Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7494 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. II, 17/03/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13578/2019 proposto da:

Z.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIROLI

24, presso lo studio dell’avvocato GIULIANA FAEDDA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GERVASIO PAOLO CICORIA, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.A., Z.O.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 155, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIA ZHARA BUDA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMO ZHARA BUDA, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

Z.M., ZE.MA., Z.P., A.G.,

A.A., D.R., Z.F., ZE.MA.,

Z.A., ZE.AN., Z.M.L., B.F.,

B.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 853/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 10/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. In data 5 settembre 1964 Z.R., Z.G. e Ze.Gi. chiedevano che venisse autorizzato il sequestro giudiziario degli immobili facenti parte della successione ereditaria di P.E.. Concesso il sequestro, i ricorrenti instauravano, nell’aprile del 1965, il giudizio di convalida e proponevano domanda di divisione dei beni ereditari nei confronti di R.V. (in proprio e quale esercente la potestà sulla minore Z.E.), B.A., B.F. e B.D.. Il Tribunale di Melfi, con sentenza del 30 marzo 1973, dichiarava l’inammissibilità della domanda di divisione e l’inefficacia del sequestro.

Proposto appello nei confronti di tale decisione, la Corte d’appello di Potenza, con sentenza dell’11 maggio 1978, dichiarava la nullità del giudizio di primo grado per difetto del contraddittorio e rimetteva le parti davanti al Tribunale affinchè il giudizio si svolgesse altresì nei confronti di Z.E., nel frattempo divenuta maggiorenne.

Riassumevano il giudizio, in data 20 febbraio 1979, Z.R., z.a., Z.G. e A.C. e con comparsa del 18 marzo 1981 si costituiva Z.E.. Seguivano interruzioni e riassunzioni del giudizio, l’ultima delle quali ad opera di L.A., unico erede di Z.G., nel frattempo deceduta.

Con sentenza 24 maggio 2012, n. 259, il Tribunale di Melfi, dichiarata aperta la successione ereditaria, assegnava ad L.A. e ad Z.O. l’immobile oggetto della successione e condannava gli assegnatari a corrispondere agli altri condividenti i dovuti conguagli.

2. La sentenza veniva appellata in via principale da Z.E. e in via incidentale da L.A. e Z.O..

La Corte d’appello di Potenza, ritenuto che l’istanza di proroga del termine per provvedere alla rinnovazione della notificazione dell’atto di impugnazione agli appellati contumaci B.F. e B.D. non poteva essere accolta a fronte della mancata prova del fatto non imputabile, dichiarava con sentenza 10 dicembre 2018, n. 853 l’inammissibilità dell’appello principale, e di quello incidentale tardivamente proposto, per difetto di integrità del contraddittorio.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione Z.E..

Resistono con controricorso L.A. e Z.O.E..

Gli intimati Z.M., Ze.Ma. e Z.P. (eredi di Z.R.), A.G. e A.A. (eredi di A.C.), D.R., Z.F., Ze.Ma., Z.A., Ze.An. e Z.M.L. (eredi di z.a.), B.F. e B.D. (eredi di Z.O.) non hanno proposto difese.

Memoria è stata depositata dalla ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui si contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 153 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata identificazione e valutazione delle “cause non imputabili” che hanno determinato la concessione di un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio”: il giudice d’appello avrebbe erroneamente valutato le c.d. cause non imputabili di cui dell’art. 153 c.p.c., comma 2, che hanno indotto la richiesta di concessione di un nuovo termine per la rinotifica dell’appello, cause non imputabili solo marginalmente da identificarsi nell’attività di ricerca delle informazioni relative agli indirizzi corretti; la reale motivazione che ha indotto la ricorrente a chiedere un nuovo termine per la notificazione era “la materiale impossibilità che la notifica, seppure effettuata entro il termine previsto, potesse consentire il rispetto dei termini a comparire, (..) circostanza non certo imputabile all’appellante – che avrebbe anche potuto “lavarsene le mani” – ma a una errata fissazione dell’udienza a comparire” da parte del giudice.

Il motivo non può essere accolto. Risulta infatti che alla prima udienza del giudizio di secondo grado, l’appellante abbia chiesto al giudice di disporre la rinnovazione della notificazione, richiesta rinnovata in relazione a B.F. e D. il 2 gennaio 2014 e nuovamente all’udienza del 5 novembre 2014, in cui veniva altresì domandata l’abbreviazione dei termini a comparire ai sensi dell’art. 163-bis c.p.c., abbreviazione concessa dal giudice che fissava nel 5 marzo 2015 il termine per la notificazione e nel 3 giugno 2015 la successiva udienza; il 4 marzo 2015 l’appellante depositava istanza con cui chiedeva la fissazione di una nuova udienza e di un nuovo termine per la notificazione dell’atto di appello, termine concesso all’udienza del 3 giugno 2015. In sede decisoria, la Corte d’appello, esaminato il procedimento notificatorio andato a buon fine, ha precisato che nel precedente atto di notificazione erano stati indicati gli stessi indirizzi, ma erano semplicemente stati omessi alcuni elementi numerici relativi al luogo di residenza degli appellati negli Stati Uniti, così che non assumeva rilievo l’allegazione di parte appellante, a sostegno dell’istanza di proroga del 4 marzo 2015, della necessità di effettuare complesse indagini in Italia nè vi era stata l’indicazione della data dell’incarico all’investigatore statunitense, così che non risultava provata la sussistenza di un fatto non imputabile alla parte, con conseguente revoca del provvedimento di proroga.

Al riguardo la ricorrente allega che, in effetti, il profilo della integrazione degli indirizzi era marginale e che la richiesta di proroga del 4 marzo 2015 era in realtà dettata dalla preoccupazione che gli appellati americani non disponessero del termine a difesa di cui all’art. 163-bis c.p.c.. La ricorrente così non considera che il requisito dei termini a comparire di cui dell’art. 163-bis c.p.c., comma 1, è requisito posto non nel proprio interesse, ma dei destinatari dell’atto di notificazione e che, in ogni caso, era stata ella stessa a chiedere l’abbreviazione dei termini a difesa, abbreviazione concessa dal giudice d’appello (v. al riguardo il controricorso, p. 4 e la memoria della ricorrente, p. 1).

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 4.600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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