Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7497 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. un., 08/03/2022, (ud. 22/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. PATTI Adriano – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso n. 26455-2021 proposto da:

V.R., rappr. e dif. dall’avv. Vincenzo Di Girolamo

vincenzo.digirolamo.ordineavvocatipescarapec.it, come da procura in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA;

– intimato –

per l’annullamento della sentenza C.S.M. 13 settembre 2021, n.

98/2021 nel proc. disc. n. 105/2017 – 48 – 79/2018 R.G.;

letta la requisitoria scritta del Procuratore Generale, in persona

dell’avvocato generale Dott. Renato Finocchi Ghersi;

vista la memoria della ricorrente;

sentito il ricorrente e udito il P.M. in persona dell’avvocato

generale Procuratore generale Dott. Ghersi Renato Finocchi che ha

concluso per il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella udienza del 22 febbraio

2022 dal consigliere relatore Dott. Ferro Massimo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.R. impugna – con atto depositato il 13.10.2021 – la sentenza C.S.M. 13 settembre 2021, n. 98/2021 nel proc. disc. n. 105/2017 – 48 – 79/2018 R.G. che, all’esito di giudizio di rinvio disposto con sentenza di queste Sezioni Unite n. 8563 del 2021, ne ha dichiarato la responsabilità per una parte degli illeciti disciplinari alla medesima ascritti, così infliggendo all’incolpata la sanzione della censura, assolvendo invece la stessa quanto all’illecito n. 3 del capo d’incolpazione per essere rimasto escluso l’addebito.

2. La sentenza ora impugnata aveva premesso che a V.R., nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, erano stati ascritti e per come riportati: a) l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1 lett. c), poiché nella qualità di sostituto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, mancando ai doveri di correttezza e di imparzialità, in costanza della sua relazione sentimentale con l’avv. Marco Di Domenico del foro di Lanciano, non osservava consapevolmente l’obbligo di astensione, trattando gli infrascritti procedimenti penali nei quali lo stesso D.D. interveniva come difensore o era Comunque interessato:

1)-omissis-;

2) proc. pen. 487/2010 RGNR a carico di P.F., S.R. e R.M., nel quale l’avv. D.D. era difensore di S.R. e la Dott.ssa V. svolgeva le funzioni di P.M. alla udienza in camera di consiglio del 19/1/2011;

3) proc. pen. 327/2011 RGNR nei confronti di L.M. + altri, in cui l’avv. D.D. aveva provveduto alla redazione della denuncia, depositata quando era di turno la Dott.ssa V., ed in cui la medesima, assegnataria del procedimento, svolgeva le indagini preliminari e conferiva consulenza tecnica;

4) -omissis-.

Notizia del 29/7/2016, acquisita in forma circostanziata successivamente, con le reciproche denunce della Dott.ssa V. e dell’avv. D.D., pervenute rispettivamente il 31/1/2017 ed il 30/6/2017.

(proc.disc.n. 105/2017R.G.);

b) l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1 lett. c), poiché nella citata qualità, in violazione del dovere di correttezza e di imparzialità, avendo allacciato una relazione sentimentale con l’avv. Marco D.D. del foro di Lanciano, si rendeva consapevolmente inadempiente all’obbligo di astensione, in presenza di gravi ragioni di convenienza e di un interesse personale, nel procedimento penale n. 943/2015 RGNR a carico di D.R.C. e F.A., per i reati ex artt. 635,624 e 625 c.p., in cui il D.D. era persona offesa e nell’ambito del quale, concluse le indagini preliminari emetteva, in data 27/7/2016, decreto di citazione a giudizio. Condotta tenuta a Lanciano dal 2015 al 2016.

Notizia circostanziata dei fatti acquisita il 1/3/2018.

(proc. disc. n. 48/2018 R.G.);

c) 1) l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. g), poiché, nella citata qualità, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza ed in grave violazione dell’art. 116 c.p.p., nel maggio 2016, autorizzava il rilascio di copie del proc. pen. 404 mod. 21 bis iscritto a carico di S.M., al sovrintendente della P.S. A.M., in servizio presso il Commissariato di Lanciano, sebbene non fosse competente ad autorizzare il rilascio, per essere stata esercitata l’azione penale con decreto di citazione a giudizio del 2/10/2015, per cui la relativa autorizzazione sarebbe stata di competenza del Giudice di pace;

d) 2) l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1 lett. c), poiché, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza, nella riferita qualità, si rendeva consapevolmente inadempiente all’obbligo di astensione, in presenza di gravi ragioni di convenienza e di un interesse personale, provvedendo in ordine alla istanza di rilascio copie del proc. pen. 404 mod. 21 bis iscritto a carico di S.M., avanzata dal sovrintendente di P.S. A.M., in servizio presso il Commissariato di Lanciano, rilascio che autorizzava, nonostante avesse con questi un intenso rapporto di collaborazione, familiarità, confidenza e particolare vicinanza, esorbitante la mera attività lavorativa (rapporto evoluto rapidamente in una vera e propria relazione sentimentale, almeno dal luglio 2016).

Così precisata l’incolpazione.

Condotta tenuta a Lanciano nel maggio 2016.

Notizia circostanziata dei fatti acquisita il 22/11/2017 quanto al capo 1) ed il 23/5/2018 quanto al capo 2).

(proc. disc. n. 79/2018 R.G.).

3. La sentenza Cass. S.U. n. 8563 del 2021 aveva premesso che, dopo l’assoluzione di V.R. dagli illeciti disciplinari con sentenza della Sezione Disciplinare del C.S.M. del 16 dicembre 2019, n. 15, il relativo ricorso per cassazione proposto dalla Procura generale presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), doveva essere accolto quanto al primo motivo, in particolare rilevando, sul presupposto che le condotte addebitate inerivano all’attività professionale, quali connotate da “specifiche violazioni dei doveri di imparzialità e correttezza processuale”, che:

– vige anche per il pubblico ministero l’obbligo di essere e fare il necessario per apparire imparziale, alla luce di un’interpretazione in chiave di doverosità dell’astensione di cui all’art. 52 c.p.p. per come intermediata dal precetto più generale dell’art. 323 c.p.;

– la Sezione Disciplinare aveva omesso di “prendere posizione sui singoli addebiti e senza spiegare in relazione a ciascuno di essi le ragioni per le quali gli atti compiuti con le modalità e sulle premesse indicate nell’incolpazione potessero non avere compromesso l’esercizio delle funzioni istituzionali dell’incolpata”.

Veniva, invece, rigettato il secondo motivo di ricorso (avuto riguardo a profili di censura attinenti all’illecito sub 4 della incolpazione a proc. disc. n. 105/2017), reputandosi corretta l’applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, per il suo carattere generale, così valorizzando la “circostanza che l’incolpata abbia partecipato ad un’unica udienza dinanzi al Gup per concordare un mero rinvio, dunque senza svolgimento di alcuna attività accusatoria/difensiva in senso tecnico”.

4. La sentenza ora impugnata, dopo aver mandato assolta l’incolpata, quanto all’illecito di cui al proc. disc. n. 105/2017 e relativo alla sua partecipazione quale P.M. nel procedimento penale n. 327/2011, per mancata prova sia che la redazione della denuncia provenisse in fatto dall’avvocato D.D. sia che la stessa magistrata comunque, in ipotesi, ne fosse a conoscenza, così difettando la consapevolezza della situazione di conflitto d’interesse, ha invece ritenuto la responsabilità per gli altri capi.

