Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7474 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. I, 23/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.23/03/2017),  n. 7474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16917/2015 proposto da:

General Motors Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Monte

Giordano n. 36, presso l’avvocato Rossi Maurizio, che la rappresenta

e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio per l’Area Industriale di Fiumicino – CAIF, in persona del

Presidente legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via D. Chelini n. 5 presso l’avvocato Berliri

Fabrizio, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3151/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MAURIZIO ROSSI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato COSTANZA NUCCI, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo e

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso depositato il 23 febbraio 2007, il Consorzio per l’Area Industriale di Fiumicino domandava la pronuncia di una ingiunzione nei confronti di General Motors Italia s.r.l. per il pagamento di contributi consortili relativi agli anni 2002, 2003 e 2004, come da bilanci approvati dalle assemblee dei consorziati dell’8 aprile 2003 e del 15 dicembre 2005.

Avverso il decreto pronunciato dal Tribunale di Roma, l’intimata proponeva opposizione con citazione notificata il 23 maggio 2007: eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito e l’insussistenza delle condizioni necessarie per la pronuncia monitoria di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c.; in via subordinata chiedeva sospendersi in giudizio in attesa della definizione di altro procedimento avente ad oggetto l’impugnazione delle delibere di approvazione dei bilanci e, in via ulteriormente gradata, di revocare il decreto ingiuntivo per infondatezza delle pretesa azionata.

Il Consorzio si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con sentenza pubblicata il 26 settembre 2007 il Tribunale di Roma respingeva la detta opposizione.

2. – La pronuncia veniva quindi impugnata da General Motors e la Corte di appello di Roma, nella resistenza del Consorzio, rigettava il gravame con sentenza pubblicata il 14 maggio 2014.

3. – Con proprio ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati da memoria, General Motors ha impugnato quest’ultima decisione. Il Consorzio resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso è lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 1241 c.c.. L’istante, attraverso una particolareggiata ricostruzione delle vicende afferenti la vita del Consorzio, costituito dai proprietari delle aree facenti parte di un comprensorio a destinazione industriale sito nel Comune di Fiumicino, espone che risultava essere creditrice, nei confronti del medesimo, per consistenti importi: sicchè, a fronte della compensazione delle contrapposte partite di debito e credito, la propria esposizione nei confronti della controparte in relazione al consuntivo 2002 era limitata all’importo di Euro 30.167,41. Aggiunge che il giudice di prime cure aveva omesso ogni pronuncia su tale deduzione difensiva e che la Corte di merito, pur riconoscendo la mancata decisione della questione da parte del Tribunale, aveva osservato come la domanda introdotta con il ricorso monitorio avesse ad oggetto il pagamento di oneri consortili maturati negli anni 2002, 2003 e 2004, mentre i crediti vantati da General Motors concernevano periodi precedenti. Rileva di contro la ricorrente che era suo diritto contestare l’ammontare della pretesa creditoria oggetto dell’ingiunzione sotto il profilo indicato e che non assumeva rilevanza il momento in cui il proprio credito fosse sorto. D’altro canto, venendo in questione una compensazione impropria – visto che i rapporti di debito e credito non erano autonomi l’uno dall’altro -, il giudice del merito avrebbe dovuto procedere a un mero accertamento contabile di dare e avere, indipendentemente dalla proposizione, da parte dell’interessato, della domanda riconvenzionale e della eccezione di compensazione.

1.1. – Il motivo è infondato.

Come si è detto, la Corte di merito ha osservato, per quanto qui rileva, che la domanda azionata col ricorso monitorio aveva ad oggetto oneri consortili maturati negli anni 2002, 2003 e 2004, mentre i “crediti eventualmente vantati” da General Motors erano relativi ad anni precedenti.

Ciò posto, la locuzione “eventualmente vantati”, impiegata dal giudice del gravame vale evidentemente a sottolineare la natura puramente ipotetica del diritto opposto da General Motors nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: credito che, del resto, la ricorrente non deduce che fosse stato accertato giudizialmente, nè assume che risultasse pacifico in causa.

Ora, la compensazione esige la certezza del credito opposto in compensazione: secondo quanto ricordato di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, se l’esistenza del controcredito è controversa, nel giudizio instaurato dal creditore principale o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, nè legale nè giudiziale: lo stesso art. 1243 c.c., comma 2, rende inoperante l’eccezione di compensazione, sia legale che giudiziale, se è controverso l’an del controcredito; in tale ipotesi – è stato precisato – I giudice del,credito principale non può ritardare la decisione su tale credito fino all’accertamento, da parte sua o di altro giudice, dell’esistenza di quello opposto in compensazione (Cass. Sez. U. 15 novembre 2016, n. 23225).

