Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7484 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11492-2020 R.G. proposto da:

M.A., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al ricorso, dall’avv. prof. Alessandro DAGNINO, presso il cui studio

legale sito in Roma, alla piazza del Popolo, n. 3 (Studio legale

d’Arpe – Lexia Avvocati) è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5201/08/2019 della Commissione tributaria

regionale della SICILIA, depositata in data 03/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2022 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRPEF emesso nei confronti di M.A. relativamente all’anno d’imposta 2006, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia rigettava l’appello della contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo correttamente motivato l’atto impositivo che richiamava per relationem il processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. e che dava, altresì, atto delle giustificazioni fornite dalla contribuente nel contraddittorio con l’Ufficio svoltosi in data 12/07/2012; inoltre, con riferimento alle sentenze penali di assoluzione della contribuente dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, la CTR sosteneva che né nella detta sentenza, né nelle dichiarazioni del D. (cui la M., che aveva dichiarato essere stata da quello indotta ad assumere la carica di presidente della MA.DA Group Soc. Coop., aveva conferito procura institoria ad operare sul conto corrente) vi era alcun riferimento al conto corrente personale della contribuente, i cui movimenti erano stati verificati e poi posti a base dell’atto impositivo;

– avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio; la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.Lgs. n. 32 del 2001, nonché della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 1, e dell’art. 15 preleggi.

1.1. Sostiene la ricorrente che il citato art. 7 “introduce (…) un generale divieto di motivazione per relationem” e che quindi aveva errato la CTR nel ritenere correttamente motivato l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti e dirimente la circostanza che il p.v.c. risultasse in precedenza notificato alla contribuente”, con conseguente sua conoscenza del contenuto dello stesso.

2. Il motivo è palesemente infondato e va rigettato ponendosi in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “In tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, lo Statuto del contribuente, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza” (Cass. n. 29968 del 2019) e nel caso di specie è incontestato che il processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. fosse stato previamente notificato alla contribuente (conf. Cass. n. 15327 del 2014; Cass. n. 32957 del 2018; Cass. n. 30560 del 2017; Cass. n. 29002 del 2017; Cass. n. 407 del 2015), e che il suo contenuto essenziale fosse stato comunque riportato nell’atto impositivo (cfr. Cass. n. 9323 del 2017).

2.1. Ulteriore ragione di infondatezza del motivo va, poi, ravvisato nel principio giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui “l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dal cd. Statuto del contribuente, art. 7, deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e sociale e di ragionevolezza, rispettivamente espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009), atteso che la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018, Rv. 648361)” (cfr., in motivazione, Cass. n. 15309 del 2021, non massimata). Conseguenza, questa, che, nel caso di specie, la ricorrente non ha neppure dedotto.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce due censure. Con la prima lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20. Con la seconda deduce un vizio logico di motivazione contestando l’omessa valutazione da parte della CTR della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato di infedele dichiarazione (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4).

4. La prima censura, in relazione alla quale, peraltro, la ricorrente nulla deduce ma che è all’evidenza fondata sulla violazione da parte dei giudici di appello delle disposizioni in materia di efficacia del giudicato penale nel giudizio tributario, si pone in insanabile contrasto con l’orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato, secondo cui alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, non può attribuirsi nessuna automatica autorità di cosa giudicata, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari (cfr., ex multis, Cass. n. 28174 del 2017).

5. Ritiene il Collegio che, diversamente dalla proposta del relatore (Cass., Sez. U., n. 8999 del 2009), anche la seconda censura sia infondata.

6. E’ pur vero che dal contenuto motivazionale della sentenza impugnata emerge che i giudici di appello si sono limitati a prendere in considerazione solo due delle sentenze penali prodotte in giudizio dalla contribuente, ovvero quella di prescrizione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, contestato con riferimento all’anno d’imposta 2005, e quella di assoluzione dal reato di cui al citato D.Lgs., art. 10-ter, contestato con riferimento all’anno d’imposta 2007, e che nessuna valutazione risulta essere stata fatta dalla CTR con riferimento alla sentenza penale di assoluzione dal reato di infedele dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, il cui contenuto, in parte qua è stato riprodotto nel ricorso.

6.1. Va però rilevato che con la censura in esame la ricorrente si limita ad evidenziare la mancata considerazione da parte dei giudici di appello della sentenza penale di assoluzione dal reato di infedele dichiarazione della MA.DA Group Soc. Coop., di cui era legale rappresentante, ma non contiene alcuna argomentazione in ordine alla decisività di quest’ultima ai fini dell’adozione di una statuizione diversa nell’ambito del presente giudizio tributario, che ha ad oggetto un avviso di accertamento fondato sulla verifica dei movimenti bancari del conto corrente personale della M. e, quindi, sull’infedeltà della propria dichiarazione, tenuto conto, peraltro, che il giudice penale ha affermato che la M. non avrebbe percepito i redditi risultanti dal p.v.c. della G.d.F. del luglio 2012 sulla scorta della sola “dichiarazione dei redditi prodotta dall’imputata”, che però l’Ufficio ha ritenuto essere infedele, stante le risultanze delle movimentazioni bancarie verificate sul conto personale della stessa, in relazione alle quali nulla viene detto nella predetta sentenza penale e tanto meno nel ricorso in esame.

7. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA