Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7474 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. I, 08/03/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 08/03/2022), n.7474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6301/2019 proposto da:

A.G.E.A., Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, nella persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

B.A., B.M. e B.G., rappresentati e

difesi dagli Avv.ti Umberto De Luca e Alessandro Malossini, come da

procura speciale e mandato alle liti in calce al controricorso, e

dall’Avv. Gianluca Mignacca, in virtù di procura in calce alla

comparsa di costituzione di nuovo difensore, anche disgiuntamente

tra di loro, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv.

Alessandro Malossini, in Roma, via Varrone, n. 9;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

L.R.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di TRENTO, sezione

distaccata di BOLZANO, n. 47/2018, pubblicata il 14 aprile 2018,

notificata il 13 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2021 dal consigliere Dr. Caradonna Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. Con sentenza del 14 aprile 2018, la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, proposta dall’A.G.E.A., con atto di citazione in riassunzione, già costituita parte civile nel procedimento penale sub n. 7710/03 R.G.N. R., adducendo che doveva essere rivalutata la condotta dei convenuti B.A., M. e G. e di L.R., ai fini della sussistenza del reato di truffa consumata ex art. 640 bis c.p. e non tentata per gli anni 2001, 2002 e 2003, avendo essi effettivamente percepito i premi per i bovini maschi traendo in inganno l’ente pagatore attestando falsamente in apposite dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà la disponibilità delle superfici foraggere necessarie per avere diritto a detti pagamenti.

2. La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 30 ottobre 2012, n. 42363, aveva accolto il ricorso proposto dalla Procura Generale della Corte d’appello, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino dell’11 marzo 2011, annullando con rinvio, con riguardo ai capi d’imputazione sub 3-4-5-6-8-9-11-16-17-19-22-23, perché la motivazione della Corte territoriale appariva non solo viziata sotto i profili evidenziati dal ricorrente, ma non chiariva neppure se, nelle ipotesi in cui era stato ritenuto che gli imputati avevano provato di essere nel possesso di validi titoli giuridici, come e quando i medesimi fossero stati formati, statuendo che il giudice di rinvio verificasse, caso per caso, anche rivalutando l’intero materiale probatorio in atti: a) se gli imputati fossero in possesso o meno di un valido titolo giuridico; b) se, in caso affermativo, i suddetti titoli fossero di data anteriore all’uso delle superficie foraggere; c) se, in alternativa, utilizzassero le superficie foraggere per il pascolo in base a “prassi abituali sul territorio nel settore dell’agricoltura”.

3. La Corte di Cassazione penale, sesta sezione penale, inoltre, con la sentenza 1 dicembre 2015, n. 47495, aveva accolto il ricorso proposto dall’A.G.E.A., affermando il principio che la parte civile potesse giovarsi dell’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza n. 206/2013 e, per, l’effetto, aveva annullato la sentenza n. 4/2013 della Corte d’Appello, sezione distaccata di Bolzano, e aveva rinviato il processo al giudice competente per valore in grado di appello, cui sarebbe spettato di decidere sulle richieste di parte civile, non incidendo la prescrizione dei reati sul suo diritto al risarcimento del danno.

4. La Corte adita, per quel che rileva in questa sede in relazione al motivo di censura formulato, ha affermato:

– con riferimento al capo 3), Azienda R. anno 2002, imputati B.M. e L.R., che era provato che i capi di bestiame erano stati effettivamente portati all’alpeggio nella zona di malga Gelo, per la quale la società R. aveva regolare contratto di affittanza e l’utilizzo delle aree sottostanti, non solo per il transito ma anche per la sosta, era stato espressamente autorizzato dalla Provincia, Servizio Foresta, tenuto conto anche della particolare conformazione dei luoghi e che, l’avere indicato nella domanda anche l’effettivo utilizzo delle particelle 2303, 2305, 2306, 2308 c.c., Daone era giustificato dall’esistenza di espressa autorizzazione della P.A.T. richiesta il 15 marzo 2002 (prima della domanda di contributi comunitari), nonché dalla prassi abituale esistente in quella zona e, quindi, non si poteva ritenere che nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà vi fosse coscienza e volontà di attestare falsamente fatti contrari al vero e di porre un raggiro in danno dell’A.G.E.A..