Nella fattispecie che qui interessa la ricorrente deduce di aver opposto una compensazione impropria. E’ ben noto che, in tema di estinzione delle obbligazioni, se la reciproca relazione di debito-credito trae origine da un unico rapporto, si è in presenza di una ipotesi di compensazione impropria, in cui l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice anche d’ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione c.d. propria che, per operare, postula l’autonomia dei rapporti e richiede l’eccezione di parte (per tutte: Cass. 15 giugno 2016, n. 12302; Cass. 10 novembre 2011, n. 23539). La compensazione impropria rende in altri termini inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poichè in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o di domanda riconvenzionale (Cass. 19 aprile 2011, n. 8971; sul potere del giudice, in caso di compensazione impropria, di attuare l’accertamento delle partite di debito e credito indipendentemente dalla proposizione di eccezione di compensazione o di domanda riconvenzionale la giurisprudenza di questa S.C. è consolidata; così, tra le tante: Cass. 13 agosto 2015, n. 16800; Cass. 29 agosto 2012, n. 14688; Cass. 30 marzo 2010, n. 7624).

Ciò non significa, tuttavia, che, la compensazione impropria possa essere opposta in assenza delle condizioni che consentono di far valere la compensazione propria e che, in particolare, essa possa attuarsi anche allorquando il credito opposto in compensazione – sia privo dell’attributo, della certezza. Infatti, ciò che distingue la compensazione propria da quella impropria è il dato dell’autonomia dei rapporti ai quali i crediti e i debiti delle parti si riferiscono, non il fatto che questi debbano essere certi (oltre che liquidi – o di pronta e facile liquidazione – ed esigibili). D’altro canto, affermare che ai fini della compensazione propria il credito opposto in compensazione debba essere certo, mentre ai fini di quella impropria possa non esserlo, porterebbe, sul piano pratico, a conseguenze inaccettabili. Verrebbe infatti procrastinata la pronuncia sul credito azionato, imponendosi al titolare di esso di attendere l’accertamento del controcredito opposto in compensazione impropria dalla controparte: ciò che non si verificherebbe, invece, nel caso di compensazione propria, giacchè – come si è visto – la non certezza del controcredito osta alla compensazione, sia legale che giudiziale, in base all’art. 1243 c.c., comma 2.

Reputa pertanto il Collegio che, indipendentemente da ogni ulteriore profilo, correttamente la Corte di appello, in assenza di ele menti che conferissero certezza al credito opposto dall’odierna ricorrente, abbia escluso la compensazione.

2. – Con il secondo motivo è lamentata la nullità del procedimento. Ricorda la ricorrente che alla prima udienza del 9 luglio 2007 il suo procuratore aveva insistito nell’eccezione di incompetenza e ribadito la volontà di conseguire l’accoglimento delle domande formulate in citazione. Il Consorzio, a mezzo del difensore, aveva invece richiesto la concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. Il giudice aveva poi disposto il rinvio per la discussione e decisione, a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., sull’eccezione di incompetenza territoriale ed entrambe le parti si erano quindi avvalse del termine per note che era stato loro assegnato prendendo posizione solo sulla questione pregiudiziale indicata. Il Tribunale aveva però deciso la causa nel merito, rigettando l’opposizione. La Corte di appello, al riguardo, aveva disatteso le doglianze di essa ricorrente osservando: che nel momento in cui la causa viene trattenuta in decisione il giudice è investito del potere di deciderla anche nel merito, indipendentemente dalla questione preliminare o pregiudiziale in vista della quale sia stata programmata la decisione; che il termine ex art. 183 c.p.c., comma 6doveva essere concesso solo se richiesto, e nella fattispecie non era stata formulata alcuna istanza da parte di General Motors; che in ogni caso la società appellante non poteva limitarsi a lamentare la mancata concessione del termine, ma avrebbe dovuto specificare sia il tema del decidere sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare, sia le prove che essa avrebbe dedotto. Sul punto la ricorrente rileva come in presenza della richiesta formulata dal Consorzio il Tribunale fosse tenuto alla concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. Assume, inoltre, di aver specificato in che termini la violazione delle norme processuali posta in atto dal Tribunale avesse inciso sul proprio diritto di difesa: in tema, vengono richiamati stralci della citazione in appello e della comparsa conclusionale depositata nella fase di gravame.

