Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7485 del 27/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 27/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 27/03/2010), n.7485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Tagliamento

n. 76, presso lo studio dell’avv. Mario Limone, rappresentato e

difeso dagli avv.ti Lumbau Enzo e Nunzio Mazzocchi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sez. 17^, n. 41, depositata il 7 marzo

2008.

Letta la relazione scritta redatta dal relatore dott. Aurelio

Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che il contribuente propose ricorso avverso avviso di accertamento sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5, notificatogli, in assenza di dichiarazione, per irpef, addizionale regionale e addizionale comunale, relative all’anno d’imposta 2001;

– che l’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello del contribuente, dalla commissione regionale;

che i giudici di appello così motivarono:

“osserva il Collegio che con il proposto gravame l’appellante non ha fatto altro che riproporre i motivi già proposti con il ricorso di primo grado, senza confutare quanto affermato nella sentenza appellata in ordine all’onere della prova contraria che incombeva su esso appellante, nè il medesimo, di fronte alle precise e documentate argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria, peraltro desunte sia dalla scritture contabili della società, sia dal proprio sistema informativo, ha provato una diversa provenienza delle somme (che la parte in fatto della motivazione rivela pari a Euro 116.326,68) versate nella cassa della Società negli anni dal 1998 al 2003. Viceversa l’Agenzia appellata ha dimostrato che i redditi conseguiti dalla moglie dell’appellante O.D. negli anni in parola, detratte le imposte dalla stessa pagate con modelli F/24 erano appena sufficienti alle necessità di vita della famiglia, e pertanto erano assolutamente inadeguati a far fronte agli aumenti di capitale della Società. A ciò aggiungasi – secondo quanto affermato dall’Agenzia appellata e non contestato dall’appellante – che l’appellante è proprietario di due auto di cilindrata 2.500, che lo stesso risulta rappresentante legale e socio con quote del 10 e del 30 in ben quattro Società, che il medesimo ha acquistato negli anni 2002 e 2003 azioni per Euro 2.808,00 ed Euro 3.300,00. Tutto ciò fa chiaramente comprendere l’intento elusivo all’imposizione da parte del P. …”;

rilevato:

che avverso la decisione di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e art. 38, comma 6, (necessità del contraddittorio preliminarmente all’accertamento con il cd. redditometro) e dell’art. 112 c.p.c., comma 1, (omessa pronuncia su questioni proposte)”, censurando la decisione impugnata, sul piano dell’omessa pronunzia e su quello della violazione di legge, per non aver rilevato l’illegittimità dell’accertamento per difetto di preventivo contraddittorio;

considerato:

che il motivo è infondato sotto entrambi i profili;

che, in proposito, occorre infatti, in primo luogo, rilevare che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando, come nel caso di specie, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte implichi logicamente, pur in assenza di specifica argomentazione, il rigetto di detta pretesa (cfr. Cass. 10636/07, 4279/03, 4317/00);

che deve, poi, considerarsi che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposte dirette, l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’Ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per questo ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicchè la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso (cfr. Cass. 27069/06, 9198/91);

osservato:

che, con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3, 4, 5 e 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, formulando il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c. “… se: – in riferimento alla mancata considerazione della pluralità di elementi necessari ai fini dell’accertamento in esame (cd.

redditometro) la impugnata sentenza sia adeguatamente motivata e se violi o meno e/o abbia erroneamente applicato il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3, 4, 5 e 6 e, nel caso, determini gli effetti della violazione; – in riferimento alla mancata considerazione del reddito del nucleo familiare, la impugnata sentenza violi o meno e/o abbia erroneamente applicato il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3, 4, 5 e 6 e, nel caso, determini gli effetti della violazione;

considerato:

– che anche tale mezzo va disatteso;

che il correlativo quesito non ottempera, infatti, alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c.;

che invero – in disparte l’incoerenza di un quesito che indulga alla prospettazione di vizio motivazionale in presenza di denunzia di violazione di legge – deve, invero, considerarsi che, ai sensi della disposizione indicata, il quesito – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. s.u. 3519/08);

che il quesito non coglie, d’altro canto, la ratio decidendo della decisione impugnata, posto che, questa, si fonda sul positivo riscontro dell’inidoneità delle evocate risorse familiari a giustificare la maggior redditualita evidenziata dal “redditometro”;

ritenuto:

che, il ricorso del contribuente si rivela, quindi, infondato, sicchè va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, per la soccombenza, il contribuente va condannato al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 800,00 (di cui Euro 600,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

PQM

la Corte: respinge il ricorso, condanna il contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 800,00 (di cui Euro 600,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2010

 

 

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