-con riferimento al capo 9), Azienda (OMISSIS) anno 2002, imputati B.A. e L.R., che la domanda di contributi era stata presentata in data 24 aprile 2002, però già in data 28 febbraio 2002, con Delib. n. 5, il Comune di Terlago aveva stabilito di concedere in affitto il pascolo di malga Terlago e non era pervenuta alcuna domanda a parte quella dell’azienda (OMISSIS); doveva, quindi ritenersi che, in base a detta deliberazione, l’affittanza del pascolo di Malga Terlago sulla p.f. 2815/1, che non era stata circoscritta ad un’area di 79 ettari, era stata espressamente concessa all’azienda (OMISSIS) per il periodo 20 giugno 2002 – 30 settembre 2002; con riferimento al Comune di (OMISSIS) il teste V. aveva ricordato di avere seguito i pascoli dei B. a malga Terlago e malga (OMISSIS); il teste Be.Ad., segretario comunale, aveva precisato che formalmente non c’era alcun contratto, ma capitava che il bestiame sconfinasse nella limitrofa malga Terlago e che gli imputati avevano formale contratto di affittanza con il Comune di Terlago e la società Paganella 2001 s.p.a., avente ad oggetto la gestione delle piste sa sci e i terreni su cui esse insistevano, ma non esistevano specifiche delimitazioni, né con la zona di competenza di detta società, né con i pascoli di pertinenza di malga Terlago;

-con riferimento ai capi 16) e 17), azienda Durone, anni 2001-2003, imputato B.A., erano valide le considerazioni già esposte al capo 9) per la società (OMISSIS) (capo 16) e soccorreva l’accordo verbale con il pastore F.L. del 2 gennaio 2003, con richiamo alle osservazioni di cui al capo 4), ovvero gli organi locali erano a conoscenza del pascolo di bovini dei B. in quella zona ed avevano autorizzato la realizzazione di un acquedotto tra malga Valando ed il pascolo Buse de Venedec (capo 17);

-con riferimento al capo 19), azienda C., anno 2003, imputati B.A. e B.G., era in atti Delib. della Coop ABICA del 19 marzo 2003 di assegnazione dei pascoli, particelle 4, 42 e 46, in c.c. (OMISSIS) alla società C. e i testi L.G., Ca.Gi. avevano confermato la presenza di animali, comprovata dal Mod. 7 del 28 settembre 2003, dalle attestazioni di pagamento a favore dell’A.S.L. di Cremona, dalle fatture di trasporto del 30 settembre 2003 e del 31 ottobre 003, dall’attestazione di avvenuto pascolo del Comune di (OMISSIS) dell’Ufficio di polizia municipale del 12 gennaio 2004.

5. L’A.G.E.A., Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, ricorre in Cassazione con atto affidato ad un unico motivo.

6. B.A., B.M. e B.G. resistono con controricorso.

7. L.R. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. Con il primo ed unico motivo si lamenta la nullità della sentenza per mancato rispetto del principio di diritto enunciato nella sentenza n. 42363/2012 della Suprema Corte, in violazione del disposto dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la Corte d’appello ottemperato all’obbligo di uniformarsi al principio di diritto espresso nella prima sentenza di annullamento emessa dalla Corte di Cassazione, sezione penale, n. 42363/2012 e avendo l’istruttoria dibattimentale, richiamata nella sentenza del primo giudice penale, evidenziato l’insussistenza di alcuno ius pascendi, nel senso precisato dalla Corte di Cassazione, con esclusione di “prassi abituali sul territorio nel settore dell’agricoltura”; la Corte territoriale aveva errato, non applicando il principio di diritto statuito dalla Suprema Corte, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di truffa ai danni dell’A.G.E.A. con riferimento alle condotte contestate ai capi nn. 3), 9), 16), 17) e 19); con riferimento al capo n. 3) perché la Corte territoriale, pur avendo dato atto che la richiesta fatta dall’azienda R. in data 15 marzo 2012, di concessione di affitto dei pascoli di Malga Leno, era stata rigettata dalla Provincia Autonoma di Trento il 31 maggio 2012, aveva valorizzato la circostanza che l’azienda R. fosse titolare del contratto n. 522 del 27 aprile 2002, di affittanza delle malghe Gelo, Gelino e Predon per il periodo 2002 – 2006, stipulato con il Comune di Cimbergo e che la Provincia Autonoma di Trento aveva autorizzato il transito sosta per potere accedere alle predette malghe; con riguardo al capo 9), la Corte territoriale aveva valorizzato il contratto stipulato tra il Comune di (OMISSIS) e i titolari dell’Azienda (OMISSIS), che costituiva certamente un legittimo titolo di godimento delle superfici foraggere, ma avente data posteriore (6 agosto 2002) rispetto alla presentazione della domanda (24 aprile 2002) e, quanto all’utilizzazione di aree comprese nel territorio del Comune di (OMISSIS), aveva attestato lo “sconfinamento” del bestiame, mentre il teste Be.Ad., segretario comunale, aveva precisato che “formalmente non c’era alcun contratto ma capitava che il bestiame sconfinasse dalla limitrofa malga Terlago”; in relazione ai capi 16) e 17), la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza del delitto di truffa in considerazione della dichiarazione di B.A., titolare dell’azienda agricola D. s.s., di avere la disponibilità, in quanto affittuario di fondi rustici siti nel territorio del Comune di (OMISSIS), sulla base della circostanza di mero fatto dell’accertato sconfinamento del bestiame dalla malga Terlago; relativamente al capo 19), la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza del delitto di truffa perché era in atti Delib. della Coop ABICA del 19 marzo 2003 di assegnazione dei pascoli particelle 4, 42 e 46 in contrada (OMISSIS) alla società C. e i testi L.G., Ca.Gi. avevano confermato la presenza di animali, comprovata dal Mod. 7 del 28 settembre 2003, dalle attestazioni di pagamento a favore dell’ASL di Cremona, dalle fatture di trasporto del 30 settembre 2003 e del 31 ottobre 2003, dall’attestazione di avvenuto pascolo del Comune di (OMISSIS) Ufficio di polizia municipale del 12 gennaio 2004.

