Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7498 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. II, 17/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22367-2019 proposto da:

U.N., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA DIROMA, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 275/2019 della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE,

depositata il 30/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che U.N., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

U.N., con ricorso notificato il 15/7/2019, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando

l’erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1bis, art. 8, commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, al pari del tribunale, pur dovendo decidere sulla domanda di protezione internazionale sulla base delle informazioni relative alla situazione del paese d’origine del richiedente ed alla sua specifica condizione, ai sensi dell’art. 27, comma 1bis, cit., non ha disposto l’acquisizione dei documenti che la commissione territoriale aveva citato, vale a dire i reports sul (OMISSIS) di Amnesty International e del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

1.2. L’acquisizione di tali documenti, che l’appellante aveva espressamente richiesto, avrebbe, invece, portato, in ragione degli essenziali dati di fatto sulla situazione delle aree di provenienza ivi esposti, ad una decisione senz’altro diversa, vale a dire all’accoglimento della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

1.3. La corte d’appello, quindi, non avendo esaminato tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese d’origine del richiedente al momento della decisione, ha violato il D.Lgs. n. 251 cit., art. 3.

1.4. La corte d’appello, infine, violando il proprio dovere di cooperazione istruttoria, non ha disposto nemmeno l’acquisizione dell’originale del certificato di domicilio del richiedente, accontentandosi dell’apodittica dichiarazione di falsità dello stesso, svolta dalla commissione e dal tribunale, senza svolgere alcun accertamento, attraverso i canali diplomatici, sull’autenticità del certificato.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha valutato la credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente sulla base di un giudizio personale, soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi e senza adoperarsi, in violazione del D.Lgs. n. 251 cit., art. 3 per la verifica delle dichiarazioni rese dallo stesso.

2.2. La corte d’appello, infatti, avrebbe dovuto tener conto di tutti i fatti pertinenti sul paese d’origine, come la presenza dei (OMISSIS) nella regione di provenienza, e cioè la (OMISSIS): questo avrebbe consentito di ritenere il racconto del richiedente intrinsecamente credibile in quanto coerente con la situazione della zona d’origine.

2.3. Lo stesso è a dirsi per la lingua costantemente usata dal richiedente sia durante l’audizione presso la commissione territoriale, che innanzi al giudice, vale a dire il pashto, notoriamente utilizzata dalle popolazioni delle (OMISSIS), configurandosi come un ulteriore elemento nel senso della sua provenienza dalla (OMISSIS).

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso l’attendibilità della narrazione svolta dal richiedente pretendendo la prova certa dei fatti posti a fondamento della domanda di protezione, laddove, in realtà, a norma del D.Lgs. n. 251 cit., art. 3 la credibilità del richiedente richiede non la prova dei fatti narrati ma solo la verosimiglianza della persecuzione esposta.

3.2. Del resto, ha aggiunto il ricorrente, il giudice ha l’obbligo di cooperare, attraverso un’attività istruttoria ufficiosa, nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della domanda della protezione.

3.3. La valutazione della credibilità, inoltre, deve essere compiuta in modo unitario, avendo riguardo ad elementi di natura sostanziale e non a singoli elementi secondari, e deve essere fondata sulla totalità delle prove disponibili, ossia quelle presentate dal richiedente e quelle raccolte con i propri mezzi dall’autorità che procede all’accertamento.

3.4. Nel caso in cui rimanga un elemento di dubbio, infine, l’applicazione del principio della buona fede presunta del richiedente consente di ritenere accertata la credibilità di un fatto.

3.5. La corte d’appello, invece, ha concluso il ricorrente, lì dove ha preteso la prova dei fatti posti a fondamento della sua domanda, ha violato i principi esposti.

4.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c), e dell’art. 132 c.p.c, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria presentata dal richiedente.

4.2. La corte, infatti, ha osservato il ricorrente, così facendo, non ha dato conto delle informazioni sul suo Paese d’origine che pure aveva assunto in data 8/5/2018. Il rapporto COI così acquisito, in effetti, dimostra che l’area di provenienza del richiedente sia interessata da una violenza generalizzata tale da mettere a rischio la vita di un civile per il solo fatto di trovarsi in quella zona.

5.1. I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

5.2. In tema di protezione internazionale, in effetti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente il quale, infatti, ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018).

La valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 33858 del 2019).

5.3. Nel caso di specie, la corte d’appello ha dichiaratamente condiviso le perplessità espresse dal tribunale sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che lo avrebbero indotto a lasciare il proprio Paese d’origine, apparendo inverosimile il racconto svolto sul punto dal richiedente, che ha rilasciato dichiarazioni generiche, riscontro.

5.4. Tale apprezzamento, tuttavia, non è stato specificamente impugnato dal ricorrente con la precisa deduzione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dei fatti, principali o secondari, che il giudice di merito, nell’accertamento svolto circa l’attendibilità della sua narrazione, avrebbe omesso di esaminare, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risulterebbero esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti sarebbero state oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.), trattandosi di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto diversa rispetto a quella affermata dal la decisione impugnata.

5.5. Ed è, peraltro, noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la domanda di concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (nella specie neppure specificamente invocata nè comunque accertata nel giudizio di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

5.6. Il giudizio d’inattendibilità svolto dalla corte d’appello si sottrae, del resto, alle censure svolte dal ricorrente in ragione della dedotta corrispondenza tra i fatti da lui narrati e la situazione in cui, come attestato dalle fonti internazionali delle quali aveva invano chiesto l’acquisizione, versa la regione di provenienza.

E’, in effetti, senz’altro vero che, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. C D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Cass. n. 26921 del 2017).

