurano diverse
modalità di esercizio della servitù, con diversa utilità e diverso peso della
stessa, tali da impedire il maturare del termine ventennale per l’acquisto per
usucapione della servitù o, viceversa, alcuna diversa utilità di esercizio a tal
fine rilevante risulta configurabile?”.
4. – Con il quarto motivo parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa
applicazione deii – art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto, ai fini del risarcimento
del danno, che l’illecito sia consistito nella condotta piuttosto che nell’evento,
a prescindere dal suo carattere contra ius, e non si sarebbe pronunciata sulla
“eccezione” di carenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, l’uno
e l’altra esclusi dal fatto che la S.I.T. si era fatta carico d’installare un
depuratore biologico, certificato e posto in opera previo rilascio di
concessione edilizia.
La censura mette capo al seguente quesito: “nell’ipotesi in cui il
proprietario di un fondo abbia immesso acque reflue nel fondo altrui, a tal fine
installando un depuratore biologico, certificato dal costruttore ed installato in
loco previo rilascio di concessione edilizia, ottenuta a seguito di deposito di
relazione illustrativa e certificativa del costruttore, al fine di immettere solo
acque depurate e disinfettate, venendo comunque a cagionare un danno al
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invaso realizzato dal proprietario del fondo servente, con “troppo pieno”

fondo altrui, elemento soggettivo, ai fini dell’applicazione dell’art. 2043 c.c.,
andrà riferito alla condotta o all’evento dannoso e, nel primo caso, alla mera
condotta in quanto semplicemente voluta o in quanto contra ius?”.
5. – Col quinto motivo si espone la violazione e/o falsa applicazione degli

Avendo accolto uno dei motivi d’appello, la Corte territoriale avrebbe
dovuto compensare quanto meno parzialmente le spese di giudizio.
Nei termini che seguono è il quesito: “nell’ipotesi in cui, proposti più
motivi d’appello, sia accolto uno di essi, può il giudice porre le spese
interamente a carico della parte appellante o è invece tenuto ad una
compensazione parziale delle stesse e, nel primo caso, può disporre in tal
senso senza addurre alcuna motivazione al riguardo?”.
6. – Il primo motivo disattende nozioni sostantive e processuali di carattere
basico ed è, pertanto, manifestamente infondato.
L’art. 299 e-.p.c. si riferisce al rappresentante legale non a quello
volontario. I “rappresentanti legali” la cui morte, per il disposto degli artt. 299
e 300 c.p.c., è causa di interruzione del processo, sono soltanto coloro che
stanno in giudizio in luogo degli incapaci, non anche le persone che svolgono
la funzione di organi degli enti dotati di una propria autonoma soggettività
(Cass. n. 15735/04; in senso conforme, Cass. nn. 8584/94 e 2148/83 con
riferimento a società munite di personalità giuridica). In questo come in ogni
altro caso di rappresentanza volontaria, il processo non s’interrompe per la
morte del rappresentante, ché il soggetto interessato come ha il potere ha
anche l’onere di provvedere alla relativa sostituzione.

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artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.

Le coordinate giuridiche di tale principio non mutano nel caso di
rappresentanza organica di società di persone, che è pur sempre volontaria e
non già legale. Il fatto che le società di persone non siano munite di
personalità giuridica non osta minimamente a che gli effetti giuridici

quella della società, che è dotata di un patrimonio autonomo. Né è lecito
supporre (come mostra, invece, di opinare parte ricorrente) che nel caso di
rappresentanza di società di persone si assista ad una scissione fra la titolarità
delle situazioni giuridiche, attribuita al rappresentante, e la soggezione ai
relativi effetti, imputati alla società, atteso che quest’ultima è soggetto di
diritto pieno iure, distinto dai soci che la compongono o la rappresentano
(come del resto dimostra l’art. 2659 c.c., dettato in tema di nota di
trascrizione).
Del pari irrilevante è la circostanza che, trattandosi di società in
accomandita semplice, il rappresentante deceduto fosse in ipotesi il solo socio
accomandatario. Tale evento costituisce causa di scioglimento della società se
non sia ricostituita la categoria degli accomandatari entro il termine di cui al
primo comma dell’art. 2332 c.c., ma non equivale certo estinzione della
società stessa, che si verifica solo una volta che sia stato approvato il bilancio
finale di liquidazione (art. 2312 c.c., applicabile alle società in accomandita
semplice per effetto del rinvio di cui all’art. 2315 c.c.).
7. – Il secondo ed il terzo mezzo d’annullamento, da esaminare
congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
La Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da vizi logicogiuridici, ha accertato che la servitù oggetto della proposta causa negatoria è
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dell’attività processuale siano deviati dalla sfera del socio rappresentante a