In particolare, ha ritenuto che:

– per i proc.pen. nn. 487/2010 e 943/2015 (di cui R.G. disc. n. 105/2017 e, rispettivamente, 48/2018) risultava provata la sussistenza di una relazione, almeno dal 2008, tra la Dott.ssa V. e l’avvocato (anche) penalista D.D.;

– al di là di una diversa prospettata epoca di cessazione della predetta relazione (per l’incolpata a dicembre 2015, per l’avvocato fino a maggio 2016), il fatto dello svolgimento delle funzioni di P.M. da parte della Dott.ssa V. nel procedimento n. 487/2010 in cui D.D. era difensore, ineriva ad un fatto anteriore (svolgimento di funzioni ad un’udienza camerale del gennaio 2011), mentre il successivo (con l’emissione del decreto di citazione a giudizio nel proc. pen. 943/2015 il 27 luglio 2016) comunque non escludeva un “interesse personale o familiare”, nella sua possibile declinazione di “ragioni di risentimento per le ritorsioni compiute nei suoi confronti” dall’avvocato;

– la Dott.ssa V. era consapevole che la prolungata relazione sentimentale con il citato legale la collocava in una situazione di conflitto d’interessi nella trattazione dei procedimenti penali in cui questi compariva, talora come parte processuale, talaltra anche come parte offesa, ciò generando un obbligo di astensione, secondo il principio fissato nella pronuncia di cassazione con rinvio, in realtà non ottemperato nelle condotte della magistrata;

– la predetta relazione, ancorché non sfociata in coabitazione, da plurimi elementi di prova emergeva come fatto di pubblico dominio, nota nell’ambiente giudiziario, secondo i riferimenti di colleghi, avvocati ed il tenore di esposti inoltrati da persone estranee al foro di Lanciano, circostanza considerata altresì nel trasferimento consiliare nel frattempo disposto;

– erano sussistenti inoltre gli illeciti nn. 1 e 2 del proc. disc. n. 79/2018, allorché la medesima P.M., successivamente coinvolta in una diversa relazione sentimentale con il sovrintendente di polizia A.M. (in servizio presso il locale Commissariato), al medesimo richiedente A. nel maggio del 2016 autorizzava il rilascio di copie di un procedimento penale, iscritto a carico di un terzo, senza averne titolo, poiché l’azione penale era già stata esercitata con il decreto di citazione a giudizio e la competenza era divenuta del giudice di pace, non adempiendo altresì al dovere di astenersi, per ragioni di grave convenienza e interesse personale stante la richiesta in favore del medesimo A. (che chiedeva le citate copie per ragioni personali);

– anche questa seconda relazione, ammessa, era dubbia solo con riferimento alla data del suo inizio, indicato dalla Dott.ssa V. nel luglio del 2016, mentre risultavano molteplici elementi indicatori di una vicinanza particolare tra i due anche pregressa, esorbitante la mera attività lavorativa, risalente all’aprile 2016 come emerso dall’audizione del Procuratore Generale dell’Aquila;

– i predetti capi d’incolpazione afferivano ad una condotta di “grossolano errore giuridico” funzionale a favorire A. o comunque denotante negligenza inescusabile, idonea a compromettere la considerazione di cui il magistrato deve godere, oltre che il prestigio dell’ordine giudiziario;

– l’esimente dell’invocata scarsa rilevanza del fatto, di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, andava infine esclusa per la reiterazione delle condotte censurabili adottate in un lungo arco temporale e nella piena consapevolezza della violazione dei doveri deontologici ricadenti sul magistrato.

5. Il ricorso verte su quattro motivi e ad esso ha fatto seguito una

memoria firmata dalla ricorrente stessa.

Il Procuratore Generale ha assunto conclusioni, anticipate da requisitoria scritta, nel senso di chiedere il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo, con riguardo al capo d’incolpazione del proc. disc. n. 105/2017 R.G., denuncia il vizio dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rilevante per omessa e illogica motivazione, oltre che ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3 e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per violazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente, avendo la sentenza C.S.M. omesso o illogicamente richiamato le prove sulla interferenza delle singole condotte di V. sulla funzione giurisdizionale, trascurando circostanze decisive addotte dall’incolpata (come la sua partecipazione limitata e solo finale, senza assumere conclusioni, nel procedimento in cui l’avvocato D.D. era difensore), conseguendone il difetto di conflitto d’interessi e della predetta interferenza.

