Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 75 del 07/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 07/01/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 07/01/2021), n.75

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5278/2020 proposto da:

H.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALFREDO PORFIDO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, e della

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DI AVELLINO, in persona del

Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA

VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di AVELLINO, depositata

il 02/12/2019 r.g.n. 5531/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

H.R. impugnava innanzi al Giudice di Pace di Avellino il decreto espulsione dal territorio Italiano emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Avellino in data 30/10/2019.

La parte ritualmente convenuta in giudizio, eccepiva la mancanza di una valida procura ad litem, instando comunque, nel merito, per il rigetto del ricorso.

Con decreto reso pubblico in data 6/12/2019 il giudice adito dichiarava improcedibile il ricorso. Perveniva a tali conclusioni sull’essenziale rilievo della carenza di un mandato al difensore, di assistenza e rappresentanza in giudizio. Il ricorrente aveva infatti conferito mandato all’avv. Alfredo Porfido in relazione alla “procedura di conversione del permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato con ogni e più ampia facoltà di legge…”.

La procura conferita al difensore non era, dunque, relativa al giudizio nè il difetto di rappresentanza era suscettibile di essere sanato mediante la concessione di un termine, vertendosi in ipotesi di procura non nulla ma inesistente, ed in ogni caso, non essendo stata formulata dal ricorrente alcuna richiesta di sanatoria.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione H.R. sulla base di unico motivo.

Resistono con controricorso la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Avellino ed il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con unico motivo si denun0a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, nonchè dell’art. 182 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si prospetta l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuto il giudicante, per aver tralasciato di considerare i dettami di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18.

La richiamata disposizione al comma 4, nel dettare la disciplina regolata dal rito sommario di cognizione – delle controversie concernenti l’impugnazione del decreto prefettizio, prevede che, ove il ricorrente ne sia sprovvisto, sia assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito degli avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio previsti per il processo penale; tanto al fine di scongiurare l’eventualità che il ricorrente sia privato di idonea difesa tecnica al momento della discussione anche successivamente al deposito del ricorso.

Si sottolinea poi che il mandato alle liti non costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale dal momento che per la predisposizione e deposito del ricorso avverso il provvedimento prefettizio di espulsione, non è richiesto il patrocinio di un legale.

2. Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Non può tralasciarsi di considerare che la presente controversia ha ad oggetto la procedura di impugnazione del decreto prefettizio di espulsione, involvendo lo scrutinio di un provvedimento de libertate, in relazione al quale il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 4, facendo espresso riferimento al c.p.p. per la difesa del ricorrente, così dispone: “Il ricorrente è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’art. 29 delle norme di “attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, nonchè, ove necessario, da un interprete”.

La rilevanza della natura dei diritti in gioco induce a ravvisare la ratio della disposizione nell’esigenza – bene individuata da parte ricorrente – di assicurare al ricorrente una idonea difesa tecnica nella procedura di espulsione.

In tal senso si comprende il richiamo del summenzionato art. 18, alle disposizioni del codice di rito penale, alle quali non è un fuor d’opera fare richiamo.

In particolare l’art. 177 – Tassatività – così recita:

1. L’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge.

L’art. 178 – Nullità di ordine generale – così prevede:

1. E’ sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti:

a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario;

b) l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al procedimento;

c) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonchè la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante;

l’art. 179 – Nullità assolute – così dispone:

1. Sono insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento lè nullità previste dall’art. 178, comma 1, lett. a), quelle concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e quelle derivanti dalla omessa citazione dell’imputato o dall’assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza.

2. Sono altresì insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge.

L’art. 185 – Effetti della dichiarazione di nullità – così sancisce:

1. La nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo.

2. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave.

3. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito.

4. La disposizione del comma 3, non si applica alle nullità concernenti le prove.

Tra le ipotesi elencate, solo la lettera a) e parte della lettera b) sono previste come nullità assolute, ovvero insanabili e dichiarate tali anche d’ufficio dal giudice, mentre le norme sulla partecipazione del pubblico ministero al procedimento e quelle sull’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato sono affette da nullità a regime intermedio (v. art. 180). L’intervento dell’imputato è garantito nei confronti delle nullità (assolute) che comportano l’omessa citazione dell’imputato.

Lo scrutinio delle summenzionate disposizioni induce a ritenere che il legislatore abbia predisposto un regime di trattamento differente a seconda delle diverse specie di nullità, di cui ha quindi declinato in maniera specifica le diverse caratterizzazioni.

