Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7498 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. un., 08/03/2022, (ud. 22/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. PATTI Adriano – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 27639-2021 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Crescenzio

9, presso lo studio dell’avv. Emiliano Amato, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avv. Alessandro Fusillo;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 115/2021 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 26/10/2021;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2022 dal Consigliere Dr. SCODITTI ENRICO;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dr. RENATO

FINOCCHI GHERSI, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di istanza del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di data 13 ottobre 2021, è stata disposta nei confronti del Dott. G.A., consigliere della Corte d’Appello di Messina, la sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dello stipendio, nonché il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, con ordinanza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, di data 26 ottobre 2021, per le incolpazioni di illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1 e art. 4, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 290 c.p., con riferimento al vilipendio delle Istituzioni costituzionali, e di illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 4, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 595 c.p., commi 1, 3 e 4, riferite alla seguente pubblica dichiarazione resa in manifestazione di piazza svoltasi a Roma il 9 ottobre 2021:

“Popolo italiano Il green pass è abrogato. Oggi il popolo sovrano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere. Oggi il popolo sovrano reclama giustizia per i morti che hanno causato, per le privazioni, per i nostri figli e per la sofferenza. E noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga. E allora qua davanti a voi voglio dire, da magistrato: sono venuto a onorare il popolo sovrano, il popolo di Roma! E a coloro che dicono che la mia posizione è incompatibile con il popolo, dico: io tra voi e il popolo scelgo il popolo sovrano e lascio la toga, lascio la toga. Roma, vi amo!”.

2. Previa verifica della regolarità della notifica avvenuta nelle mani della figlia in data 15 ottobre 2021 per l’udienza camerale del 21 ottobre 2021, premise la Sezione Disciplinare che non ricorreva l’impedimento assoluto dell’incolpato a comparire anche alla nuova udienza fissata per il 22 ottobre, non essendo il detto presupposto integrato dallo stato di ansia e dalla mera instabilità delle condizioni del paziente. Osservò quindi in via preliminare, in relazione all’istanza presentata il 13 maggio 2021 avente ad oggetto “pensione di anzianità anticipata” ed a quella di data 19 ottobre 2021 contenente richiesta, a rettifica della precedente, del trattamento pensionistico a far data dal 1 novembre 2021 con contestuale comunicazione di dimissioni irrevocabili, che, benché la cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario sopravvenuta in corso di procedimento disciplinare ne imponesse la definizione in rito, non si era perfezionata la fattispecie della cessazione dal servizio per dimissioni in mancanza dell’accettazione deliberata dal C.S.M. (recepita con decreto del Ministro della Giustizia e comunicata all’interessato) e che, anche a voler ritenere la cessazione per dimissioni un diritto potestativo azionabile ad nutum, era tuttavia necessaria la verifica della sussistenza della condizioni contributive del collocamento a riposo per anzianità (il quale comunque sarebbe decorso dalla data del 1 novembre, indicata dal magistrato). Aggiunse, sempre in via preliminare, che la sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio poteva essere disposta a prescindere sia dalla sottoposizione a procedimento penale che dalle condizioni di procedibilità di cui all’art. 313 c.p., comma 3, con riferimento alla prima incolpazione.

Osservò quindi, premessi gli evidenti profili di particolare gravità delle condotte poste in essere, che, alla luce della valutazione di verosimiglianza richiesta dal procedimento cautelare, ricorreva l’astratta riconducibilità delle dichiarazioni rese dall’incolpato alle fattispecie previste dagli artt. 290 e 595 c.p. e che, per il tenore delle stesse, avuto riguardo al contesto di piazza in cui erano state rese, esse travalicavano manifestamente i limiti del diritto di critica e della continenza. Aggiunse che ricorreva il rischio di eventuale reiterazione di analoghi comportamenti, alla luce della complessiva attività dell’incolpato di presidente e fondatore dell’organizzazione privata “L’eretico”, e che sia la gravità intrinseca delle fattispecie di reato astrattamente integrabili dalle dichiarazioni in questione, sia le modalità dei fatti, erano idonee a gettare un gravissimo discredito sulla persona dell’incolpato e di riflesso sull’ordine di appartenenza, anche considerando che il G. aveva agito spendendo e sottolineando il proprio status.