da ritenersi qualitativamente altra, per diversità dell’utilitas e del correlativo
peso, rispetto a quella pregressa esercitata in favore del fondo di proprietà
S.I.T. dal 1969 fino al 1984, allorché cessò l’attività dell’albergo (che poi
riprese nel 1991). Nel primo periodo, afferma la Corte perugina, la servitù

attraverso una fossetta di scolo a vista, che attraversava il fondo di proprietà
Vagnarelli per immettersi poi nel torrente (demaniale) Saonda. Nel secondo,
che inizia nel 1991 e che è oggetto di causa, le acque non sono state soltanto
addotte attraverso il fondo Vagnarelli con un diverso percorso, ma anche
smaltite nel laghetto irriguo.
Trattandosi (1.3 due servitù che la Corte territoriale ha giudicato non
sovrapponibili fra loro, la tesi di parte ricorrente, secondo cui i giudici
d’appello avrebbero mancato di rilevare che l’usucapione sarebbe maturata
già nel 1989, essendovi continuità fra la prima e la seconda situazione di
asservimento, altera il fatto accertato nella sentenza impugnata e, senza
riuscire a demolirne il presupposto logico (cioè la diversità di utilitas e di
peso), lo sostituisce dando ai fatti di causa una lettura diversa e di parte. Ne
residua un’impropria conversione della censura in una critica di puro merito,
che sollecita accertamenti di fatto incompatibili con il giudizio di legittimità.
8. – Anche il quarto motivo è infondato.
In disparte la più che dubbia ammissibilità del quesito, incentrato su aspetti
della ricostruzione fattuale finalizzati ad un interrogativo giuridicamente
incongruo (se cioè la realizzazione di un depuratore perfettamente a norma
possa essere compatibile con l’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano),
deve rilevarsi che la condanna al risarcimento dei danni deriva non dalla
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consisteva nell’addurre le acque reflue provenienti dall’esercizio alberghiero

qualità delle acque reflue sversate, ma dal fatto che tale situazione ha creato
un illegittimo asservimento di un fondo ad un altro in assenza di un titolo
costitutivo della servitù corrispondente. E poiché tale asservimento è stato
voluto dalla S.I.T. (come afferma la sentenza impugnata a pag. 7), ed è del

avuto ragione di sorgere e di durare, è fuorviante disquisire della legittimità
amministrativa della condotta della S.I.T. per dedurre, paralogicamente, la
non contrarietà al diritto dell’evento che essa ha prodotto.
9. – Infine, anche il quinto motivo non ha pregio.
La soccombenza si misura in base all’esito finale di accoglimento o di
rigetto della domanda, e non a stregua dei motivi di gravame, formulati
avverso la sentenza di primo grado, che il giudice d’appello abbia ritenuto
fondati. Ciò a parte, sebbene secondo talune pronunce di questa Corte
Suprema anche l’accoglimento parziale della domanda possa configurare una
fattispecie di soccombenza reciproca ai fini dell’applicazione dell’art. 92, 2°
comma c.p.c. (cfr. Cass. nn. 22381/09 e 21684/13), è dirimente osservare che
nel caso di soccombenza reciproca è rimesso all’apprezzamento del giudice di
merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere se e in qual misura
compensare le spese (cfr., in motivazione, Cass. n. 13858/13).
10. – In conclusione il ricorso va respinto.
11. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza
della parte ricorrente.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che
liquida in E 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi.

resto impresso nella stessa esistenza della lite, che diversamente non avrebbe

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile

della Corte Suprema di Cassazione, il 9.1.2014.

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