Nell’ottica descritta, non vertendosi, nella fattispecie di cui si discute, in alcuna delle ipotesi di nullità insanabile previste dalle richiamate previsioni normative, deve ritenersi che si verta in ipotesi di procura affetta da nullità relativa e come tale sanabile; in tal senso deve reputarsi non applicabile la giurisprudenza di legittimità invocata sul punto dal giudice di Pace, che distingue – in tema di difetto di rappresentanza processuale – fra nullità rilevata ex officio e nullità rilevata dalla parte, individuando nella diversità del soggetto da cui proviene il rilievo della invalidità della procura, il discrimen fra nullità assoluta e relativa dell’atto: essa infatti risulta calibrata sul giudizio di cassazione e non appare, ratione materiae, congruente rispetto a quella dei provvedimenti de libertate di cui si tratta.

Del resto, non può tralasciarsi di considerare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, l’art. 182 c.p.c., comma 2 – il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio – doveva essere interpretato, anche alla luce della modifica successivamente apportata dal citato art. 46 nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (vedi Cass. 8/11/2019 n. 28824).

Secondo il regime applicabile successivamente alla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, in base all’indirizzo espresso da questa Corte ed al quale si intende dare continuità, la lettera della disposizione ha indotto a ritenere sussistente la sanatoria dei vizi della procura, attraverso l’assegnazione di un termine da parte del giudice, anche quando la procura sia del tutto mancante (cfr. Cass. 18/11/2019 n. 29802, Cass. 7/5/2018 n. 10885) non spiegandosi in caso contrario, il richiamo testuale all’assegnazione del termine per il “rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa” (vedi Cass. 29/7/2020 n. 16252).

La visione del processo che ne discende è meno formalistica (in termini, Cass. n. 10885/2018 cit.) e consente che, attraverso là segnalazione del giudice, la parte possa sanare qualunque vizio della procura, rispondendo ad esigenze di economia processuale connesse al proliferare di giudizi a seguito della dichiarazione di nullità della procura; per tale ragione, il testo novellato dell’art. 182 c.p.c., comma 2, ha previsto l’obbligo per il giudice di assegnazione di un termine per la regolarizzazione (“il giudice assegna alle parti un termine”) in luogo della facoltà, nel testo anteriore alla modifica di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 2 (“il giudice può assegnare un termine”).

– Da ultimo, va rimarcato che la decisione del Giudice di Pace ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 182 c.p.c., comma 2, anche sul presupposto che la procura rilasciata dal ricorrente fosse non già nulla ma inesistente, e, in quanto tale, inidonea a produrre effetti giuridici ed insuscettibile di sanatoria.

Tale interpretazione, tuttavia, contrasta con il tenore letterale dell’art. 182 c.p.c. e con l’interpretazione univoca di questa Corte (Cfr. Cass. 10885/2018 cit.) che, prevedendo l’obbligo, e non la facoltà per il giudice, di assegnare alla parte un termine per il rilascio e la rinnovazione della procura, ritiene possibile la sanatoria anche in casi ben più gravi in cui la procura manchi del tutto.

Ritiene, quindi, il Collegio che non possa attribuirsi rilievo alla distinzione tra nullità ed inesistenza della procura, anche alla luce del carattere del tutto residuale di tale ultima categoria in sede processuale (si veda, sul punto, Cass. 3/12/2019 n. 31476) in considerazione della possibilità attribuita al giudice di porre rimedio anche alle ipotesi di assenza della procura; tanto, anche in considerazione del fatto che la procura non difettava dei requisiti minimi e non presentava alterazioni così gravi da poter dubitare della sua esistenza giuridica e da impedire che l’atto fosse suscettibile di sanatoria, concernendo comunque la questione della permanenza legittima del ricorrente in territorio nazionale, così palesando un collegamento tra il soggetto che l’aveva conferita ed il procedimento per la quale era stato speso lo ius postulandi.

Le suesposte considerazioni inducono a ritenere l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuto il Giudice di Pace il quale ha individuato una ipotesi di difetto di rappresentanza processuale insanabile, non congruente con i principi che governano la materia ed in violazione del diritto di difesa dell’interessato.

La pronuncia va pertanto cassata con rinvio al giudice di merito indicato in parte dispositiva il quale provvederà a scrutinare la fattispecie alla luce dei principi enunciati, disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la pronuncia impugnata e rinvia al Giudice di Pace di Avellino – cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio – nella persona di altro giudicante.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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