Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7474 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. II, 31/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COM TAORMINA IN PERSONA DEL SINDACO PRO TEMPORE DOTT. T.

A. P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA MARGANA 2 9, presso lo studio dell’avvocato BARLETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CURRO’ CARMELO;

– ricorrente –

contro

IRPEOS SRL IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.A.

P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI ALBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SAITTA GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 220/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato Gramazio Giovanni con delega depositata in udienza

dell’Avv. Saitta Giuseppe difensore del resistente che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Taormina proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Messina con il quale era stato intimato ad esso Comune di pagare alla s.r.l. Irpeos L. 59.500.000 a titolo di compenso per l’elaborazione della cd.

scheda “FIO”, ossia dello studio economico e finanziario per l’analisi dei costi e dei benefici e la verifica dell’impatto ambientale in relazione ad un progetto di collegamento sotterraneo tra i versanti nord e sud del centro storico della città.

Il tribunale di Messina accoglieva l’opposizione con sentenza 18/3/2002 avverso la quale la s.r.l. Irpeos proponeva appello.

Con sentenza 12/4/2005 la corte di appello di Messina, in riforma dell’impugnata pronuncia, rigettava l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo in questione. Osservava la corte di merito: che il Comune di Taormina aveva affidato agli ingegneri L.S.A. ed P.A. la redazione del progetto esecutivo e la direzione dei lavori di un collegamento sotterraneo tra gli opposti versanti della città; che con la clausola di cui all’articolo 7 del disciplinare di incarico era stato consentito ai progettisti di far gravare direttamente sul Comune l’obbligo di compensare quanti da essi richiesti della prestazione di attività e servizi funzionali alla redazione del progetto; che il meccanismo contemplato per mettere in diretto rapporto codesti collaboratori con il Comune era quello della emissione da parte dei primi di fatture intestate al Comune e vistate dai progettisti; che tale visto doveva garantire la riconducibilità della spesa all’ambito contrattuale con conseguente delega al Comune per il pagamento delle somme fatturate; che occorreva verificare;

1) se l’opera svolta dalla società appellante su incarico degli ingegneri L.S. e P. era finalizzata ad integrare il progetto ad essi affidato dal Comune;

2) se la spesa era contenuta nei limiti previsti;

3) se era stata emessa iattura intestata al Comune;

4) se la fattura era stata vistata dai progettisti e trasmessa al Comune; che la documentazione in atti consentiva di dare risposta affermativa a tutti i detti quesiti; che, come era pacifico, la scheda FIO era parte integrante del progetto curato dai menzionati ingegneri; che il CTAR. con voto del 10/1/1989, nel giudicare il progetto di variante meritevole di approvazione, aveva tenuto conto dell’allegata scheda FIO riducendo la relativa spesa a L. 50 milioni, oltre IVA, ossia la somma chiesta in sede monitoria; che ciò fugava ogni dubbio in ordine sia alla pertinenza dell’elaborato all’incarico di progettazione affidato al L.S. ed al P., sia al contenimento della spesa entro i limiti previsti; che la società Irpeos aveva emesso regolare fattura intestata al Comune; che la fattura era stata inviata per il visto al L.S. il quale, dopo averla vistata, l’aveva rimessa all’ingegnere capo dei lavori – Lu.Ug. – con richiesta di liquidazione e con ” attestazione che si trattava di prestazione attinente alla redazione della scheda FIO:

che l’ing. Lu. aveva consegnato la fattura al Comune pur manifestando perplessità sul dovere di pagarla; che era sufficiente il visto del progettista L.S. e non occorreva quello dell’ingegnere capo dei lavori le cui perplessità erano ingiustificate; che non mancavano sul piano formale i presupposti di cui all’art. 633 c.p.c..

La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta dal Comune di Taormina con ricorso affidato a tre motivi. La s.r.l. Irpeos ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Comune di Taormina denuncia vizi di motivazione e violazione degli artt. 3 e 7 del disciplinare di incarico in relazione al R.D. n. 350 del 1895, artt. 1 e 58 e D.M. 29 maggio 1895, art. 1. Deduce il ricorrente che i testi legislativi di riferimento del disciplinare di incarico individuano nell’ingegnere capo la figura sotto la cui responsabilità, vigilanza e cura si redigono i progetti e si provvede ai relativi pagamenti. Ha quindi errato la corte di appello nel ritenere sufficiente il visto del solo progettista L.S. che operava sotto la direzione dell’ingegnere capo il quale peraltro aveva manifestato perplessità circa la spettanza delle competenza in questione. Non rientrava tra i compiti della corte di appello anche quello di definire ingiustificate le dette perplessità. La corte di merito, inoltre, ha errato nel far riferimento al voto CTAR e nell’accreditare valore probatorio ad un atto prodotto in copia.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione e violazione degli artt. 2702, 2704 c.c. art. 116 c.p.c. artt. 3 e 7 del disciplinare di incarico in relazione al R.D. n. 350 del 1895, artt. 1 e 58 e D.M. 29 maggio 1895, art. 1. Ad avviso del Comune la corte di appello ha errato nell’attribuire valore di prova – in ordine all’inoltro ad esso Comune della fattura posta a base del decreto ingiuntivo opposto – alla lettera di chiarimenti del 29/1/97 a firma dell’Ing. Lu. redatta dopo l’inizio del giudizio di opposizione ed avente un contenuto diverso da quello fatto proprio dal giudice di secondo grado.