1.1 Il motivo è fondato, nei limiti di cui in motivazione.

1.2 Deve premettersi che l’intera vicenda deve essere esaminata alla luce della sentenza n. 22065 del 4 giugno 2021 delle Sezioni Unite Penali di questa Corte, che, affrontando la questione della struttura e le regole che contraddistinguono il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.c., hanno statuito il seguente principio di diritto: “In caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello”.

1.2.1 Più in particolare, per quel che rileva in questa sede, la Corte ha ritenuto che la definitività e l’intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, determinate dalla pronuncia con cui la Corte di cassazione annulla le sole disposizioni o i soli capi che riguardano l’azione civile (promossa in seno al processo penale), ovvero accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell’imputato, provoca il definitivo dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell’azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento. Con l’esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell’attrazione dell’illecito civile nell’ambito della competenza del giudice penale, risulta coerente che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima. L’annullamento e il conseguente rinvio al giudice civile competente comporta, in caso di riassunzione, l’assunzione della veste di attore-danneggiato della parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo penale rivestiva il ruolo di imputato.

1.2.2 La Corte ha, dunque, stabilito che il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 c.p.p. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dall’art. 392 c.p.c. e ss a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili e che, in tal senso, depongono la rubrica e il testo dell’art. 622 c.p.p. che utilizzano il verbo “rinvia” con riferimento all’effetto della statuizione penale, così evocando l’istituto del “rinvio” in sede civile quale disciplinato dall’art. 392 c.p.c. e ss.; la terminologia adottata in alcune decisioni di questa Corte, ove si parla di “translatio”, ovvero di “separazione del rapporto penale da quello civile”; la lettera dell’art. 623 c.p.p., che espressamente si riferisce “all’annullamento con rinvio”, disciplinando le ipotesi in cui il giudice di rinvio dovrà uniformarsi ex art. 627 c.p.p. alle questioni di diritto decise dalla Corte di Cassazione.

1.2.3 Le Sezioni Unite Penali citate, inoltre, hanno precisato che, proprio in ragione della scissione determinatasi a seguito della valutazione compiuta dal giudice penale non può ipotizzarsi il potere della Corte di cassazione penale di enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile del rinvio deve uniformarsi e che lo stesso tenore letterale dell’art. 393 c.p.c. – secondo il quale alla ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio consegue l’estinzione dell’intero processo – avalla la tesi della fase autonoma del giudizio civile di “rinvio” a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione penale.

1.2.4 I corollari (tutti enunciati, in motivazione, nella sentenza richiamata), che ne seguono, sono due:

– la Corte di cassazione penale non ha il potere di statuire il principio di diritto al quale il giudice civile dovrà uniformarsi in ragione della natura del giudizio conseguente alla pronuncia di annullamento come giudizio riconducibile alla disciplina del giudizio ex art. 392 c.p.c.;

– verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale.

