Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7501 del 31/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7501 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

sociali di immobile
– Clausola
compromissoria

sul ricorso (iscritto al N.R.G.8395/08 ) proposto da:
BARTOLOMEI GIOVANNI, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
dagli Avv.ti Ercole e Monica Boccardi del foro di Rimini e dall’Avv.to Marina Petronio del foro di
Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Cola di Rienzo n.
8;
– ricorrente –

contro
Comm. MERCAMTI VALENTINO, quale procuratore speciale di Fernanda Bartolomei,
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giovanni Gatteschi e Marcello Catacchini del foro di Arezzo e
dall’Avv.to Antonio Rizzo del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta in calce al

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Data pubblicazione: 31/03/2014

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Toscana
n. 10;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1126 depositata il 25 luglio 2007.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to Marcello Catacchini, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Francesca Ceroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28 novembre 2001 Fernanda BARTOLOMEI evocava, dinanzi al
Tribunale di Arezzo — Sezione distaccata di Sansepolcro, Giovanni BARTOLOMEI esponendo di
avere concluso con quest’ultimo contratto preliminare il 9.8.2000, con il quale il convenuto,
promissario acquirente, si era impegnato ad acquistare da lei la sua quota, pari al 50% del
capitale sociale, della società Vittoria s.a.s. — della quale l’attrice era socia accomandante ed il
convenuto socio accomandatario — per il prezzo di £. 75.000.000, nonché l’immobile di via Buitoni
nn. 57-59, in cui veniva esercitata l’attività dell’azienda societaria, per il prezzo di £. 425.000.000,
da pagarsi in rate mensili di £. 5.000.000 ciascuna dal 15.9.2000, previsto il termine essenziale, al
30.9.2001 per la stipula del definitivo, ormai scaduto; aggiungeva che nello stesso preliminare le
parti avevano concordato che in caso di mancato pagamento del prezzo entro il termine pattuito,
sarebbe stato Giovanni Bartolomei a dovere cedere alla socia la sua quota nella società, per il
medesimo prezzo di £. 75.000.000, decurtato di eventuali passività ed aumentato del valore delle
attrezzature o dotazioni positive che nel frattempo fossero state acquistate dalla società; tanto
premesso, chiedeva pronunciarsi la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del

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Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 dicembre 2013 dal

convenuto e per l’effetto disporsi il trasferimento a proprio favore, alle predette condizioni, della
quota del convenuto.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto sotto vari profili, il giudice adito,
dichiarava risolto il contratto preliminare di cui alla scrittura del 9.8.2000 e, per contro, dichiarava

propria quota sociale.
In virtù di rituale appello interposto da Giovanni BARTOLOMEI, con il quale insisteva
nell’eccezione di improponibilità della domanda per essere la controversia devoluta al giudizio di
un arbitro in base alla clausola compromissoria di cui all’art. 12 del contratto sociale, di
indeterminatezza del prezzo, di sussistenza di un collegamento negoziale fra il preliminare con
asserito contratto di locazione, la Corte di appello di Firenze, nella resistenza dell’appellata, che
proponeva appello incidentale, rigettava l’appello principale e in parziale accoglimento di quello
incidentale, disponeva il trasferimento delle quote della Vittoria s.a.s. di proprietà dell’appellante a
favore dell’appellata, con contestuale versamento del prezzo, confermata per il resto la decisione
di primo grado.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che la clausola di cui all’art.
12 del contratto sociale atteneva esclusivamente alle controversie inerenti al rapporto societario
(fra soci in quanto soci e fra soci e la società), nelle quali la causa petendi era direttamente
ricollegabile al relativo contratto, mentre nella specie veniva richiesta la risoluzione di un diverso
contratto, ossia un contratto preliminare di vendita che con l’esecuzione degli obblighi derivanti
dal contratto di società non aveva alcun legame, irrilevante che l’esecuzione del preliminare
avrebbe determinato l’estinzione della società per il venire meno della pluralità dei soci.
Determinato doveva ritenersi anche il prezzo, avendo le parti posto a carico dell’acquirente gli
oneri fiscali, incluso l’INVIM, che aveva diversa finalità. Né configurava un autonomo contratto di
locazione, di durata minima di sei anni, la pattuzione nella promessa di vendita della

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il convenuto obbligato a cedere a Fernanda BARTOLOMEI, per il corrispettivo di £. 75.000.000, la

corresponsione mensile da parte del promissario acquirente di una somma mensile, a scomputo
del prezzo di vendita, corrispettivo per il godimento del bene, condividendo la corte distrettuale
l’inquadramento della previsione fatta dal primo giudice secondo il quale si trattava di diritto di
ritenzione, per il caso di inadempimento del promissario acquirente delle mensilità dallo stesso

in funzione del godimento dell’immobile da parte del ricorrente.
Infine riteneva di accogliere l’appello incidentale relativamente alla pronuncia meramente
dichiarativa del riconoscimento del diritto della appellata al trasferimento delle quote sociali
dell’appellante, di fatto inutile, in quanto richiedeva una successiva pronuncia ex art. 2932 c.c. in
caso di inottemperanza.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione
Giovanni BARTOLOMEI, articolato su quattro motivi, al quale ha replicato con controricorso
Valentino MERCATI, in qualità di procuratore speciale della Bartolomei, illustrato anche da
memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente occorre rilevare che non può essere condiviso l’assunto di parte
controricorrente, di cui alla memoria illustrativa (pagine 4 e 5), secondo il quale avendo il
ricorrente ritirato la somma per l’acquisto delle quote sociali offerta in forma reale dalla
BARTOLOMEI, a seguito dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza relativa alla
validità dell’offerta, la circostanza comporterebbe una manifestazione di acquiescenza alla
sentenza impugnata, con conseguente inammissibilità del ricorso. E’ al riguardo sufficiente
rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’acquiescenza tacita, prevista dall’art.
329 c.p.c., può avere efficacia preclusiva solo rispetto a un’impugnazione non ancora proposta,
mentre quando l’impugnazione sia stata già proposta, è possibile solo una rinuncia espressa, da

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pagate a scomputo del prezzo e quindi di una penale, neanche eccessivamente gravosa essendo

compiersi nelle forme e con le modalità prescritte dalla legge (Cass. 14 giugno 1995 n. 6698;
Cass. 27 gennaio 1998 n. 801; Cass. SS.UU. 26 agosto 1998 n. 8453; più di recente: Cass. 10
febbraio 2005 n. 2704 e Cass. 23 aprile 2008 n. 10578). Sicché nel caso in esame il
sopravvenuto ritiro delle somme attribuite al cedente quale corrispettivo della cessione di quote

prevista dagli art. 1206 e ss. c.c. – non può essere interpretata come tacita rinuncia alla già
proposta impugnazione contro il provvedimento che quel trasferimento ha disposto.

Sempre in via preliminare occorre rilevare che non deve tenersi conto della
comunicazione fatta pervenire dal ricorrente a mezzo fax 1’11.12.2013, che oltre a provenire dalla
parte personalmente e ad essere tardiva rispetto ai termini di cui all’art. 378 c.p.c., riferisce di
circostanze ininfluenti, per quanto prima esposto.

Venendo all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa
interpretazione delle norme concernenti l’interpretazione dei contratti (art. 1362 e ss c.c.)
nell’analisi della clausola arbitrale, oltre a motivazione carente ed incongrua, con violazione degli
artt. 806 e ss. c.p.c. per non avere ritenuto l’inammissibilità della domanda in sede di
giurisdizione ordinaria siccome riservata ad arbitro. Prosegue il ricorrente lamentando la
violazione dell’art. 1 del D.L.vo n. 5 del 2003 per non avere ritenuto che la controversia rientri
nella materia societaria sì da comportare l’inammissibilità della domanda in sede di giurisdizione
ordinaria, essendo la controversia riservata all’arbitro, come previsto dall’art. 12 dell’atto
costitutivo della società. Del resto il contratto preliminare — ad avviso del ricorrente — non può
essere considerato del tutto estraneo alla società essendo diretto a regolamentare l’uscita di uno
o dell’altro dei soci, coinvolgendo anche i rapporti societari che vengono estinti. L’art. 808 quater
c.p.c. prevede, inoltre, che nel dubbio la convenzione di arbitrato si interpreta nel senso che la

