Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7482 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7100-2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.A., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce

al controricorso, dall’avv. Andrea GRECO, ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via Lutezia, n. 5, presso lo studio legale

dell’avv. Rodolfo ROMEO;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2707/06/2019 della Commissione tributaria

regionale della CALABRIA, Sezione staccata di REGGIO CALABRIA,

depositata in data 11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 25/01/2022 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di cinque intimazioni di pagamento emesse dall’agente della riscossione a seguito del mancato pagamento delle prodromiche cartelle di pagamento, che M.A. sosteneva non essergli mai state notificate, con la sentenza impugnata la CTR della Calabria, accertata la regolarità delle notifiche delle cartelle di pagamento, accoglieva parzialmente l’appello del contribuente, annullando la cartella di pagamento n. 09420100001431854000, che era stata notificata il primo agosto 2009, e la cartella di pagamento n. 094200880024512872000, notificata il 23 febbraio 2010, essendo per esse decorso il termine di prescrizione quinquennale con riferimento alla data di notifica delle intimazioni di pagamento;

– avverso tale statuizione l’agente della riscossione propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica con controricorso soltanto il M., restando intimata l’Agenzia delle entrate;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Va previamente dichiarata, in accoglimento dell’istanza in tal senso avanzata dalla stessa parte ricorrente, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere con riferimento al credito erariale, inferiore a mille Euro, risultante dalla partita di ruolo di cui alla cartella di pagamento n. 09420100001431854000, D.L. n. 119 del 2018 ex art. 4, comma 1, conv. con modif. dalla L. n. 136 del 2018, che prevede lo stralcio dei debiti fino alla somma di Euro 1.000,00 affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010 (cfr. Cass. n. 11410 del 2019, non massimata).

Ancora preliminarmente vanno, poi, esaminate le eccezioni del controricorrente di inammissibilità del ricorso.

Con riferimento alla cartella n. 09420080024512872000, notificata in data 01/08/2009, il controricorrente sostiene che la CTR aveva commesso un evidente errore di fatto nel ritenere compiuto il termine di prescrizione quinquennale al 23/05/2013, data di notifica dell’intimazione di pagamento relativa a tale cartella (che però in sentenza viene indicata in quella del 25/03/2013), e pertanto la ricorrente avrebbe dovuto proporre ricorso per revocazione.

L’eccezione in esame è infondata atteso che quello che viene dedotto dalla ricorrente con il primo motivo di ricorso è la violazione da parte dei giudici di appello delle disposizioni civilistiche in materia di prescrizione dei crediti erariali e non l’erroneità del computo dai medesimi effettuato, che pur emerge con evidenza dalla statuizione impugnata, in relazione alla quale la ricorrente avrebbe effettivamente dovuto proporre ricorso per revocazione ordinaria.

Parimenti infondata è l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza per avere la ricorrente omesso di specificare a quale credito si applicasse la prescrizione decennale.

L’eccezione, che in realtà è diretta a censurare la specificità del motivo di ricorso, è palesemente infondata giacché la ricorrente ha chiaramente argomentato nel ricorso circa l’applicabilità del termine decennale di prescrizione a tutti i crediti indicati nella cartella impugnata, sia per imposte che per sanzioni ed interessi.

Venendo, quindi, al merito del ricorso, con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c.. Sostiene la ricorrente che il credito indicato nella cartella di pagamento n. 09420080024512872000 per imposte erariali, sanzioni ed interessi fosse decennale e non quinquennale, come invece erroneamente ritenuto dalla CTR.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Sostiene la ricorrente che la CTR aveva “presupposto l’applicazione del termine quinquennale di prescrizione, senza, tuttavia, in alcun modo motivare in ordine alle ragioni per le quali addiveniva a tale soluzione interpretativa, nonostante la questione fosse stata espressamente oggetto di discussione tra le parti in entrambi i gradi di giudizio” (ricorso, pag. 12).

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono parzialmente fondati, nei termini di cui appresso si dirà.

Premesso che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017), la CTR nella sentenza impugnata, con riferimento alla questione posta dalle parti, di quale fosse il termine di prescrizione applicabile al caso di specie, non ha fornito alcuna spiegazione delle ragioni per le quali alla fattispecie si applicasse il termine quinquennale di prescrizione. Pertanto, la motivazione posta a sostegno della decisione impugnata deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 62983001), in quanto i giudici di merito, affermando che le cartelle erano state “tutte notificate regolarmente nei cinque anni dall’anno di riferimento dell’imposta” e che solo per quelle notificate il primo agosto del 2009 ed il 23 febbraio 2010 erano “trascorsi più di cinque anni” alla data di notifica dell’avviso di intimazione di pagamento, si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del proprio giudizio valutativo, senza, tuttavia, specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione, omettendo qualsiasi riferimento al contenuto delle argomentazioni svolte sul punto dalle parti (quelle dell’appellata agente della riscossione riportate, per autosufficienza, alle pagine 6 e 7 del ricorso), così impedendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata e, in buona sostanza, di comprendere le ragioni della decisione assunta, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito (cfr., ex multis, Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016, Cass. n. 20414 del 2018 e n. 13977 del 2019).

Peraltro, la statuizione impugnata, limitatamente alle imposte erariali, si pone in evidente contrasto con il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 23397 del 2016 (seguita da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra cui Cass. n. 9906, n. 11800 e n. 12200 del 2018), secondo cui “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Secondo la citata pronuncia, quindi, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore; ne consegue che nel caso di specie la CTR ha erroneamente interpretato tale principio ritenendo soggetto a prescrizione quinquennale tutti i crediti erariali, tra cui, nella specie IVA (cfr. Cass. n. 8256 del 2019, non massimata, e la giurisprudenza ivi richiamata) ed IRAP (Cass. n. 1543 del 2018), il cui termine prescrizionale è chiaramente decennale.

A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi con riferimento agli interessi e alle sanzioni collegati ai predetti tributi, il cui termine di prescrizione, diversamente da quanto risulta dal tenore dell’impugnata sentenza, è quello quinquennale.

Invero il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 3, stabilisce che “il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni”. A sua volta l’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4, prevede che “si prescrivono in cinque anni: (…) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Orbene, questa Corte ha, sul punto, avuto modo di puntualizzare che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile”, come nel caso di specie, “vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario” nell’ipotesi di esistenza del giudicato (cfr. Cass., Sez. U., n. 25790 del 2009; conf. Cass. n. 5837 del 2011; Cass. n. 5577 del 2019).

E’ stato, altresì, precisato, in materia di interessi dovuti per il ritardo nell’esazione dei tributi, che il relativo credito, integrando un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 30901 del 2019; Cass. n. 14049 del 2006; v. anche Cass. n. 12740 del 2020, con riferimento al termine quinquennale di prescrizione sia delle sanzioni che degli interessi).

Conclusivamente, quindi, con esclusivo riferimento alla cartella di pagamento n. 09420080024512872000, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, atteso che, per stessa ammissione del controricorrente, tra la data del 01/08/2009, di notifica della predetta cartella, e quella del 25/03/2013, di notifica dell’intimazione di pagamento, non è decorso neppure il termine quinquennale di prescrizione individuato dalla CTR, la causa va decisa nel merito con rigetto in parte qua dell’originario ricorso del contribuente.

In applicazione del principio della soccombenza, il controricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, mentre vanno compensate quelle di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.

P.Q.M.

dichiara cessata la materia del contendere con riferimento alla cartella di pagamento n. 09420100001431854000;

accoglie il ricorso con riferimento alla cartella di pagamento n. 09420080024512872000, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.100,00 per compensi oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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