Il terzo motivo è rubricato come violazione del diritto di difesa ad un giusto processo. Lamenta la ricorrente che le parti erano state invitate a limitare le proprie note autorizzate al solo profilo della competenza e che le stesse avevano confidato nel fatto che l’eventuale decisione di rigetto dell’eccezione di incompetenza sarebbe stata accompagnata da “un’ordinanza di rimessione in istruttoria”. Era invece seguita una decisione a sorpresa che aveva investito il merito dell’opposizione, ignorando integralmente i rilievi formulati dall’opponente in punto di quantum debeatur. Nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte di Roma aveva “ratificato” la violazione dei diritti di General Motors, che non aveva potuto contraddire con il Consorzio, replicando alle difese di questo e formulando proprie richieste istruttorie.

2.1. – I due motivi si prestano a una trattazione unitaria.

Le questioni prospettate non sono fondate.

Anzitutto, la mancata concessione del termine, da parte del Tribunale, è priva di rilevanza: e ciò ancorchè il Consorzio – non la società ricorrente – ne avesse fatto richiesta. E infatti, in forza del combinato disposto dell’art. 187 c.p.c., comma 1 e dell’art. 80 bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 di detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che ogni diversa interpretazione delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il favor legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c. (Cass. 11 marzo 2016, n. 4767).

Resta conseguentemente assorbita la censura vertente sull’affermazione della Corte di merito secondo cui General Motors avrebbe mancato di chiarire, in appello, quale fosse il thema decidendum su cui il giudice di prime cure si sarebbe dovuto pronunciare. Per mera completezza, può tuttavia osservarsi che la conclusione cui è pervenuta la Corte distrettuale è pienamente condivisibile. Va premesso, infatti, che ove venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il thema decidendum e il thema probandum, l’appellante che faccia valere tale nullità – una volta escluso che la medesima comporti la rimessione della causa al primo giudice – non può limitarsi a dedurre tale violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il thema decidendum sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fosse stata consentita la richiesta appendice di trattazione, e quali prove sarebbero state dedotte (Cass. 31 ottobre 2014, n. 23162; Cass. 9 aprile 2008, n. 9169). Ebbene, la ricorrente ha riprodotto una parte del proprio atto di appello: sono ivi contenute delle semplici deduzioni relative al merito della vicenda che interessa la compensazione impropria, ma nulla è precisato in ordine alle allegazioni e alle istanze istruttorie che sarebbero state formulate in primo grado da General Motors nel caso in cui fossero stati concessi i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. La stessa ricorrente ha poi trascritto, in ricorso, uno stralcio della propria comparsa conclusionale: ed è evidente, in proposito, che le deduzioni ivi formulate – indipendentemente dal loro contenuto – non assumano rilevanza ai fini che interessano, dal momento che il motivo di appello basato sulla denunciata violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, doveva essere articolato, nella sua compiutezza (avendo quindi pure riguardo alle nominate indicazioni circa il thema decidendum e il thema probandum), nella citazione di appello.

Con riferimento alla denunciata violazione dei diritti di difesa, si osserva, anzitutto, che la censura è carente di autosufficienza, in quanto l’istante non riproduce il verbale contenente le prescrizioni del magistrato, che invece riassume.

In secondo luogo, la doglianza circa la lesione dell’affidamento della parte su di una pronuncia in rito (sulla sola competenza) si dimostra inconsistente ove si consideri che a norma dell’art. 189 c.p.c., comma 2, la rimessione della causa in decisione investe l’organo giudicante di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell’art. 187 c.p.c., commi 2 e 3 (e, cioè, quando il giudice si avvale della possibilità di rimettere in decisione una questione preliminare di merito o una questione pregiudiziale di rito). Nè rileva che non siano state rassegnate conclusioni istruttorie, in quanto in tal caso la decisione della causa va assunta allo stato delle emergenze probatorie eventualmente esistenti (Cass. 7 ottobre 2011, n. 20641; Cass. 7 settembre 2004, n. 17992). E’ evidente, in tale prospettiva, che la parte – che è rappresentata in giudizio da un difensore, e quindi da un soggetto che, per la veste qualificata che ha e la funzione che esercita, deve essere perfettamente in grado di cogliere il senso dei passaggi processuali – non possa lamentare la decisione di merito quand’anche le parti fossero state invitate a discutere sulla questione di competenza.

3. – In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

4. – Le spese di giudizio sono regolate dal principio di soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00, ci cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% per cento ed agli accessori di legge; si dà atto che parte ricorrente è tenuta a procedere, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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