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determinato dalla sentenza impugnata — peraltro a seguito della attivazione della procedura

competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto e dal rapporto
al quale si riferisce.
A conclusioni di detta illustrazione il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “se la
controversia, fra soci, relativa alla cessione delle quote con contratto autonomo — come in atti —

comprese, nel dubbio, fra quelle regolate dalla clausola arbitrale di cui è causa, e se la sentenza
impugnata abbia quindi violato l’art. 808 quater c.p.c.”.
In secondo luogo l’art. 1 D.L.vo n. 5 del 2003 comprende nella materia societaria anche le
controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente
ad oggetto le partecipazioni sociali ed i diritti inerenti e a corollario viene posto il seguente quesito
di diritto: “se la controversia fra i soci, relativa alla cessione fra loro di quote sociali (come quella
di cui è causa)sia da classificare, ai sensi dell’art. 1 D.L.vo 17.1.2003 n. 5 fra quelle che rientrano
nell’ambito delle controversie comprese nella materia societaria e, quindi, siano soggette alla
clausola arbitrale convenuta fra i soci per regolare le liti fra di loro; se, quindi, la sentenza
impugnata, che ha ritenuto esclusa dall’artitro la controversa in oggetto, abbia violato, per
omissione o errata interpretazione, l’art. 1 del detto D.L.vo 5/2003″.
A corollario della doglianza relativa alla violazione dei criteri di interpretazione dei contratti (artt.
1362, 1365, 1366, 1371 c.c.) è formulato il seguente quesito: se la clausola compromissoria
inserita in un contratto di società, qualora non preveda espressamente che l’arbitrato sia riservato
a controversie strettamente legate a questioni sociali, possa essere applicabile anche a tutti gli
altri rapporti fra i soci, siano essi rapporti totalmente estranei all’oggetto sociale, o ad esso
collegati in via più generica come nel caso in esame, e se la contraria interpretazione abbia
violato l’art. 1362 c.c.”.
Il motivo non merita ingresso.

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rientri nell’ambito delle controversie che — ai sensi dell’art. 808 quater c.p.c. — debbano essere

Questa Corte ha già avuto modo di escludere che, tramite la clausola compromissoria contenuta
in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli
arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto
principale, cui accede la predetta clausola (Cass. 11 aprile 2001 n. 5371; la clausola, invece,

contenuto negoziale originario, ipotesi qui neppure prospettata). Correttamente, pertanto, la Corte
territoriale ha ritenuto che le controversie nascenti dal contratto preliminare del 9.8.2000 non
potessero essere devolute agli arbitri, in forza di una clausola che non era contenuta in quel
contratto, e che in alcun modo richiamava il contratto sociale e la clausola compromissoria nello
stesso contenuta.
La clausola n. 12 del contratto sociale nel prevedere la devoluzione ad un collegio arbitrale di
“ogni controversia fra i soci”, deve, perciò, essere interpretata, in mancanza di espressa volontà
contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le controversie inerenti al
rapporto societario e relative a pretese aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto
sociale (Cass 20 febbraio 199, n. 1559; Cass. 2 febbraio 2001 n. 1496; Cass. 22 dicembre 2005
n. 28485; Cass. 20 giugno 2011 n. 13531).
Nella specie invece il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si
innesta l’azione proposta, ma non la causa pretendi della stessa, perché l’inadempimento al
preliminare di compravendita denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo
ricollegabile alla risoluzione dello stesso, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli
obblighi derivanti dal contratto di società, al quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale
sottoscritta dalle medesime parti, peraltro in epoca antecedente alla stipula del preliminare in
contesa.
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione, mancata applicazione o falsa
interpretazione degli artt. 1325, 1343, 1346 c.c., nonché dell’art. 1418 e ss. c.c. relativi alla nullità

