Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7478 del 20/03/2020

Cassazione civile sez. III, 20/03/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 20/03/2020), n.7478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16786/2017 proposto da:

ASSOCIAZIONE BIENNALE DELLE ARTI E DELLE SCIENZE DEL MEDITERRANEO

BIMED, in personale del legale rappresentante p.t., domiciliata ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ILARIA CAPUTI;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ STUDI PERUGIA, in persona del Rettore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 420/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 08/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento;

udito l’Avvocato ILARIA CAPUTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Associazione Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Perugia dell’8/6/2017 che, accogliendo l’appello dell’Università di Perugia avverso la sentenza di prime cure pronunciata tra le parti, ha accertato doversi ritenere sussistente la convenzione con la quale l’Associazione si era impegnata nei confronti dell’Università a finanziare una borsa di dottorato di ricerca in storia dell’arte ed aveva versato una parte delle somme destinate al finanziamento. La sentenza d’appello ha conseguentemente riformato la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo intimato dall’Università per il pagamento delle somme relative alle residue annualità del corso di dottorato, ritenendo dovute le suddette somme.

La sentenza impugnata, per quel che ancora qui di interesse, ha ritenuto che la convenzione stipulata tra l’associazione attuale ricorrente e l’Università degli studi di Perugia fosse stata sottoscritta da soggetto munito dei poteri per conto dell’Associazione e fosse stata accettata per corrispondenza (in data 23 maggio 2003) dall’università. In applicazione della sentenza di questa Corte n. 12540 del 17/6/2016 la Corte territoriale ha ritenuto di aderire all’indirizzo formalistico secondo il quale i contratti della p.a. devono risultare da forma scritta ad substantiam ed essere consacrati in un unico documento ma, in attenuazione del formalismo, ha precisato che la sottoscrizione dell’unico documento può avvenire anche in tempi e luoghi diversi, dovendosi in ogni caso la volontà delle parti desumere esclusivamente dal documento scritto.

In riforma della sentenza di primo grado, che aveva escluso la prova del contratto, ha condannato parte appellata alla refusione delle spese del grado.

Avverso la sentenza l’Associazione Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo propone ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi. Resiste l’Università con controricorso. La causa, assegnata all’adunanza camerale della Sesta Sezione civile del 22 novembre 2018, è stata rinviata per la trattazione in pubblica udienza in considerazione del fatto che i motivi di ricorso pongono all’esame della Corte questioni relative ai contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione ed ai modi e tempi di produzione dei documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente censura la sentenza per aver omesso di considerare che, nella fattispecie in esame, il requisito della forma scritta proprio degli atti della Pubblica Amministrazione non era stato soddisfatto dal momento che mancava la consacrazione in un unico documento dello scambio tra proposta ed accettazione. Infatti era stata acquisita agli atti una missiva del direttore artistico dell’Associazione con cui lo stesso si impegnava a sostenere le spese della borsa di dottorato ma non anche l’atto scritto di convenzione nel quale erano trasfuse le volontà delle parti. Nè poteva ritenersi costituire espressione della volontà dell’ente una nota del Collegio dei revisori dei conti erroneamente interpretata come ratifica della convenzione. Il Giudice aveva altresì errato nel ritenere derogabile l’art. 17 del richiamato decreto, in caso di conclusione del contratto con imprese commerciali, dal momento che l’associazione stipulante non era ascrivibile alla suddetta categoria.

1.1 Il motivo è fondato. La giurisprudenza consolidata di questa Corte è orientata nel senso di richiedere, al fine di soddisfare il principio della forma scritta dei contratti della P.A., la contestualità delle manifestazioni di volontà relative alla formazione del contratto. Proposta ed accettazione possono essere anche contenute in documenti distinti purchè siano poi consacrate in un unico documento. Nel caso di specie, invece, non vi era stata la contestualità della sottoscrizione nè si verteva in regime derogatorio delle prescrizioni di cui all’art. 17 del R.D. del 1923 in quanto l’associazione sottoscrivente l’impegno contrattuale non era ascrivibile ad impresa commerciale.

Nel preferire questa soluzione, consacrata in diverse pronunce di questa Corte (Cass., U, n. 6827 del 23/3/2010; Cass., 1, n. 6555 del 20/3/2014; Cass., 3, n. 12540 del 17/6/2016, Cass., 2, n. 27910 del 31/10/2018), il Collegio intende aderire all’indirizzo più formalistico in tema di interpretazione del R.D. n. 2440 del 1923, preferendo questa interpretazione ad altra, pure fatta propria da altre pronunce di questa Corte, volta ad attenuare il formalismo ed a ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta da uno scambio di missive, contenenti proposta ed accettazione, senza che le due dichiarazioni di volontà siano consacrate in un unico documento.

La tesi più rigorosa è da preferire in quanto assolve ad una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento ai controlli dell’autorità tutoria.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 112,101,183345 c.p.c., motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’impugnante censura la sentenza per non aver aderito alla impostazione della sentenza di prime cure che aveva soddisfatto quanto prescritto dall’art. 112 c.p.c., statuendo che l’Università, onerata della prova del proprio credito, non aveva soddisfatto tale onere della prova della fonte negoziale o legale del suo diritto. Il contratto, ove formalmente sottoscritto, avrebbe dovuto essere prodotto entro i termini perentori di cui all’art. 183 c.p.c., mentre solo con l’atto di appello l’Università aveva prodotto il documento dell’11/6/2003, peraltro successivo a quello con il quale l’Università avrebbe accettato la proposta contrattuale di cui non vi è traccia in atti. Il documento, prodotto solo in grado di appello e consistente in una pretesa ratifica della volontà dell’ente da parte del Collegio dei revisori dei conti, non poteva integrare la prova del contratto, prova che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere acquisita agli atti nei termini delle preclusioni di cui al primo grado di giudizio.

Il Giudice d’Appello, omettendo di valutare quanto esposto avrebbe pronunciato in spregio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

2.1 Anche questo motivo è fondato in ragione del fatto che con l’opposizione al decreto ingiuntivo si è instaurato un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la pretesa vantata dal creditore ingiungente. La pretesa è cristallizzata nel decreto ingiuntivo rispetto al quale il debitore opponente è convenuto in senso sostanziale mentre il creditore ingiungente è attore. Da ciò segue che, nell’ambito dell’ordinario giudizio di cognizione, il contratto avrebbe dovuto essere prodotto entro i termini perentori dell’art. 183 c.p.c., mentre, nella sostanza, è mancata la sua tempestiva acquisizione al giudizio. Peraltro la Corte d’Appello, ancorchè richiesta di pronunciarsi sulla tardività della produzione in giudizio del contratto e sulla mancanza della prova del credito, ha omesso ogni motivazione sul punto in violazione dell’art. 112 c.p.c..

3. Conclusivamente il ricorso va accolto per quanto di ragione, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, a seguito di trattazione in pubblica udienza, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2020

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