3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Dott. G.A. sulla base di nove motivi. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e del difensori del ricorrente, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, (che ne ha prorogato l’applicazione alla data del 31 dicembre 2022), non avendo il ricorrente né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale. Il Procuratore Generale ha presentato le conclusioni scritte. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve premettersi che il ricorrente ha prodotto con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la Delib. del Consiglio Superiore della Magistratura di data 23 novembre 2021 ed il decreto del Ministero della Giustizia di data 16 dicembre 2021 con i quali si accettano le dimissioni dall’ufficio del Dott. G.A., già fuori del ruolo organico della magistratura per sospensione cautelare, con efficacia delle stesse, come si legge in entrambi i provvedimenti, “dalla data indicata dal magistrato (18.10.2021), ovvero se questa è antecedente a quella in cui è avvenuta la comunicazione del D.M. di accettazione delle dimissioni, da quest’ultima data”. Come emerge dal D.M., la data di comunicazione è il 21 dicembre 2021, per cui le dimissioni hanno efficacia da tale data.

Alla luce di tale rilievo, deve in via preliminare essere evidenziata la permanenza dell’interesse a ricorrere nonostante la cessazione del rapporto di servizio. La giurisprudenza di queste Sezioni unite è univocamente orientata nel senso che la cessazione dal servizio del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia irrogativa della sanzione, comporta, con la cessazione del rapporto di servizio del magistrato medesimo, la cessazione della materia del contendere e, quindi, la inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura (Cass. Sez. U. n. 16980 del 2019; n. 15878 del 2011; n. 24304 del 2010; n. 3245 del 2010; n. 26811 del 2009). La cessazione del magistrato dall’ordine giudiziario determina l’estinzione del procedimento disciplinare e quindi la caducazione del provvedimento della Sezione Disciplinare non passato in giudicato (Cass. Sez. U. n. 15878 del 2011; n. 24304 del 2010; n. 3245 del 2010; n. 26811 del 2009).

Queste Sezioni Unite, con la pronuncia n. 18624 del 2019, hanno tuttavia affermato che, nel caso in cui sia irrogata in via cautelare la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, con erogazione della retribuzione in misura ridotta, permane un interesse concreto alla decisione in ordine alla sussistenza dell’illecito contestato, in ragione del disposto di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 23, comma 1, a tenore del quale il magistrato sottoposto a procedimento penale e sospeso in via cautelare, qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore. Sotto il profilo patrimoniale, ciò comporta l’onere dell’Amministrazione di corresponsione in favore del magistrato degli arretrati sulle retribuzioni percepite in misura ridotta, oltre agli ulteriori effetti in materia pensionistica del detto incremento retributivo. Ne deriverebbe l’interesse dell’Amministrazione alla celebrazione del procedimento disciplinare di merito, volto ad accertare la legittimità della sospensione disposta. In mancanza, il

proscioglimento dell’incolpato per improcedibilità dell’azione disciplinare a causa della cessata appartenenza all’ordine giudiziario determinerebbe l’onere per l’Amministrazione di una ricostruzione complessiva, economica e giuridica, della carriera dell’incolpato, senza che tuttavia l’Amministrazione possa valutare in alcun caso detti comportamenti, in quanto comunque tenuta a corrispondere gli arretrati sulle retribuzioni percepite in misura ridotta.

Del resto, ha affermato sempre Cass. sez. U. n. 18624 del 2019, “il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 118 richiamato dal R.D. n. 12 del 1941, art. 276, comma 3, prevede che, qualora nel corso del procedimento disciplinare il rapporto d’impiego cessi anche per dimissioni volontarie o per collocamento a riposo a domanda, il procedimento stesso prosegue agli effetti dell’eventuale trattamento di quiescenza e previdenza. Si tratta di una disposizione compatibile con l’ordinamento giudiziario vigente ed applicabile al caso in esame, sussistendo anche ai fini previdenziali il pieno interesse dell’Amministrazione e dell’incolpato alla corretta ricostruzione della carriera ai fini previdenziali e del trattamento di fine servizio, poiché l’iter della carriera notoriamente influenza il trattamento di quiescenza”.

La fattispecie considerata dalla pronuncia richiamata è quella della sospensione cautelare obbligatoria (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21), mentre nel caso di specie ricorre un’ipotesi di sospensione cautelare facoltativa (art. 22), nel corso della quale è intervenuta la cessazione del rapporto di servizio del magistrato. L’interesse è qui dell’incolpato alla corretta ricostruzione della carriera ai fini previdenziali e del trattamento di fine servizio al cospetto della sospensione dello stipendio intervenuta prima della cessazione del rapporto di servizio. Dirimente ai fini dell’apprezzamento dell’interesse ad impugnare il provvedimento è la data di efficacia delle dimissioni. Posto che l’ordinanza cautelare è stata depositata in data 26 ottobre 2021, e che le dimissioni hanno efficacia dal 21 dicembre 2021, ricorre per il magistrato l’interesse ad impugnare il provvedimento di sospensione cautelare, stante l’esistenza del rapporto di servizio al momento dell’applicazione della misura cautelare. L’attuata sospensione dello stipendio, in costanza del rapporto di servizio, evidenzia l’interesse all’impugnazione sotto il profilo previdenziale e del trattamento di fine servizio.

2. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 e artt. 157,178 e 179 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Osserva la parte ricorrente che la notifica della citazione a comparire è nulla in quanto eseguita nei confronti della figlia, non convivente con il padre e residente in altro Comune. I successivi motivi vengono proposti in via subordinata.

2.1. Il motivo è infondato. Osserva il ricorrente nella memoria, replicando alle conclusioni del Procuratore Generale, che nella relazione di notifica non vi sarebbe alcuna menzione del rapporto di convivenza della figlia con il padre, contrariamente anche a quanto si legge nel provvedimento della Sezione Disciplinare, da cui la violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 1. L’argomento non è decisivo, perché, nel caso di notificazione di atti eseguita presso il luogo di residenza dell’imputato, l’omessa menzione, nella relata di notifica, dello stato di convivenza tra il destinatario e il consegnatario dell’atto, non è causa di nullità, quando l’ufficiale

giudiziario, per lo stretto e qualificato rapporto parentale tra gli stessi, abbia sicuro affidamento che l’atto sia portato a conoscenza dell’interessato, sicché grava su quest’ultimo l’onere della prova contraria, non desumibile dai certificati anagrafici, che non escludono diverse situazioni di fatto (Cass. pen. 3959 del 2021, n. 47691 del 2014, n. 5930 del 2014).

Oppone già nel motivo di ricorso il ricorrente che la figlia è residente in altro Comune, come da copia della carta d’identità di G.M. allegata al ricorso. A parte quanto appena rilevato a proposito dei certificati anagrafici, i quali non escludono diverse situazioni di fatto, anche tale argomento è privo di rilievo.

In primo luogo perché la data di rilascio della carta d’identità è il 19 giugno 2019, mentre la notifica è di data 15 ottobre 2021: il ricorrente, su cui incombe l’onere della prova, non ha perciò dimostrato la diversa residenza della figlia alla data del 15 ottobre.

In secondo luogo perché le sezioni penali di questa Corte hanno più volte affermato che in materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini dell’applicazione dell’art. 157 c.p.p., comma 1, per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che vivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si trovino al momento della notificazione all’imputato, che è prevista come diritto di assistere all’udienza che può essere sacrificato solo se l’impedimento non è assoluto e la sua minore ampiezza rispetto a quel processo (comune anche al procedimento disciplinare ordinario, dove l’incolpato parimenti ha diritto di essere sentito per ultimo ex art. 19, comma 1, D.Lgs. cit. e la sua partecipazione all’udienza nella sua interezza è solo assicurata dalla normale pubblicità della stessa ex art. 18, comma 2, D.Lgs. cit.) esige a maggior ragione che l’impedimento sia assoluto. Sarebbe, inoltre, irragionevole che la giustizia disciplinare, caratterizzata da ragioni di urgenza, e tanto più in sede cautelare, non debba aver corso in presenza di un impedimento relativo dell’incolpato a presenziare ad un incombente previsto sì come necessario, ma a sua garanzia: in pratica, proprio tale funzione di garanzia rende giustificato che l’impedimento necessariamente debba essere assoluto in una logica in cui l’incolpato non deve necessariamente assistere a tutto il procedimento disciplinare ordinario e cautelare dinanzi alla Sezione”.

La certificazione medica prodotta attestava, quale condizione impediente la presentazione dell’incolpato, lo stato ansioso e confusionale, nonché l’eventualità di una instabilità delle condizioni del paziente, mentre le attestate ricorrenti crisi ipertensive e la tachicardia in soggetto cardiopatico concernevano non il fattore impediente attuale, ma la patologia di cui il soggetto era portatore. Alla luce del criterio dell’impedimento assoluto, nei termini sopra illustrati, non può la patologia giustificare la mancata presentazione, dovendosi avere riguardo alla effettiva condizione attuale che deve essere tale da impedire in modo assoluto all’incolpato di presentarsi. Lo stato ansioso, sia pure nella misura accresciuta per la nuova udienza camerale fissata per il 22 ottobre 2021, all’esito del rinvio di quella del 21 ottobre, costituiva un impedimento di carattere soltanto relativo.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 9, convertito con L. n. 122 del 2010 in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). La parte ricorrente premette che in data 18 ottobre 2021 sono state comunicate le dimissioni per le aggravate e documentate pregresse gravi condizioni di salute, ad integrazione della precedente comunicazione di dimissioni di data 13 maggio 2021, e che già al momento di quest’ultima comunicazione il Dott. G. aveva maturato 48 anni di servizio effettivo e 52 anni di servizio utile, computando i 4 anni di riscatto per gli anni di laurea, ed aveva compiuto l’età di 67 anni, maturando così le condizioni della cessazione per anzianità di servizio. Osserva quindi che, in base alla circolare n. P-20758 del 2010 del CSM, la delibera di quest’ultimo, in presenza di cessazione per anzianità di servizio, ha la natura ricognitiva della presa d’atto, con individuazione del momento della cessazione del rapporto nel giorno indicato dal magistrato, purché a tale data si sia verificato il compimento dei quarant’anni anni di servizio e che, in base alla giurisprudenza di legittimità, nel rapporto di pubblico impiego privatizzato le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto indipendentemente dall’accettazione del datore di lavoro.