Con il terzo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione degli artt. 633 e 634 c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 7 del disciplinare di incarico e al R.D. n. 350 del 1895, artt. 1 e 58 e D.M. 29 maggio 1895, art. 1 nonchè vizi di motivazione, sostenendo che la corte di appello ha errato nel giudicare sussistenti sul piano, formale i presupposti di liquidità, esigibilità e documentazione del credito.

Dagli atti processuali emerge che tale convincimento è arbitrario:

la fattura in questione è infatti relativa ad un progetto non approvato, non è stata mai inviata ad esso Comune, è di data incerta, è priva del parere dell’ingegnere capo e dello stesso progettista L.S., è priva dei dati relativi all’emittente e degli estremi fiscali del destinatario. D’altra parte l’ing. Lu.

ha confermato che la fattura non andava pagata. Mancavano, quindi, i requisiti per la concessione del decreto ingiuntivo.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che – per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione – possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza risolvendosi tutte, quale più quale meno e sia pur sotto aspetti e profili diversi, essenzialmente in una critica dell’attività istituzionalmente riservata al giudice del merito ed insindacabile in questa sede di legittimità ove (come appunto nella specie) sorretta da motivazione adeguata e congrua.

In particolare i primi due motivi di ricorso riguardano l’interpretazione del contratto stipulato dal Comune di Taormina e gli ingegneri L.S. e P. – avente ad oggetto l’incarico della progettazione di un collegamento viario sotterraneo – con specifico riferimento alle clausole contenute negli artt. 3 e 7 del disciplinare di incarico.

Al riguardo è appena il caso di richiamare e ribadire il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice de merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. L’identificazione della volontà contrattuale – che. avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, concreta un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica.

Questa Corte ha anche più volte rilevato che non è sindacabile in sede di legittimità la scelta da parte del giudice de merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione delle parti, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i criteri principali (significato letterale e collegamento tra le varie clausole contrattuali) siano insufficienti all’individuazione della comune intenzione stessa.

Nella specie la corte di appello ha proceduto all’interpretazione del contratto in questione – e delle riportate clausole il cui testo, nelle parti essenziali, è stato riprodotto nella decisione impugnata – ed alla valutazione del significato letterale e logico delle espressioni utilizzate e delle indicazioni contenute nell’art. 7 del disciplinare di incarico.

Il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell’interpretazione del contenuto del detto contratto e delle relative clausole è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata e corretta, immune dai vizi denunciati.

A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, è evidente che le censure in proposito mosse dal ricorrente devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente, al convincimento stesso e, cioè, all’interpretazione del contratto e delle clausole contrattuali in modo difforme da quello auspicato: il Comune di Taormina contrappone all’interpretazione del contratto ritenuta dalla corte di merito la propria interpretazione. Ciò rende manifesto che è stato investito il risultato interpretativo raggiunto, il che è inammissibile in questa sede.

Analoghi argomenti valgono al fine di evidenziare l’infondatezza delle critiche mosse alla interpretazione e valutazione del voto CTAR. della lettera di chiarimenti dell’ing. Lu., della fattura emessa dalla società Irpeos.

Sotto altro profilo le dette censure non sono meritevoli di accoglimento in quanto prospettano una diversa analisi del merito della causa criticando l’incensurabile apprezzamento delle risultanze istruttorie operata dal giudice del merito. Il Comune ricorrente fornisce una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.

La corte di appello – come sopra esposto nella parte narrativa che precede – è pervenuta alla conclusione che:

1) l’opera svolta dalla s.r.l. Irpeos su incarico dei progettisti era finalizzata ad integrare il progetto commissionato dal Comune di Taormina;

2) la spesa relativa alla detta opera era contenuta nei limiti previsti;

3) la fattura era stata regolarmente emessa dalla citata società e poi. vistata dal progettista L.S., era stata trasmessa al Comune.

La corte di merito è giunta a tale conclusione all’esito di quanto accertato in fatto alla luce delle risultanze probatorie acquisite ed ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie ed esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Sono quindi insussistenti gli asseriti vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella effettuata dal giudice del merito.

Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la corte di merito, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi della società Irpeos ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi del ricorrente.

Va infine segnalato che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto in ricorso) che nei gradi di merito il Comune di Taormina abbia sollevato la questione (cui si fa cenno nel primo motivo) relativa alla conformità all’originale del documento (voto del CTAR) esibito in copia dalla società Irpeos. Del pari non risulta che il ricorrente in primo grado o in secondo grado abbia contestato la regolarità formale (ritenuta insussistente nel terzo motivo di ricorso) della fattura emessa dalla resistente e posta a base del decreto ingiuntivo opposto.

Le censure in proposito mosse dal ricorrente sono quindi inammissibili non essendo state precisate in ricorso le modalità con le quali le dette questioni sono state prospettate in primo e in secondo grado.

E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui ove il ricorrente in sede di legittimità proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Le riportate tesi esposte dal ricorrente con il primo e con il terzo motivo non sono quindi deducibili in questa sede di legittimità perchè introducono per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di secondo grado perchè non richieste.

Il ricorso va quindi rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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