2. Il secondo motivo, con riguardo al capo d’incolpazione del proc. disc. n. 48/2018 R.G., invoca, oltre alla contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione, anche i vizi di cui alle lettere b) e c) del medesimo art. 606 c.p.p., comma 1, nonché degli artt. 111 Cost. e 6CEDU e 521 c.p.p., in quanto l’emissione da parte della Dott.ssa V. del decreto di citazione a giudizio a conclusione di procedimento nel quale l’avvocato D.D. figurava quale persona offesa era atto di fine luglio 2016, quando in realtà la relazione tra i due (presupposta nell’incolpazione) era già cessata e pertanto non poteva predicarsi alcun interesse in conflitto, apparendo inconsistenti le ipotizzate ragioni di risentimento della magistrata, tanto più dato il tenore di vantaggio e non di danno per il cessato partner proprio dell’atto contestato, doveroso in base alle risultanze istruttorie ed emesso dall’unico P.M. in servizio.

3. Il terzo motivo, con riguardo al duplice capo del proc. disc. n. 79/2018, invoca la nullità della sentenza per illogicità della motivazione e travisamento della prova e omessa motivazione, secondo l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) avendo errato la Sezione Disciplinare nel presupporre un obbligo di astensione dell’incolpata per effetto di un’assegnazione di rilevanza retrodatata alla relazione con il terzo destinatario dell’atto, così valorizzando una intensità del rapporto già a maggio 2016 (epoca del rilascio degli atti al sovrintendente di polizia A.), mentre la relazione sentimentale vera a propria sarebbe iniziata a luglio 2016 e da nessuna deposizione testimoniale poteva trarsi un diverso riferimento temporale.

4. Il quarto motivo avversa la decisione ove essa, violando il principio di diritto della sentenza rescindente ex art. 627 c.p.p., comma 3 e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ha disatteso l’applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis e l’art. 5, travisando le prove e omettendo la motivazione anche ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), erroneamente non dando rilievo alla scarsa significatività dei singoli episodi, pur sostanzialmente ammessi, alla loro eterogeneità e alla distanza temporale fra di essi.

5. I primi due motivi, da trattare in via congiunta data la connessione, non sono fondati.

Va in primo luogo osservato che la considerazione disciplinare, per entrambi i capi di incolpazione ripresi nelle censure, ha avuto per oggetto (sia pur non in sé intesa) la relazione sentimentale della magistrata con un avvocato dello stesso foro di esercizio della funzione giudiziaria, secondo termini di inizio e di percezione ambientale che sono risultati pacifici, quanto al primo, e di precisa ricostruzione probatoria, quanto al secondo. La descritta condotta, per la sua risalenza e notorietà in ambito professionale, ha dunque integrato una fattispecie che, ricostruita dalla Sezione Disciplinare C.S.M. secondo il principio fissato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 8563/2021, ha integrato la sussistenza di un conflitto d’interessi, con consapevole obbligo di astensione non rispettato.

Queste Sezioni Unite hanno invero da tempo chiarito che ad integrare l’elemento psicologico dell’illecito non è necessaria la coscienza dell’antigiuridicità del comportamento costituente violazione del precetto, ma è sufficiente “la conoscenza di quelle circostanze di fatto in presenza delle quali, in considerazione della ricorrenza dell’interesse proprio o di un proprio congiunto, sussista l’obbligo di astensione, nonché l’adozione, cosciente e volontaria, dell’atto medesimo, pur versandosi in quella situazione”; così il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. c), consistente nella “consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge” non richiede infatti sotto il profilo soggettivo – “uno specifico intento trasgressivo, tantomeno finalizzato a favorire o danneggiare una delle parti, essendo sufficiente la consapevolezza nell’agente di quelle situazioni di fatto, in presenza delle quali l’ordinamento esige, al fine della tutela dell’immagine del singolo magistrato e dell’ordine di appartenenza nel suo complesso, che lo stesso non compia un determinato atto, versando in una situazione tale da ingenerare, se non il rischio, quantomeno il sospetto di parzialità di chi lo compie” Cass. S.U. 5942/2013, 10502/2016, 21974/2018).

