Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7481 del 20/03/2020

Cassazione civile sez. III, 20/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 20/03/2020), n.7481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14067/2018 proposto da:

OFFICINE R. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore e amministratore unico R.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO CAVASOLA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CINZIA VALENTE, ROLANDINO GUIDOTTI;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE RAGNO DI A.R. & C. SAS, in persona della

legale rappresentante R.A., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCA GIUFFRE’, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ENRICO TRENTI, CESARE BASCHIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 408/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

Immobiliare Ragno di A.R. & C. s.a.s. propose innanzi al Tribunale di Modena intimazione di sfratto per morosità, con citazione per la convalida e richiesta di ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti, nei confronti di Officine R. s.r.l.. Quest’ultima, costituendosi, propose domanda riconvenzionale a titolo di risarcimento del danno. Disposto il rilascio dell’immobile, successivamente il Tribunale adito accolse la domanda di risoluzione della locazione per inadempimento della conduttrice e condannò quest’ultima al pagamento della somma di Euro 33.626,00 oltre interessi. Avverso detta sentenza propose appello Officine R.. Con sentenza di data 20 febbraio 2018 la Corte d’appello di Bologna rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, con riferimento al motivo di appello avente ad oggetto la circostanza dell’impedimento dell’accesso all’immobile, quanto segue: “rilevato preliminarmente come l’appellante non contesti puntualmente la allegazione di controparte, secondo la quale quest’ultima reiteratamente offrì al conduttore le nuove chiavi della porta, si osserva come, comunque, l’immobile stesso fosse dotato di due porte d’ingresso, di talchè l’accesso allo stesso sarebbe stato in ogni modo consentito (sul punto la planimetria catastale prodotta dall’appellato sub 8)”. Aggiunse, con riferimento al motivo di appello avente ad oggetto il mancato adeguamento degli impianti da parte del locatore, che il motivo era “stato articolato in termini generici, essendo specificata solamente la doglianza relativa alla messa a norma dell’impianto elettrico” e che a tale messa a norma avrebbe potuto provvedere la parte conduttrice con diritto alla ripetizione delle spese sostenute. Osservò inoltre, con riferimento al motivo di appello avente ad oggetto la mancata assunzione delle prove richieste, che l’istanza relativa alla CTU era esplorativa, “non essendo puntualmente specificati i profili di vizio sui quali l’accertamento tecnico avrebbe dovuto insistere” e che l’istanza di prova orale non era stata articolata in primo grado. Aggiunse, con riferimento al motivo di appello avente ad oggetto il computo dei canoni di locazione al lordo dell’IVA nonostante che Officine R. non vi fosse soggetta in quanto esportatore abituale, che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, non era applicabile perchè il contratto non era funzionale alla realizzazione di cessioni all’esportazione ma esauriva i propri effetti all’interno del Paese. Infine osservò che mancava la prova di un danno della conduttrice che fosse conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte e che la liquidazione equitativa non poteva supplire alla prova dell’esistenza del pregiudizio.

Ha proposto ricorso per cassazione Officine R. s.r.l. sulla base di sei motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che, benchè catastalmente l’immobile fosse dotato di due ingressi, come risultava dalla perizia di parte prodotta dalla convenuta la porta di accesso al cortile interno risultava bloccata in posizione di chiusura da barre di acciaio murate, sicchè non vi era per la conduttrice possibilità di accedere da un secondo ingresso. Aggiunge, con riferimento alla questione dell’omessa consegna delle chiavi, che il giudice di appello non ha valutato le contestazioni sollevate nella memoria integrativa nei termini seguenti: la proprietaria, dopo avere sostituito la serratura di accesso, non aveva consegnato una copia delle nuove chiavi alla conduttrice; “di nessun valore la circostanza che il legale avversario abbia formulato un’offerta di riconsegna, circostanza che risulta contraddetta dai fatti”.

Il motivo è inammissibile. La prima ragione di inammissibilità della proposta denuncia di vizio motivazionale è la seguente: ricorrendo l’ipotesi di “doppia conforme” prevista dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, la ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; 27 settembre 2016, n. 19001; 22 dicembre 2016, n. 26774), ma tale onere non risulta assolto.

In secondo luogo va evidenziato che la statuizione sul punto è assistita da due rationes decidendi: l’appellante non ha contestato puntualmente l’allegazione di controparte, secondo la quale quest’ultima reiteratamente aveva offerto al conduttore le nuove chiavi della porta; l’immobile era dotato di due porte d’ingresso, sicchè l’accesso allo stesso sarebbe stato in ogni modo consentito. La prima ratio è stata impugnata riprendendo il passaggio contenuto nella memoria. Il giudice di merito non ha negato che la contestazione vi sia stata, ha affermato che la contestazione non è stata svolta in modo puntuale, e ciò alla luce del fatto, evidentemente, che l’appellante ha affermato che la circostanza dell’offerta di riconsegna da parte del legale della controparte “risulta contraddetta dai fatti”. Quest’ultimo rilievo è rimasto incomprensibile, nel senso che la parte non ha chiarito in quali termini si potesse ritenere l’allegazione contraddetta dai fatti. A parte quest’ultimo profilo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la ricorrente non ha in modo specifico indicato quali siano state le allegazioni di controparte in modo da apprezzare se la contestazione svolta sia stata “puntuale”.

