Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7501 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 31/03/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIAMMARIA GIACOMO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.F.;

– intimato –

e sul ricorso n. 13978 del 2007 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO

MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato MAGNI FRANCESCO A.,

rappresentato e difeso dall’avvocato CECCARELLI ENRICO, giusta delega

in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIAMMARIA GIACOMO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 389/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/03/2006 r.g.n. 889/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega GIACOMO GIAMMARIA;

udito l’Avvocato FRANCESCO A. MAGNI per delega ENRICO CECCARELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibile il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 7/23.3.2006 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza n. 589 del 2003 resa dal Tribunale di Firenze ed impugnata dalle Poste Italiane, che dichiarava sussistere tra G.F. e le Poste Italiane, in virtu’ dei contratti temporanei conclusi in un arco di tempo ricompreso fra il 21 gennaio 1997 e il 29 giugno 2002, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 29.1.1998 per effetto della nullita’ del termine apposto al primo contratto fra gli stessi stipulato. Osservava in sintesi la corte territoriale che, essendo il rapporto contrattuale regolato in via esclusiva dal D.Lgs. n. 368 del 1991, per poter ottemperare ai requisiti prescritti da tale normativa, che, fra l’altro escludeva ogni ipotesi di autonoma intermediazione da parte degli organismi sindacali, dando esclusivo rilievo alla sussistenza di specifiche e concrete esigenze aziendali idonee a legittimare il ricorso alla clausola di durata, risultava indispensabile che la societa’ ricorrente enunciasse per iscritto, evitando ogni motivazione apparente o di stile, le concrete ragioni che, nel contesto spaziale e temporale nel quale aveva operato il dipendente, giustificavano l’assunzione a tempo determinato, laddove, invece, nel contratto stipulato fra le parti si era fatto ricorso a formule generiche ed indeterminate, meramente ripetitive di previsioni astratte.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con tre motivi. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato G.F.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed il secondo motivo la societa’ ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonche’ vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle gia’ stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato, nell’ambito dell’ampia delega riconosciuta dal legislatore a favore della contrattazione collettiva e delle organizzazioni sindacali, senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessita’ di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il terzo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la societa’ ricorrente deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2 dei criteri di ermeneutica contrattuali in relazione agli accordi collettivi intercorsi, osservando che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, si doveva escludere che, per la legittimita’ dell’assunzione a termine, il datore di lavoro fosse tenuto ad indicare per iscritto il nominativo del lavoratore sostituito e la causa specifica della sostituzione.

Con ricorso incidentale condizionato, infine, l’intimato chiede, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, di correggersi la motivazione della decisione impugnata in relazione ai molteplici profili di illegittimita’ della clausola di durata evidenziati dalla decisione di prime cure.

2. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

3. Il ricorso principale e’ inammissibile per violazione, innanzi tutto, del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il requisito previsto da tale norma, che impone che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, puo’ ritenersi, infatti, sussistente, secondo l’insegnamento costante di questa Suprema Corte, solo quando nel contesto dell’atto si rinvengono gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni che vi hanno assunto le parti, senza necessita’ di ricorrere ad altre fonti, sicche’ deve ritenersi inammissibile il ricorso privo del tutto di tali elementi (v. ad es. sol da ultimo Cass. n. 15808/2008; Cass. n. 3338/2008).

Nel caso, la societa’ ricorrente ha prospettato che era stata convenuta in giudizio “per sentir dichiarare la nullita’ del termine apposto ai contratti a tempo determinato stipulati nell’arco temporale dal 21.1.1997 al 29.6.2002”, senza alcuna ulteriore specificazione circa il tempo e la causale giustificativa dei singoli contratti. Cosi’ stando le cose, ricomprendendo tale ampio periodo una differenziata tipologia di contratti a termine rispetto ai quali, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, la data di stipula individuale assume carattere decisivo, in mancanza di qualsiasi altra utile specificazione al riguardo, il ricorso non puo’ che essere apprezzato come inammissibile per palese violazione del principio di autosufficienza, non essendo possibile, se non attraverso l’esame diretto degli atti processuali di merito, verificare la conferenza e la decisivita’ delle censure genericamente avanzate con riferimento a tutti i contratti.

4. Giova, comunque, soggiungere che la sentenza impugnata ha ritenuto che il rapporto contrattuale e’ riconducibile ratione temporis nell’ambito della nuova disciplina del contratto a termine di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, che, abrogando espressamente la L. n. 56 del 1987, art. 23 ha fatto venir meno la possibilita’ di prevedere, in sede negoziale, autonome ipotesi di apposizione del termine ed ha imposto uno specifico obbligo motivazionale, rimasto, nel caso, inadempiuto.

A fronte di tale decisum, la societa’ ricorrente ha censurato la sentenza impugnata facendo riferimento alla disciplina posta dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 e dagli accordi collettivi conclusi dalle parti sociali sulla base di tale disposizione, ma senza, in alcun modo, prendere in esame le considerazioni svolte dalla corte territoriale per affermare, invece, la vigenza della nuova normativa, che ha costituito, nel caso in esame, l’esclusivo punto di riferimento per la regolamentazione della fattispecie controversa.

Ne deriva che le censure svolte dalla societa’ ricorrente, non consentendo di individuare e specificare le ragioni che inducono a qualificare come contrarie al diritto, oltre che illogiche o contraddittorie le valutazioni operate dai giudici di merito, vanno ritenute inammissibili pur avuto riguardo ai necessari caratteri di specificita’ e completezza che debbono caratterizzare, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, l’atto di impugnazione, il quale, al fine di consentire un puntuale apprezzamento della questione controversa, deve manifestare uno specifico e chiaro collegamento col decisum del provvedimento impugnato. Il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile.

5. Va ritenuto inammissibile, per carenza di interesse all’impugnazione, anche il ricorso incidentale condizionato.

In proposito, giova preliminarmente rilevare che presupposto della dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato conseguente al rigetto del ricorso principale e’ l’ammissibilita’ del ricorso incidentale medesimo.

Infatti la dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato comporta pur sempre un apprezzamento del merito dell’impugnazione condizionata, il quale, a sua volta, implica l’ammissibilita’ di questa e la subordinazione dell’interesse ad impugnare del ricorrente incidentale alla riconosciuta fondatezza del ricorso principale. Se il ricorso incidentale e’, invece, ex se inammissibile, la strumentalita’ del ricorso incidentale all’accoglimento del ricorso principale non vale ad impedire alla Corte l’esercizio del suo potere – dovere di accertarne e dichiararne l’inammissibilita’, indipendentemente da qualsiasi eccezione formulata dalle parti (v. da ultimo Cass. n. 4787/2010; Cass. n. 13882/2010).

Cio’ chiarito, deve ribadirsi, in conformita’ all’insegnamento di questa Suprema Corte, che va qualificato come inammissibile il ricorso incidentale, proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello, che sia diretto solo a far modificare la motivazione della sentenza impugnata, laddove tale correzione puo’ essere ottenuta mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio del potere correttivo attribuito alla Corte di cassazione dall’art. 384 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass. n. 7057/2010;

Cass. n. 22010/2007).

6. Le spese seguono la soccombenza della societa’ ricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili, condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 25,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre ad accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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