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potrebbe estendersi alle controversie insorte in relazione alle modificazioni apportate dalle parti al

del contratto, anche in relazione all’ari. 1470 c.c., oltre a violazione, mancata applicazione o falsa
interpretazione dell’ari. 1419 c.c. relativo alla nullità di singole clausole, con violazione, mancata
applicazione o falsa interpretazione degli artt. 4 D.P.R. 26.1.1972 n. 643, in materia di imposta
INVIM, e 2,3,6 D.P.R. 22.12.1986 n. 917, in materia di imposta IRPEF, anche per vizio di

delle imposte e per indeterminatezza del prezzo. Invero la corte territoriale nel ritenere separate
le voci, per il prezzo e per oneri fiscali, ha confuso il prezzo netto con il corrispettivo, al quale si
deve fare riferimento nella sua interessa. Aggiunge il ricorrente che la corte di merito avrebbe
omesso di prendere in considerazione l’argomento relativo alla clausola essenziale e pone il
seguente quesito di diritto: “se la clausola di accollo delle imposte al compratore sia da ritenere
essenziale ai sensi e fini dell’art. 1419 c.c. e se la sua nullità travolga l’intero contratto”.
Erroneamente la corte di merito ha ritenuto che l’accollo dell’INVIM non fa parte del prezzo e
perciò formula il seguente quesito di diritto: “se la pattuizione, per la vendita, di un ammontare in
denaro, con l’aggiunta dell’accollo a carico del compratore delle imposte INVIM e IRPEF,
configuri l’accollo come parte del corrispettivo — o prezzo — della vendita e se, essendo
indeterminabile l’ammontare delle imposte, sia indeterminabile — di conseguenza — anche il
prezzo della vendita, derivandone la nullità del contratto ai sensi degli artt. 1418, 1325, 1343,
1346 c.c.”.

Ulteriori quesiti di diritto sono: “- se il generico ed indeterminato accollo delle imposte INVIM ed
IRPEF, all’acquirente di un bene, a far parte del corrispettivo, come nel caso di specie, comporti
la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c. per indeterminatezza (o indeterminabilità) del
prezzo, e per mancanza o illeicità della causa, in relazione agli artt. 1325, 1343, 1346 e 1470 c.c.
e se di conseguenza, la sentenza impugnata abbia violato i menzionati articoli del codice civile; se la clausola relativa all’accollo delle imposte a carico dell’acquirente sia nulla per violazione
dell’art. 4 D.P.R. 26.10.1972 n. 643 (e successive modifiche) sull’imposta INVIM, secondo il

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motivazione, per avere il ricorrente dedotto la nullità del contratto per inammissibilità dell’accollo

quale l’imposta è dovuta dall’alienante a titolo oneroso e se, trattandosi di una norma di ordine
pubblico, detta nullità sia disposta dall’art. 1418 c.c.; – se la clausola relativa all’accollo delle
imposte a carico dell’acquirente sia nulla per violazione degli artt. 2, 3 e 6 D.P.R. 22.12.1986 n.
917 (e successive modificazioni) sull’imposta IRPEF, secondo il quale l’imposta è personale e

pubblico, detta nullità sia disposta dall’art. 1418 c.c.; – se in tal caso l’intero contratto sia nullo, ai
sensi dell’art. 1419 c.c. perché la clausola di accollo è essenziale e se, ignorandolo, la sentenza
abbia violato la norma”.

La censura è fondata e va, pertanto, accolta.

La sentenza impugnata ha escluso che il secondo motivo di appello fosse da riferire
all’ammissibilità di trasferire al compratore l’obbligo di pagare l’INVIM, pacificamente dovuta dal
venditore, limitando l’esame alla questione della determinatezza o meno del prezzo, ritenendo le
due voci, prezzo di vendita ed obblighi fiscali da esso derivanti operare, nella volontà delle parti,
su piani diversi.

Di converso, la ricostruzione della vicenda e della sussistenza di tale importante circostanza
(i.n.v.i.m. quale parte del corrispettivo o non), data per scontata nella sentenza nei termini di cui
si è detto, ma recisamente contestata nel ricorso e prima ancora nell’atto di appello (esaminabile
in questa sede in considerazione della natura del vizio denunciato), risulta inficiata dal non
appropriato inquadramento della fattispecie nell’ambito delle patologie del negozio e della natura
dell’accertamento giudiziale conseguente.