Tale principio, tuttavia, non esclude affatto che, con particolare riguardo alla vicenda personale del richiedente, posta a fondamento della domanda di protezione, il giudice debba vagliare la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ove non suffragate da prove, anche sul piano della loro tenuta logica.

Ed invero, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, al comma 5, stabilisce che “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che:… c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone;… e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

Alla stregua del chiaro dato normativo, dunque, le dichiarazioni del richiedente ben possono essere suffragate da prove. Se così non è, viceversa, tali dichiarazioni sono sottoposte ad una verifica di credibilità (“… essi sono considerati veritieri…”).

Tale verifica comporta, oltre che un duplice controllo di coerenza (la coerenza intrinseca del racconto e quella estrinseca concernente le informazioni generali e specifiche di cui si dispone), anche un equiordinato controllo di plausibilità, sicchè il racconto deve essere per l’appunto accettabile, sul piano razionale, sia quanto a coerenza, sia quanto a plausibilità, e deve essere cioè attendibile e convincente, come dimostrato dall’uso della congiunzione “e” (“…coerenti e plausibili e non sono in contraddizione…”).

Tale giudizio di plausibilità, direttamente riferito alle dichiarazioni, si risolve, infine, nel complessivo scrutinio di attendibilità del richiedente previsto alla lett. e) della disposizione, da compiersi a mezzo dei “riscontri effettuati”, espressione da intendersi riferita non soltanto ad eventuali riscontri esterni, ove disponibili, ma anche alla verifica di logicità del racconto, per cui i riscontri non attengono soltanto al dato estrinseco delle “informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso”, ma anche all’intrinseca credibilità razionale della narrazione.

Il menzionato controllo di logicità, lungi dal presentarsi quale appesantimento della posizione del richiedente, è viceversa espressione del favore che l’ordinamento riserva alla domanda di protezione internazionale, la quale, come emerge dal principio poc’anzi richiamato, non è rigidamente governata dal principio dell’onere della prova, giacchè non soltanto il giudice, in determinati frangenti, ha il dovere di acquisire d’ufficio il necessario materiale probatorio, in particolare quello che concerne la situazione del paese di provenienza (si veda il comma 3 della richiamata disposizione), ma gli è consentito addirittura di ritenere provate circostanze che non lo sono affatto: e tuttavia, proprio perchè si tratta di ritenere provati fatti che non lo sono, occorre almeno che essi reggano ad un giudizio di controllo di logicità, senza di che non resterebbe al giudice, una volta operata la verifica di coerenza intrinseca ed estrinseca, che prendere supinamente atto della domanda proposta, accogliendola in ogni caso, per quanto strampalata possa apparire, per l’ovvia considerazione che il giudice di merito, se è in condizione di stabilire quale sia la situazione complessiva in cui versa il Paese di provenienza non ha la benchè minima possibilità di accertare in concreto se la narrazione dei fatti riferita dal richiedente sia vera o inventata di sana pianta.

In definitiva, trova applicazione il principio per cui, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche – com’è accaduto nel caso di specie – ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, che è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 21142 del 2019, in motiv.).

La corte d’appello, come visto, ha ritenuto che la narrazione dei fatti svolta dal richiedente non fosse attendibile, in quanto intrinsecamente priva di coerenza, ed ha, quindi, correttamente escluso, in mancanza di tale necessario riscontro, ogni rilievo alle informazioni concernenti la situazione del suo Paese di provenienza, compresa, evidentemente, la lingua ivi utilizzata.

5.7. Sono, infine, infondate anche le censure che il ricorrente ha svolto con riguardo alla domanda di protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

In linea di principio, in effetti, nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione d’inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero (Cass. n. 16122 del 2020). In tema di protezione internazionale, invero, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020).

L’inattendibilità dei fatti narrati dal richiedente, tuttavia, è preclusiva di ogni forma di protezione quando cada sulla sua provenienza geografica o sulla sua stessa identità (Cass. n. 21929 del 2020; conf., Cass. n. 14283 del 2019).

La protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha, infatti, come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente, salvo che il giudizio di non credibilità non riguardi le affermazioni circa lo Stato di provenienza le quali, ove risultassero false, renderebbero inutile tale accertamento (Cass. n. 8819 del 2020).

Nel caso in esame, la corte d’appello, sulla base della valutazione delle prove raccolte in giudizio (vale a dire il certificato di domicilio ma anche le risposte fornite dal richiedente in sede di audizione) ha escluso, con apprezzamento in fatto non censurato per omesso esame di fatti decisivi, che era stata dimostrata la sua provenienza dalla regione (OMISSIS) dallo stesso dichiarata.

E tanto basta, corretto o sbagliato che sia, per escludere le denunciate violazioni di legge.

6.1. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria che il richiedente aveva proposto escludendo che lo stesso si sarebbe trovato in condizione di vulnerabilità in caso di rimpatrio e ritenendo sul punto irrilevante il contratto di lavoro a tempo indeterminato che lo stesso aveva prodotto in giudizio.

6.2. La corte, però, così facendo, non ha considerato che la vulnerabilità può essere ricavata dalla comparazione tra l’integrazione raggiunta dal richiedente e la situazione di violazione dei diritti umani presente nel suo Paese d’origine, sulla quale ha omesso, in violazione del suo dovere di cooperazione, ogni accertamento istruttorio.

7.1. Il motivo è infondato. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

7.2. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente non presenta una situazione di vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, che aveva dedotto nel giudizio di merito e che, pur se decisivi ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole, non sono stati oggetto di esame da parte del giudice di merito.

7.3. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare, come correttamente affermato dalla corte, dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020), in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria.

8. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

9. Nulla per le spese di lite, in mancanza di una reale attività difensiva da parte del ministero.

10. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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