6. Ne’ assume rilievo la dubitata chiusura della predetta relazione sentimentale, disputata quanto al luglio 2016, poiché il capo d’incolpazione sub proc. disc. n. 48/2018 non ne esige una correlazione in termini di attualità (come invece descritto nel capo d’incolpazione sub proc. disc. n. 105/2017), essendosi limitato a premettere che la Dott.ssa V., “avendo allacciato una relazione sentimentale” con il professionista, non si era astenuta nei procedimenti in cui quello era coinvolto, nonostante “gravi ragioni di convenienza e di un interesse personale”. Manca, dunque, contrariamente a quanto evocato in ricorso, ogni sostituzione officiosa dell’elemento costitutivo dell’addebito, apparendo chiaro che la stessa motivazione ha assunto il fatto storico della relazione tra la magistrata e l’avvocato, per le modalità in sé di svolgimento conosciuto in cui essa si era manifestata (pag.10), oltre che per il suo epilogo contrastato, a circostanza fondativa del dovere di astensione. Ne consegue la persistenza dell’interesse personale a non trattare i procedimenti in cui comunque fosse stato parte l’avvocato, anche a relazione finita, risultando – sul punto – il passaggio argomentativo che ipotizza le censurate “ragioni di risentimento” meramente concessivo della tesi dell’incolpata circa l’esaurimento pregresso del rapporto, mentre decisività assorbente, nella ricostruzione dell’illecito, va invece assegnata ai profili soggettivi. Questi risultano pienamente provati quanto al conflitto d’interessi ed in particolare alla derivata persistente interferenza tra l’atto ciononostante assunto e la doverosa percezione ambientale di imparzialità che andava assicurata all’azione giudiziaria, non essendo stati evitati il rischio o il sospetto di parzialità, cioè di imputazione della predetta condotta giudiziaria a ragioni estranee al dovere d’ufficio.

7. D’altronde, queste Sezioni Unite, con decisione la cui ratio ben può essere applicata anche ai doveri di condotta del pubblico ministero, proprio per il principio estensivo alla figura da ultimo ribadito proprio da Cass. S.U. 8563 del 2021 (e prima da Cass. S.U. 33537/2018, 21853/2012, 11431/2010) e così vincolante in questo giudizio, hanno affermato che il magistrato, il quale risulti “avere, o avere avuto, una relazione sentimentale con una qualsiasi delle parti dei processi nei quali è chiamato a giudicare o con taluno dei legali che tali parti assistono”, viene a trovarsi in una situazione in cui, per gravi ragioni di convenienza, egli – a norma dell’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), e art. 51 c.p.c., comma 1 – ha l’obbligo deontologico di astenersi, atteso che il legame di affetto tra il giudice e la parte o il suo difensore finisce per “intaccare la serenità e la capacità del giudice di essere imparziale, ovvero per ingenerare, sia pure ingiustificatamente, il sospetto che egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali ed intesa, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare gli eventuali destinatari” (Cass. S.U. 21947/2004). La lesione di tali regole della deontologia professionale nello svolgimento dell’attività giudiziaria ha dunque realizzato nella specie l’illecito disciplinare, per l’essenziale elemento della percezione ambientale diffusa e consistente della relazione non episodica del magistrato con il professionista indebitamente coinvolto negli atti adottati e per il conseguente effetto di appannare l’immagine di imparzialità che deve ispirare l’attività anche del pubblico ministero.

8. Ancora sull’inosservanza dell’obbligo di astensione e al di fuori della tipologia di relazione di causa, queste Sezioni Unite ne hanno ritenuto la configurabilità proprio con riguardo alla sua gradazione intensa e non occasionale o episodica, “in tutti i casi in cui si riscontri un rapporto di frequentazione tra il giudice ed il difensore della parte nel processo penale tale da rivelare uno stretto e risalente legame suscettibile di intaccare, per il modo e l’intensità che lo connota, la serenità e capacità del magistrato di essere imparziale, ovvero di ingenerare il sospetto che egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali e diretta, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare i destinatari” (Cass. S.U. 2301/2019).