La persistenza di questa prima ratio decidendi (a parte la preliminare ed assorbente ragione di inammissibilità derivante dalla doppia conforme) rende priva di decisività l’impugnazione della seconda ratio, con cui si è inteso richiamare l’omesso esame di circostanza rappresentata nella perizia di parte.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che non si trattava solo di ripristinare l’impianto elettrico, ma era l’intero immobile a versare in stato di fatiscenza ed a richiedere una vera e propria ristrutturazione.

Il motivo è inammissibile. Anche in tal caso la prima ragione di inammissibilità discende dal mancato assolvimento dell’onere processuale relativo alla ricorrenza di un’ipotesi di doppia conforme. In secondo luogo va evidenziato che il giudice di appello ha valutato il motivo di appello, a parte il profilo dell’impianto elettrico, come non specifico e dunque inammissibile in quanto in violazione dell’art. 342 c.p.c.. La ricorrente non ha impugnato la statuizione di inammissibilità del motivo, ma ha opposto la denuncia di vizio motivazionale, censura inefficace in presenza della mancata impugnazione del giudizio di inammissibilità del motivo di appello.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che l’istanza di CTU non era esplorativa in quanto, sulla base della documentazione prodotta dalla stessa parte, erano stato evidenziati i profili di vizio che il consulente avrebbe dovuto esaminare. Aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, nella memoria integrativa in primo grado la prova orale era stata articolata nei termini seguenti: la porta secondaria era sprangata dall’interno con una barra infissa nel muro; l’impianto elettrico risultava dismesso; la conduttrice era stata nel possesso dell’immobile per un periodo limitato; l’immobile presentava molteplici segni di fatiscenza.

Il motivo è inammissibile. Con riferimento alla CTU nella presente sede di legittimità non può sindacarsi la valutazione svolta dal giudice di appello afferente al merito della controversia, ed in particolare la non sufficiente specificazione dei vizi su cui la consulenza avrebbe dovuto vertere. Peraltro, mentre quanto all’impianto elettrico vale quanto affermato dal giudice di appello (si trattava di intervento che la conduttrice avrebbe potuto effettuare ripetendo poi le spese dalla locatrice), quanto agli altri profili vi è il giudizio di inammissibilità dell’appello. Stanti queste statuizioni, la censura resta priva di decisività.

Con riferimento alla prova orale, va in primo luogo evidenziato il profilo di errore revocatorio dell’impugnazione, in quanto si denuncia una svista del giudice di merito. Trattasi di profilo da denunciare con il rimedio della revocazione e non con il ricorso per cassazione. In ogni caso la censura sarebbe priva di decisività, avuto riguardo al contenuto dei capitoli di prova: la chiusura della porta secondaria ed il mancato possesso sono irrilevanti alla stregua della ratio decidendi relativa alla questione della consegna delle chiavi; la dismissione dell’impianto elettrico è irrilevante alla luce dell’onere incombente sul conduttore (provvedere alla riparazione e ripetere le spese sostenute); lo stato di fatiscenza dell’immobile è irrilevante alla stregua dell’inammissibilità del relativo motivo di appello.

Con il quarto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che era onere della locatrice provare l’esatto ammontare del credito e che la quantificazione dei canoni è errata.

Il motivo è inammissibile, stante la ricorrenza di un’ipotesi di doppia conforme ed il mancato assolvimento dell’onere processuale indicato a proposito dell’esame del primo motivo.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che in relazione agli anni 2009, 2014 e 2015 la conduttrice era esente da IVA in quanto esportatrice abituale e che le fatture emesse dalla locatrice dovevano recare tale esenzione in quanto la locazione, al pari del leasing, costituiva prestazione di servizi (cfr. Cass. n. 23239 del 2013).

Il motivo è inammissibile. Lo scrutinio del motivo presuppone l’indagine di merito sulla circostanza di fatto della qualità di esportatrice abituale in relazione agli anni indicati nel motivo. Trattasi di indagine preclusa nella presente sede di legittimità. Peraltro la ricorrente non ha proposto specifica denuncia di vizio motivazionale in ordine alla circostanza di fatto in questione.

Con il sesto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che il rilievo del difetto di prova circa il danno da parte del giudice di appello rappresenta la conseguenza dell’omesso esame dei fatti di cui ai motivi precedenti.

L’inammissibilità dei precedenti motivi, sui quali poggia il motivo in considerazione, ne determina l’assorbimento.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, con l’assorbimento dell’ultimo motivo. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2020

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