5. Con il quinto motivo si denuncia motivazione contraddittoria e illogica in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

La parte ricorrente osserva che la sentenza impugnata cade in contraddizione perché, nonostante menzioni precedenti giurisprudenziali in base ai quali l’esercizio del diritto potestativo di dimissioni per raggiunta anzianità di servizio determina l’estinzione del potere disciplinare del CSM, afferma la perdurante esistenza di tale potere, attribuendo alla presa d’atto delle dimissioni un effetto costitutivo. Aggiunge che alla data dell’udienza il Dott. G. non faceva più parte dell’ordine giudiziario per cui l’azione disciplinare non era procedibile.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1,2,3 e 4, nonché art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 274 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). La parte ricorrente osserva che, a causa del venir meno del rapporto di pubblico impiego, vi è carenza di interesse a richiedere la misura cautelare, della quale comunque mancano le condizioni, non essendovi alcun pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione della condotta.

7. Il quarto, il quinto ed il sesto motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati. Il medesimo ricorrente ha prodotto con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la Delib. del Consiglio Superiore della Magistratura di data 23 novembre 2021 ed il decreto del Ministero della Giustizia di data 16 dicembre 2021, da cui si evince, per quanto osservato sub 1), che il rapporto di servizio deve intendersi cessato alla data di efficacia delle dimissioni, e cioè il 21 dicembre 2021. La sospensione cautelare è stata dunque disposta nel periodo in cui il Dott. G. era ancora magistrato.

Quanto poi al riferimento nel sesto motivo all’assenza di esigenze cautelari per l’assenza di pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione della condotta, va osservato che la Sezione Disciplinare non ha solo considerato il rischio di reiterazione della condotta, ma anche la gravità dei fatti ascritti, sotto il profilo della lesione del prestigio e della credibilità dell’incolpato, tale da non essere compatibile con l’esercizio delle funzioni. Quest’ultima costituisce autonoma ratio decidendi, sufficiente e necessaria ai fini dell’adozione della misura cautelare, non specificatamente impugnata dal ricorrente. Trattasi di ratio sufficiente e necessaria ai fini della sospensione cautelare, perché secondo la giurisprudenza di questa Corte ai fini della valutazione discrezionale della opportunità di procedere alla sospensione cautelare facolativa del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, assume rilievo essenziale la “gravità” della contestazione, alla quale innanzitutto è correlata la compatibilità

contestazione, alla quale innanzitutto è correlata la compatibilità della permanenza nelle funzioni (Cass., Sez. U., n. 17904 del 2009, n. 13602 del 2004 e n. 4882 del 2019 – quest’ultima pronuncia ha anzi ritenuto errata la decisione della Sezione Disciplinare la quale aveva omesso di applicare la misura cautelare per l’assenza di rischio di reiterazione della condotta, considerando che non fosse questo il presupposto della misura, ma la lesione del prestigio e della credibilità del magistrato, in relazione alla gravità dei fatti, derivante dal semplice perdurare dell’esercizio delle funzioni da parte del magistrato).

8. Con il settimo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, art. 4, comma 1, lett. d), art. 290 e art. 595 c.p., commi 3 e 4, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Con riferimento alla prima incolpazione, la parte ricorrente osserva che non è ravvisabile alcun impedimento all’esercizio dell’azione penale, né ricorre una fattispecie di estinzione del reato, per cui trattasi di ipotesi non rientrante nella deroga di cui alla lettera d) dell’art. 4. Aggiunge che, essendo il reato di cui all’art. 290 c.p. sanzionato solo con la pena pecuniaria della multa, non è applicabile la misura cautelare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 né il fatto, che l’ordinamento ritiene non grave tanto da ritenerlo sanzionabile solo con pena pecuniaria, può reputarsi talmente allarmante da essere incompatibile con l’esercizio delle funzioni giudiziarie.

