Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7478 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. I, 23/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.23/03/2017),  n. 7478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6982/2012 proposto da:

P.F., (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di titolare

dell’omonima impresa, elettivamente domiciliato in Roma, Viale

Mazzini n. 123, presso l’avvocato Giannini Luciano, rappresentato e

difeso dall’avvocato Serrao Giulia, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Carlopoli, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Montello n. 20, presso

l’avvocato Barberio Simona, rappresentato e difeso dall’avvocato

Sardo Giuseppe, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 del Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato U. CAPOCASALE, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI

Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. P.F., quale titolare dell’omonima impresa di costruzioni ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 34/2011, depositata il 21 gennaio 2011, con la quale il giudice di seconde cure – in riforma della decisione n. 504/2005, emessa dal Tribunale di Lamezia Terme – rigettava in toto la domanda di risarcimento proposta dal P., per difetto di prova del danno. Il ricorso è affidato a due, motivi, illustrati con memoria. Il resistente ha replicato con controricorso.

2. Le censure sono infondate.

2.1. Con la prima il ricorrente si duole che la Corte di Appello, non abbia applicato, nella specie, la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., quanto meno con riferimento alle spese generali di cantiere ed al mancato conseguimento dell’utile per il periodo di sospensione dei lavori, benchè la stessa Corte avesse ritenuto che il pregiudizio – derivato all’impresa P. dalla sospensione sine die dei lavori oggetto del contratto in data 20 settembre 1998, disposta dall’amministrazione comunale in data 28 gennaio 1989 – fosse certo e riconducibile eziologicamente alla condotta illegittima della stazione appaltante. Senonchè va osservato che, in tema di appalto di opere pubbliche, le cosiddette spese generali, mentre non costituiscono perdite o causa di danni nel periodo in cui le opere sono eseguite, essendo computate nel prezzo pagato all’appaltatore, sono invece dovute a quest’ultimo a titolo risarcitorio in caso di illegittima sospensione dei lavori e devono essere liquidate in misura percentuale sul prezzo dell’appalto (Cass. 2/3/2009, n. 5010). E tuttavia, è evidente che tali spese generali, disciplinate dal D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 16 (ed ora del D.M. 19 aprile 2000, n. 145, art. 5), che le pone a carico dell’appaltatore, includendole fra quelle che devono determinare la formazione del prezzo dell’appalto, devono essere quantificate dalla stessa impresa esecutrice delle opere, in quanto l’organizzazione dei mezzi di cui all’art. 1655 c.c., postula l’impianto di un cantiere sul luogo di esecuzione dei lavori, per l’intera durata degli stessi, gravante esclusivamente sull’appaltatore (Cass. 18/5/2016, n. 10165). Ne discende che, laddove tali spese siano dedotte in giudizio a titolo di risarcimento dei danni per l’illegittima sospensione dei lavori, spetta all’appaltatore medesimo comprovarne l’ammontare in relazione all’intero arco di durata della sospensione, essendo ben possibile – ed anzi corretta – la loro riduzione in relazione al decorso del tempo (Cass. 5010/2009).

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha, per contro, accertato che – come rilevato dalla disposta c.t.u. – l’impresa appaltatrice non aveva fornito prova alcuna nè della “deminutio patrimonii” (spese generali di gestione del cantiere, maestranze, mezzi, attrezzature, ecc.), nè del “lucro cessante”, ed ha ritenuto non liquidabile – come indicato dal consulente – il danno subito dall’appaltatore in misura pari alla svalutazione monetaria sulle somme che il P. avrebbe percepito se i lavori fossero proseguiti regolarmente, trattandosi di obbligazione di valuta non oggetto di rivalutazione monetaria. Tale motivazione – da ritenersi congrua ed immune da vizi logici – non è stata, tuttavia, neppure censurata dal ricorrente.

2.2. Con la seconda censura, il P. deduce, poi, che la Corte di Appello sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo rigettato in toto la domanda di risarcimento proposta dall’istante, per difetto di prova dell’esistenza del danno, sebbene l’appellante Comune di Carlopoli – senza porre in alcun modo in discussione l’an debeatur accertato dalla decisione di prime cure – si sarebbe limitato a censurare la sentenza impugnata soltanto in relazione al quantum, per essersi il primo giudice discostato dalle conclusioni della disposta c.t.u.. Va, per contro, osservato che, in tema di risarcimento del danno, il giudicato formatosi sull'”an debeatur” copre soltanto l’astratta potenzialità lesiva del fatto illecito, ma non preclude di stabilire nel giudizio di appello – come è accaduto nella specie – che, in concreto, il pregiudizio non si sia affatto verificato (cfr. Cass. 18/11/1995, n. 11953; Cass. 9/7/2014, n. 15595).

3. Il ricorso proposto da P.F. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato, con condanna del ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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