Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7494 del 24/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 24/03/2020), n.7494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17902-2018 proposto da:

D.S.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO

23, presso lo studio dell’avvocato LUCA SANTINI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1305/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1305 pubblicata il 7.12.17 la Corte d’appello di Bologna, in riforma della decisione del Tribunale di Ravenna, ha respinto la domanda proposta da D.S.E.M. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile per ciechi parziali ventesimisti (negata dall’Inps per carenza del possesso della carta di soggiorno);

2. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il termine semestrale di decadenza di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, decorresse dalla data di comunicazione (9.5.2013) del provvedimento emanato in sede amministrativa di rigetto della domanda per mancanza della carta di soggiorno, sicchè il ricorso introduttivo del giudizio depositato solo il 5.8.2014, dopo oltre un anno, fosse inammissibile;

3. avverso tale sentenza D.S.E.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso;

4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. col primo motivo di ricorso D.S.E.M. ha dedotto violazione o falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

6. premessa l’irrilevanza del mancato possesso della carta di soggiorno a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 22/2015, la ricorrente ha censurato la decisione d’appello per non avere considerato, ai fini del decorso di un nuovo termine di decadenza, la successiva fase comprendente il ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di diniego comunicato il 9.5.15 e il provvedimento emesso dall’Inps n. 140922 del 27.3.2014;

7. col secondo motivo di ricorso la D.S. ha dedotto violazione o falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, in combinato disposto con gli artt. 153 e 294 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non avere la Corte d’appello giustificato la decadenza dall’azione in ragione del comportamento dell’Inps che, nel provvedimento di rigetto del 9.5.13, aveva indicato la possibilità di presentare ricorso amministrativo nel termine di 90 giorni e azione giudiziaria entro tre anni dalla scadenza del termine previsto per la decisione del ricorso amministrativo;

8. il primo motivo è infondato;

9. questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in legge, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui dispone che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (poi differita al 31 dicembre 2004 in forza del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47, art. 23, comma 2) “non trovano applicazione le disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici di cui al presente articolo”, si riferisce ai ricorsi amministrativi precedentemente previsti sia contro i provvedimenti di mancato riconoscimento dei requisiti sanitari sia contro i provvedimenti di rigetto o revoca dei benefici economici attinenti a requisiti non sanitari, quali quelli cosiddetti socioeconomici. Di conseguenza, il termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria previsto dalla seconda parte dello stesso comma 3 opera sia con riguardo all’ipotesi in cui il diniego in sede amministrativa sia conseguente a ragioni sanitarie sia all’ipotesi in cui il diniego dipenda da ragioni diverse” (Cass. n. 25268/2016; n. 15573/2017; Sez. 6 n. 6699/2019; n. 12302/2019);

10. la tesi di parte ricorrente, secondo cui il termine di decadenza potrebbe decorrere anche dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul ricorso amministrativo, si scontra con la lettera e la ratio dell’art. 42, comma 3 cit. che ha disposto l’abolizione del contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile e collegato il termine semestrale di decadenza per la domanda giudiziale alla data di “comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa”, nonchè col principio secondo cui le norme che stabiliscono decadenze sono di stretta interpretazione sicchè ne è preclusa qualsiasi applicazione analogica o estensiva;

11. anche il secondo motivo di ricorso è infondato alla luce del principio affermato da questa Corte con riferimento alla decadenza prevista dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, ma applicabile anche alla decadenza prevista dal D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 42, comma 3, secondo cui, l’erronea indicazione da parte dell’INPS del termine per proporre ricorso in sede giurisdizionale, contenuta nel provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo, non è idonea ad incidere sul decorso dei termini di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, trattandosi di termini stabiliti da disposizioni di ordine pubblico, indisponibili dalle parti. (Cass. 12630/18; n. 10376/15);

12. le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso;

13. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo;

14. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2020

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