8.1. Il motivo è infondato. In base all’art. 4, comma 1, lett. d) costituisce illecito disciplinare conseguente al reato, fra l’altro, “qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se il reato e’estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita”. La disposizione è chiara nel senso che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la rilevanza disciplinare del fatto costituente reato non è condizionata alla circostanza della mancanza di una condizione di procedibilità o dell’estinzione del reato. La norma prevede al contrario che vi è rilevanza disciplinare anche in presenza di reato estinto o mancante di condizione di procedibilità dell’azione penale, ma non che tali circostanze subordinino la rilevanza disciplinare del fatto.

La sospensione cautelare facoltativa è poi applicabile “quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni” (art. 22). Dall’integrazione delle due disposizioni deriva che, quando un fatto costituente reato sia idoneo a ledere l’immagine del magistrato e per la sua gravità sia incompatibile con l’esercizio delle funzioni, indipendentemente dalla punibilità con pena detentiva, la sospensione cautelare facoltativa è applicabile. La previsione del fatto grave incompatibile con l’esercizio delle funzioni, il quale può essere integrato anche da un fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, costituisce disposizione di chiusura del sistema della sospensione cautelare facoltativa, che pertanto non subordina l’applicazione della misura, in presenza di fatti corrispondenti ad ipotesi di reato, alla circostanza della punibilità con la pena detentiva.

Proprio la previsione della rilevanza disciplinare del fatto di reato, indipentemente dalla circostanza dell’estinzione del reato e dell’impossibilità di iniziare o proseguire l’azione penale, fonda l’autonomia del giudizio disciplinare rispetto al giudizio penale e dunque la possibilità che un fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, pur non punibile con la pena detentiva, sia suscettibile di valutazione in termini di fatto che per la sua gravità sia incompatibile con l’esercizio delle funzioni.

9. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

Con riferimento alla misura cautelare la parte ricorrente osserva che non vi è specifica motivazione circa la gravità dei fatti, tali da renderli incompatibili con l’esercizio delle funzione, motivazione imposta dalla mancata apertura di un procedimento penale, e che dalla condotta dell’incolpato non emerge in modo oggettivo il dolo per il reato di cui all’art. 290 c.p. Circa la seconda incolpazione aggiunge che la genericità delle dichiarazioni rese dal Dott. G. esclude che siano individuabili i destinatari del reato di diffamazione e che sussista l’elemento psicologico per entrambi i reati.

10. Con il nono motivo si denuncia violazione degli artt. 3 e 21 Cost., art. 10 CEDU, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c). La parte ricorrente osserva che il Dott. G. ha esercitato il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero tutelato dalle norme in rubrica.

11. I motivi ottavo e nono, da trattare congiuntamente, sono infondati.

Quanto alla censura di carenza di motivazione in ordine alla gravità dei fatti, tali da renderli incompatibili con l’esercizio delle funzione, deve osservarsi che nella sentenza della Sezione Disciplinare risulta specificatamente evidenziata sia la gravità intrinseca delle fattispecie di reato astrattamente integrabili dalle dichiarazioni in questione, sia le modalità dei fatti, e segnatamente il contesto di piazza in cui le dichiarazioni, suscettibili di qualificazione penale, erano state rese. Tali profili sono, per il giudice disciplinare, idonei a gettare un gravissimo discredito sulla persona dell’incolpato e di riflesso sull’ordine di appartenenza, anche considerando che il Dott. G. – continua il giudice disciplinare – aveva agito spendendo e sottolineando il proprio status. In tal modo risulta illustrata la ragione della gravità dei fatti, tali da renderli incompatibili con l’esercizio della funzione. Quanto al resto del motivo in esame, va osservato che il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM è limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 (Cass. sez. U. n. 7691 del 2019). Le ulteriori censure contenute nell’ottavo motivo attengono al profilo della rilettura degli elementi di fatto.

Con particolare riferimento al nono motivo deve, infine, essere rammentato, alla luce dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 170 del 2018, n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981), che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma ha al contempo le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l’ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all’esercizio di quei diritti. Tali limiti sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (art. 101, comma 2, art. 104, comma 1 e art. 108, all’esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell’indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare”. L’esercizio dei diritti fondamentali di cui agli artt. 17,18 e 21 Cost. consente al magistrato, continua Corte Cost. n. 170 del 2018, “di manifestare legittimamente le proprie idee, anche di natura politica, a condizione che ciò avvenga con l’equilibrio e la misura che non possono non caratterizzare ogni suo comportamento di rilevanza pubblica”.

12. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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