Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7499 del 31/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7499 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 30413-2011 proposto da:
GUZZI CARLO GZZCRL33A15C523D, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA A. GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato
GIGLIO ANTONELLA, che lo rappresenta e difende giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 31/03/2014

avverso la sentenza n. 128/5/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 28/09/2010,
depositata il 28/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CARACCIOLO.

Ric. 2011 n. 30413 sez. MT – ud. 05-02-2014
-2-

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Milano ha respinto l’appello di Guzzi Carlo -appello proposto contro la
sentenza n.362/4012009 della CTP di Milano che aveva respinto il ricorso del
predetto contribuente- ed ha così confermato il silenzio-rifiuto sull’istanza di
rimborso della somma versata nel corso dell’anno 2002 per imposta sostitutiva
IRPEF a seguito di rideterminazione del valore di alcuni terreni edificabili siti in
comune di Cernusco sul Naviglio, ai sensi dell’art.7 della legge n.448/2001, istanza
di rimborso formulata sul presupposto che il Guzzi avesse effettuato nel 2008 una
nuova rivalutazione degli stessi terreni, avvalendosi della facoltà nuovamente
concessa dalla legge n.24412007, per un periodo inglobante anche quello oggetto
della precedente operazione di rivalutazione.
La predetta CTR —premesso che presupposto necessario della richiesta di rimborso è
l’identità tra i cespiti oggetto delle due successive operazioni di rivalutazione- ha
motivato la decisione ritenendo che le aree considerate nelle due distinte procedure
risultavano essere diverse tra loro, per avere subìto vicende modificative
dell’estensione , così come era stato ammesso dallo stesso Guzzi nelle proprie difese.
Per questa ragione si doveva ritenere che le due operazioni riguardavano beni diversi,
così come risultava anche dalle due relazioni tecniche a corredo delle due procedure
di rivalutazione e dalle visure catastali storiche prodotte dall’Agenzia.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.

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letti gli atti depositati

Infatti, con i primi due motivi di impugnazione (il primo improntato alla violazione
art.53 Cost, dell’art.67 del DPR n.600/1973, dell’art.163 DPR n.917/1986, dell’art.38
del DPR n.602/1973 e dell’art.2033 cod civ; il secondo improntato al vizio di
insufficiente motivazione della sentenza — motivi da esaminarsi contestualmente per
la loro stretta correlazione) la parte ricorrente si duole —sotto due diverse prospettive,

giudice di appello abbia omesso di identificare l’effetto di “doppia imposizione”
implicato dal successivo pagamento connesso con il medesimo presupposto
impositivo, giustificando il diniego tacito di rimborso per il solo fatto che i beni
rivalutati nelle due distinte occasioni fossero di diversa estensione (cioè di più ridotta
estensione nella seconda procedura), senza considerare che le vicende permutative
medio tempore intercorse, pur determinando la riduzione quantitativa dell’estensione
dei terreni, non avevano “mutato lo stock di ricchezza facente capo a ciascun
proprietario”. In tal modo il giudicante aveva non solo violato le disposizioni indicate
in rubrica ma aveva anche motivato in maniera carente sul punto decisivo della
controversia, e cioè l’immutato valore patrimoniale della proprietà fondiaria di cui
qui si tratta.
La censura appare manifestamente infondata ed il ricorso inaccoglibile.
Ed invero, come risulta dalla decisione qui appellata e dalle stesse allegazioni di parte
ricorrente, i terreni considerati nelle due distinte procedure di rivalutazione non solo
si sono ridotti di consistenza superficiaria ma si sono anche modificati nella loro
stessa entità (come è inevitabilmente implicato dalla natura permutativa degli atti
dispositivi a cui la parte ricorrente accenna vagamente), sicché è indubbio che gli
incrementi di valore risultanti dalle due distinte procedure (per il fatto di essere
relativi a due compendi immobiliari tra loro, sia pur parzialmente, incongruenti) non
possono considerarsi proporzionali ai periodi di tempo di volta in volta considerati ai
fini della rivalutazione e non sono perciò tra di loro comparabili.
Appaiono perciò inconsistenti le premesse di fatto su cui la parte ricorrente fonda le
proprie censure, una prima volta come sussistenza di un medesimo “presupposto

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unificate dalla sostanziale omogeneità delle ragioni di doglianza- del fatto che il

impositivo” (erroneamente identificato con il valore complessivo dei compendi
immobiliari, peraltro non adeguatamente identificato, e perciò in contrasto con il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) ed una seconda volta come
“fatto controverso determinante” da identificarsi con il valore patrimoniale dei due
compendi.

comma 2 cpc ed a mezzo del quale la parte ricorrente si duole dell’omessa
compensazione delle spese di lite da parte del giudice del merito), basta qui
evidenziare che si tratta di censura chiaramente inammissibile, essendo rivolta contro
l’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice del merito ed in ordine al
quale non sarebbe possibile chiedere alla S.C. un giudizio sostitutivo/modificativo.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta infondatezza ed inammissibilità.
Roma, 15 settembre 2013.

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che nessuna delle parti ha depositato memoria illustrativa;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in € 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2014
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Venendo quindi al terzo motivo di impugnazione (fondato sulla violazione dell’art.92

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