9. In ciò, la sentenza è conforme al principio di Cass. S.U. 18302/2020 secondo cui, ai fini della configurazione dell’illecito ad opera del magistrato del pubblico ministero, rileva esclusivamente l’omessa astensione in presenza di un conflitto, anche solo potenziale, “tra l’interesse pubblicistico al perseguimento dei fini istituzionali di giustizia ad esso affidati dall’ordinamento e l’interesse alieno a tali finalità (privato o personale) di cui egli sia portatore in proprio o per conto di terzi, non essendo altresì necessaria l’effettiva realizzazione di tale ultimo interesse”.

In questo senso, non assumono portata scriminante – sul piano in sé degli elementi costitutivi dell’illecito – aspetti quali il modesto contributo d’impulso all’atto impresso dal magistrato, apparendo esso recessivo rispetto al violato dovere di astensione, mentre dalla Sezione Disciplinare, sul punto, risulta rispettato il principio indicato al giudice di rinvio nella sentenza di cassazione n. 8563/2021.

10. Ne’ infine assumono rilevanza, secondo lo scopo di delimitare in chiave accidentale la presenza del P.M. all’udienza dell’opposizione all’archiviazione del proc. 487/2010, le circostanze riferite nella memoria ex art. 378 c.p.c.. Tale atto risulta sottoscritto dalla parte personalmente (e con narrazione in prima persona) e come tale solo depositato dal suo difensore (con nota di accompagnamento autonoma e sia pur sottoscrizione digitale a margine iniziale anche dell’allegato). La memoria e’, quindi, inammissibile. In ogni caso essa non specifica gli elementi probatori asseritamente non valutati dal giudice disciplinare che hanno formato oggetto di preventiva illustrazione nei motivi principali. In proposito queste Sezioni Unite hanno precisato che, essendo il giudizio di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, regolato, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, dalle norme processuali penali solo nella fase della proposizione del ricorso e da quelle civili nella fase del giudizio, non trova applicazione l’art. 585 c.p.p., comma 4, che consente, nell’ambito del processo penale, di presentare “motivi nuovi”. L’atto depositato può essere riqualificato o introdotto come memoria di parte, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ammissibile solo se e in quanto “si limiti ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione e a confutare le tesi avversarie, nell’ambito delle argomentazioni già prospettate e sviluppate nell’atto introduttivo” (Cass. S.U. 15110/2021), evenienza questa non verificatasi nel caso in esame.

11. Il terzo motivo è infondato.

La sussistenza del duplice addebito, in coerenza con il capo d’incolpazione, ha posto in collegamento la violazione (certa) della regola di competenza autorizzatoria al rilascio di atti di un procedimento penale nel quale il P.M. non aveva tale prerogativa, essendo già stata esercitata l’azione penale con decreto di citazione a giudizio (e dunque rientrante nella competenza del giudice di pace), con una condotta agevolativa dell’interesse di un soggetto terzo, il sovrintendente di polizia A., che non aveva veste per richiedere il rilascio di copia di atti di altre parti, né poteva dirsi estraneo ad una relazione che, sfociata nel luglio 2016 in nuovo rapporto sentimentale con la V., già aveva assunto, secondo l’apprezzamento di fatto della Sezione Disciplinare, i tratti di una “familiarità, confidenza e particolare vicinanza, certamente esorbitante la mera attività lavorativa.. già prima della data indicata dall’incolpata”.