Premesso che nell’atto di appello (pag. 9) il BARTOLOMEI ha denunciato la nullità del contratto
sotto ‘diversi profili’, precisando l’indisponibilità delle norme istitutive dell’i.n.v.i.m., posta dalla
legge a carico dell’alienante a titolo oneroso, per cui non è condivisibile l’assunto della Corte di

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dovuta dal contribuente sul suo redditto complessivo e se, trattandosi di norma di ordine

merito secondo il quale non sarebbe stata eccepita la nullità del preliminare per accollo delle
imposte, nel caso di specie trova applicazione l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. 4
settembre 2012 n. 14828), che componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno enunciato il
principio, cui va data continuità anche nella presente sede, secondo il quale “Il giudice di merito

soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la
domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea
al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata
proposta la relativa domanda. Nell’uno e nell’altro caso dovrà disporre, se richiesto, le
restituzioni.”

Ciò posto, va precisato che l’i.n.v.i.m., istituita con D.P.R. n. 643 del 1972, è stata applicata dal 1
gennaio 1973 al 31 dicembre 2001, soppressa contestualmente all’entrata in vigore dell’I.C.I.
(D.Igvo n. 333 del 1992), e sostituita dall’I.R.P.E.F. a carico del venditore, stabilendosi tuttavia
l’obbligo del pagamento del’incremento di valore maturato sino al 31 dicembre 1992 fino al
dicembre 2003, poi definitivamente abolita dal 1 gennaio 2002, nella Finanziaria 2002, pertanto
la sua previsione nel contratto de quo, stipulato il 9.8.2000, ha una sua valenza ai fini
dell’accertamento della validità dell’accordo.

Presupposto dell’i.n.v.i.m. dovuta dalle persone fisiche in caso di trasferimento di un immobile
era la plusvalenza patrimoniale costituita dalla differenza fra il valore del bene all’atto della sua
alienazione a titolo oneroso o del suo acquisto a titolo gratuito, anche per causa di morte, o per
usucapione, ed il minor valore, maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed
incrementative, che il cespite aveva alla data del suo anteriore acquisto (cfr.: D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 643, art. 6).

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ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non

Soggetti passivi dell’imposta, in relazione alla capacità contributiva oggettivamente evidenziata
dall’incremento del valore dell’immobile, era l’alienante, nel caso di cessione a titolo oneroso, e
l’acquirente, per l’acquisto a titolo gratuito o per usucapione (art. 4, cit.

D.P.R.), in quanto

beneficiari della plusvalenza, e il D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27, poneva espressamente,

generale di contribuzione economica e la capacità contributiva dei singoli ed in sintonia con una
linea di tendenza del diritto tributario che a tale principio si ricollegava, il divieto di traslazione
dell’imposta e la nullità di ogni patto diretto a trasferire a terzi l’onere impositivo (cfr.: Cass. 5
gennaio 1985 n. 5).

Tale nullità nella sua formulazione omnicomprensiva è stata da sempre ritenuta non consentire di
ipotizzare alcuna limitazione al sancito divieto di trasferimento e di fronte alla precisa
individuazione del soggetto passivo d’imposta la validità della pretesa del venditore di sostituire
altri a sè nella posizione debitoria non potesse essere esclusa non solo nei confronti
dell’amministrazione finanziaria, rispetto alla quale la riconducibilità di un eventuale accordo
all’istituto dell’accollo presupporrebbe altresì l’adesione del creditore, ma anche nei rapporti tra le
parti contraenti, quale che fosse lo strumento negoziale direttamente azionato al fine della
traslazione dell’imposta, senza che rilevasse la finalità pratica che a suo mezzo le parti
intendevano conseguire (cfr.: Cass. 10 maggio 1994 n. 4556; Cass. 14 settembre 1991 n. 9608),
posto che in nessun caso detta finalità avrebbe potuto incidere sul presupposto soggettivo del
tributo rappresentato dal godimento della plusvalenza conseguita dall’immobile successivamente
al suo anteriore acquisto.

Da quanto sopra esposto deriva l’illogicità e la erroneità della proposizione fondamentale, sulla
quale essenzialmente fa leva l’apparato argomentativo della sentenza impugnata, secondo la
quale la denuncia dell’appellante ed il conseguente accertamento non poteva avere ad oggetto la

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recependo il principio dettato dall’ari 53 Cost., in ordine alla necessaria correlazione tra l’obbligo

traslazione dell’i.n.v.i.m., che a termini della clausola contrattuale controversa avrebbe dovuto far
carico alla parte acquirente, trattandosi invece di un obbligo tributario proprio della parte cedente.
Il richiamo ad una diversa interpretazione del motivo di appello (il secondo) non supera la
questione sollevata di nullità della pattuizione, peraltro rilevabile anche ex officio (SS.UU. del

valore del bene e la natura tributaria del debito.