Il punto, per quanto centrale nel motivo di ricorso, è stato ricostruito dalla sentenza disciplinare alla luce delle dichiarazioni rese al C.S.M., in data 30 maggio 2017, dal Procuratore Generale dell’Aquila. Quest’ultimo ha riferito di essersi occupato di provvedimenti di tutela della sicurezza della Dott.ssa V., in conseguenza della segnalazione di un’asserita attività ritorsiva ordita dall’avvocato D.D. (non rassegnato alla fine della relazione), con ingaggio di persone di ambiente malavitoso (cui aveva fatto seguito il sequestro di materiale esplosivo e di una bomba) e, sulla base di un’ordinanza assunta dal competente giudice per le indagini preliminari, aveva collocato il termine di tali condotte nell’estate 2016. Si tratta di circostanza, per la quale aveva chiesto tutela in sede penale anche la stessa Dott.ssa V. e che conferma la preesistenza di una “specialità” di rapporto tra l’incolpata e il destinatario del rilascio di atti processuali, autorizzato da colei che non aveva il potere di farlo, tenuto conto della fase processuale. Il fatto è stato ricostruito dalla Sezione Disciplinare in termini di favoritismo, non apparendo disgiungibile la indubbia violazione processuale in se intesa dalla relazione con la persona a cui vantaggio la copia di quegli atti era diretta. In questo contesto, la prospettazione difensiva circa l’inizio della vera e propria stabile relazione sentimentale tra la magistrata e il sovraintendente solo a partire dal luglio 2016 non assume valore dirimente e degrada a circostanza meno decisiva, laddove si consideri che, come si desume dalla sentenza impugnata, la finalizzata azione minatoria dell’avv. D.D., secondo i descritti riferimenti d’indagine penale, trova la sua unica spiegazione logica e fattuale nell’esistenza di un rapporto più intenso rispetto ad una ordinaria relazione professionale tra P.M. e investigatore;

12. Il quarto motivo è fondato. L’esclusione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis è stata affermata dalla sentenza in ragione della considerazione delle condotte ascritte ad addebito disciplinare, accomunate dalla violazione del dovere di astensione in ragione di due rapporti sentimentali, pressoché consecutivamente intrattenuti. La stessa sentenza, peraltro, non manca di valutare che “i singoli episodi contestati non assumono autonomamente una particolare significatività” e che il riflesso sulla immagine di imparzialità ne sarebbe l’effetto in virtù della “reiterazione” e della “piena consapevolezza della violazione di regole deontologiche”.

13. In realtà, le ricadute dell’inosservanza del medesimo obbligo in relazione a differenti contestazioni disciplinari devono essere oggetto di autonomo apprezzamento per ciascuno degli illeciti disciplinari, non potendo il mero dato della reiterazione dei comportamenti determinare di per sé una presunzione assoluta di offensività degli stessi incidenti sul medesimo bene giuridico protetto, ossia la lesione dell’immagine d’imparzialità e del prestigio dell’ordine giudiziario.

La scarsa significatività, investendo tutte le condotte, ne permette un identico censimento alla stregua del principio per cui è ben possibile l’accertamento della condotta disciplinarmente irrilevante in applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis – “da identificarsi in quella che, riguardata “ex post” ed in concreto, non comprometta l’immagine del magistrato senza sovvertire il principio di tipizzazione degli illeciti disciplinari” (Cass. S.U. 29823/2020) – pur se il bene giuridico individuato specificamente dal legislatore in rapporto al singolo illecito disciplinare non coincide con quello protetto dal citato art. 3-bis..

E’ in realtà proprio già della sentenza qui impugnata il giudizio di non apprezzamento quale grave della singola offesa al medesimo bene giuridico sotteso alle due norme violate (del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c, g, in quanto i fatti integranti l’illecito tipizzato non hanno “determinato un’effettiva lesione dell’immagine pubblica del magistrato”. E’, pertanto applicabile detta esimente “in caso di esito negativo di entrambe le verifiche” (così anche Cass. S.U. 31058/2019). Non sono infatti emersi altri – diversi o più intensi – riflessi ambientali dalle condotte di coinvolgimento della ricorrente in procedimenti interessanti l’avvocato D.D. se non quelle marginali e prive di effettiva incidenza processuale già in precedenza esaminate. Relativamente poi al rilascio delle copie, attività pacificamente non rientrante nella competenza della Dott.ssa V., la relativa violazione è comunque emersa come ininfluente ai fini dell’esito o prosecuzione del processo, senza altri tratti di abuso, oltre l’atto in sé.

14. Può dunque dirsi che nell’escludere l’esimente la Sezione Disciplinare del C.S.M. non si è attenuta al principio, già espresso da queste Sezioni Unite, per cui la previsione della norma impone al giudice una valutazione d’ufficio, “sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell’incolpato, purché strettamente attinenti allo stesso, con giudizio globale diretto a riscontrare se l’immagine del magistrato sia stata effettivamente compromessa dall’illecito” (Cass. S.U. 22577/2019, 1416/2019). In realtà, alla affermazione della scarsa significatività della violazione processuale in sé ed anzi di ciascuno dei “singoli episodi” avuto riguardo alla “rilevanza nell’attività giudiziaria posta in essere” non ha fatto seguito un apprezzamento del tratto comune delle condotte che ne rivelasse come effetto unitario un più grave appannamento dell’immagine del P.M., nella percezione della comunità professionale o del contesto giudiziario. La sentenza non è invero riuscita, se non con mero richiamo al principio di affermata applicazione, a dare conto di una trasformazione qualitativa del pur ammesso difetto di una “particolare significatività” singolare degli episodi in una valenza oggettivamente offensiva e però di maggiore intensità del bene giuridico protetto dalle norme, pur violate, idonea a tradursi in grave alterazione dell’immagine di cui deve godere anche il P.M. nel contesto ambientale di esercizio delle pubbliche funzioni.

La indicazione temporale delle condotte ha registrato, nella ricostruzione causale del diniego dell’esimente, la mera ricognizione di una “reiterazione di comportamenti censurabili in un lungo arco di tempo e connotati da una piena consapevolezza della violazione di regole deontologiche di elementare portata per qualunque magistrato”. L’affermazione, tuttavia, per la sua assolutezza, da un lato non si coordina con la eterogeneità delle condotte sopravvissute al più ampio iter originario d’incolpazione nel procedimento disciplinare, palesando quale unico elemento identitario non la fattispecie concreta (non vi è stata reiterazione di fatti analoghi, cioè in sé intesa), ma piuttosto l’integrazione degli episodi di una violazione della identica norma giuridica. Dall’altro lato, la stessa motivazione non oltrepassa il censimento della modesta pluralità numerica degli episodi (due nel primo gruppo ed un terzo nell’altro), ma non considera la distanza dei fatti tra loro (2011 e 2016), il difetto di una propagazione d’impatto negativa di ciascuno di essi (e dei rispettivi effetti anche processuali) sulla complessiva immagine professionale del magistrato e l’intera sua attività, l’assenza di circostanze ulteriori idonee a conferire carica di offensività alle singole condotte sì da compromettere l’immagine dello stesso ordine giudiziario.

15. Ne deriva che una ricomposizione valoriale delle pur accertate violazioni deontologiche (e procedimentali), impone un giudizio negativo sulla ulteriore offensività degli episodi, dovendo l’accertamento evitare “la contraddittorietà e illogicità delle conseguenze tratte dall’esame complessivo degli elementi stessi” (Cass. S.U. 6468/2015) e forme ai presunzione assoluta di diniego dell’esimente derivanti dalla mera reiterazione di comportamenti incidenti sul “bene giuridico unico” protetto dalla norma, cioè “la compromissione dell’immagine del magistrato e dell’ordine giudiziario”.

16. Il ricorso va conclusivamente rigettato, quanto ai primi tre motivi, accolto quanto al quarto e, decidendo ai sensi dell’art. 384 c.p.c. nel merito in assenza di necessità di altri accertamenti di fatto, poiché i fatti ascritti alla ricorrente sono di scarsa rilevanza ex D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, la stessa va assolta dagli addebiti ascritti.

In relazione all’andamento del processo e alla progressività dei suoi atti istruttori si ritiene sussistente piena giustificazione alla compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio, stante anche la complessità della vicenda.

Non ricorrono infine i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione (Cass. S.U. 4315/2020), trattandosi di procedimento esente.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi, accoglie il ricorso quanto al quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, assolve la ricorrente dai capi d’incolpazione per la scarsa rilevanza del fatto, con compensazione integrale delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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