Ma dalla fondatezza della doglianza non discende, con la cassazione della pronunzia sul punto
qui in esame, la declaratoria di nullità del preliminare, posto che la ritenuta nullità della clausola
di traslazione dell’imposta inserita nel preliminare richiede non solo l’esame della correttezza
dell’operazione applicativa della norma, ma anche un’operazione interpretativa della volontà delle
parti per pervenire alla opinione di estensione o meno della nullità della clausola nulla all’intero
atto. Al proposito – e con specifico riguardo ai criteri con i quali l’interprete deve condurre
l’indagine di “essenzialità” della pattuizione – questa Corte ha precisato: a) che detta indagine
deve svilupparsi con l’intento di ricostruire, oggettivamente, la perdurante utilità del contratto
(dopo la rimozione della clausola nulla) rispetto agli interessi con esso perseguiti; b) che la prova
della mancanza di un interesse al mantenimento del contratto deve essere fornita
dall’interessato; c) che l’apprezzamento al proposito formulato è incensurabile in sede di
legittimità se motivato adeguatamente e razionalmente (v. Cass. 1° marzo 1995 n. 2340; cfr.
anche Cass. n. 11248 del 1997 e n. 2387 del 1997). Accertamenti questi che devono essere
rimessi al giudice del rinvio.

Il terzo motivo — con il quale è denunciata la violazione, mancata applicazione o falsa
interpretazione dell’art. 1571 c.c. che disciplina le locazioni, dell’art. 27 della legge n. 392/78
relativo alla durata delle locazioni commerciali, nonché violazione o falsa interpretazione della
clausola di cui all’art. 5 del contratto – formula i seguenti quesiti di diritto: “- se la sentenza

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2012 cit.), in quanto inidonea ad escludere la correlazione tra la somma dovuta e l’incremento di

omettendo di valorizzare la definizione ‘corrispettivo del godimento del bene immobile’ usata
dalle parti, ritenendola una penale e non il corrispettivo di una locazione, abbia violato l’art. 1571
c.c.; – se la sentenza abbia in tal modo disatteso e violato l’art. 27 della legge n. 392 /78 che
stabilisce la durata minima per le locazioni ad uso commerciale e alberghiero; – se la sentenza

dalle parti, ritenendola una penale e non il corrispettivo di una locazione, abbia violato le norme di
cui agli artt. 1362 e ss. c.c. che disciplinano l’interpretazione dei contratti”.

Infine, il quarto motivo – (subordinato al mezzo precedente) con il quale viene lamentata la
violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione dell’art. 1384 c.c., dell’art. 115 c.p.c.,
oltre a vizio di motivazione — pone il seguente quesito di diritto: “- se la sentenza abbia violato
l’art. 115 c.p.c. omettendo di fare uso del notorio ai fini delle valutazioni circa la congruità della
penale; – se la sentenza abbia di conseguenza violato l’art. 1384 c.c. omettendo di ridurre la
penale”.

Il vizio rilevato al secondo motivo, che comporta l’accoglimento del ricorso, con la cassazione
dell’impugnata sentenza, assorbe gli ulteriori motivi, tre e quattro, i quali per la valutazione della
loro fondatezza presuppongono la soluzione della questione della nullità del preliminare, se totale
o parziale.
Conclusivamente, va rigettato il primo motivo di ricorso, accolto il secondo ed assorbiti il
terzo ed il quarto; in relazione alla censura accolta, la sentenza deve essere cassata con rinvio
ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze che, in applicazione dei principi di diritti sopra
precisati, dovrà accertare se nella fattispecie sia configurabile la nullità totale oppure parziale del
preliminare e disporre, se del caso, in ordine alle restituzioni.
Il giudice di rinvio provvederà, altresì, a regolare le spese del giudizio di cassazione.

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omettendo di valorizzare la definizione ‘corrispettivo del godimento del bene immobile’ usata

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso, accolto il secondo, assorbiti i rimanenti;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 12 dicembre 2013.

giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

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