1.3 I principi sopra richiamati sono stati affermati da questa Corte anche in sede civile.

1.3.1 Specificamente, questa Corte ha stabilito che, nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena “translatio” del giudizio sulla domanda civile, sicché la Corte di appello civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo e oggettivo dell’illecito ex art. 2043 c.c., applica i criteri di accertamento della responsabilità civile, i quali non sono sovrapponibili ai più rigorosi canoni di valutazione penalistici, funzionali all’esercizio della potestà punitiva statale (Cass., 15 ottobre 2019, n. 25917) e che la Corte di rinvio, applicando le regole processuali e probatorie proprie del processo civile, conseguentemente, adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del “più probabile che non” e non quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio (Cass., 12 giugno 2019, n. 15859).

1.3.2 Anche di recente è stato stabilito che la decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p. determina una sostanziale “translatio iudicii” dinanzi al giudice civile, sicché la corte di appello competente per valore, cui sia stato rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e sostanziali, del giudizio civile; ne consegue, oltre alla possibilità di formulare nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche la legittimità della modificazione della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sia pure nel limite delle preclusioni fissato dall’art. 183 c.p.c., come interpretato dalla giurisprudenza, e tenuto conto della domanda formulata con l’originaria costituzione di parte civile secondo modalità contenutistiche e formali sostanzialmente omologhe a quelle previste per la citazione (Cass., 1 aprile 2021, n. 9129; Cass., 15 gennaio 2020, n. 517).

1.3.3 Ancor più di recente, questa Corte ha ribadito il principio che “Qualora la Corte di cassazione annulli la sentenza penale, limitatamente alle disposizioni civili, per soli vizi di motivazione, il giudice civile del rinvio conserva tutte le facoltà che gli competono quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio d’appello, egli è tenuto, nonostante l’istituzionale indipendenza dei giudizi e delle relative discipline della responsabilità, a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28011).

1.4 Alla ricostruzione della questione in esame soccorre anche la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla quale il Tribunale di Treviso, in sede di interpretazione dell’art. 12 del regolamento (CE) n. 1254/1999 del 17 maggio 1999, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, aveva richiesto una pronuncia pregiudiziale sul quesito “se, con riferimento alle condizioni per l’erogazione di contributi finanziari comunitari come quelli in esame nella causa principale, il regolamento n. 1254/1999 contenga presupposti rigidi, non derogabili dagli Stati membri, o se abbia invece dettato una cornice generale di riferimento, rimettendosi alle competenti autorità nazionali per la necessaria attuazione e la regolamentazione nel dettaglio” e “quali siano i presupposti per l’ammissione ai premi per bovini maschi ed ai pagamenti per l’estensivizzazione ed in particolare se sia sufficiente il requisito della utilizzazione di superfici foraggere, indipendentemente dall’esistenza di un valido titolo giuridico che la legittimi” (paragrafi 40 e 41 della sentenza della Corte di Giustizia del 24 giugno 2010, emessa nel procedimento C-375/08).

1.4.1 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dopo avere rilevato che l’art. 12 del regolamento n. 1254/1999 non subordinava l’ammissibilità di una domanda di aiuti alla produzione di un titolo giuridico valido che giustificasse il diritto del richiedente di utilizzare le superfici foraggere oggetto della domanda e che era l’utilizzazione effettiva della superficie foraggera a costituire una delle condizioni di ammissibilità per l’erogazione dei premi in parola (paragrafo 70) ha, comunque, affermato che gli Stati membri disponevano di un margine di discrezionalità per quanto riguardava i documenti giustificativi e le prove che si potevano pretendere dal richiedente in merito alle superfici foraggere oggetto della sua domanda di aiuti e che tenuto conto di tale discrezionalità, gli Stati membri erano legittimati ad introdurre precisazioni quanto alle prove da fornire a sostegno di una domanda di aiuti facendo riferimento, in particolare, alle prassi abituali sul loro territorio nel settore dell’agricoltura relative al godimento e all’utilizzazione delle superfici foraggere nonché ai titoli da produrre a proposito di tale utilizzazione (paragrafo 82), pur con i limiti del rispetto del principio della parità di trattamento e di evitare distorsioni del mercato e della concorrenza (paragrafo 84) e del principio di proporzionalità, che esigeva che i mezzi approntati da una disposizione comunitaria fossero idonei a realizzare l’obiettivo perseguito (paragrafo 86)

1.5 Ciò posto, i principi sopra richiamati valgono anche per il caso in esame, paradigmatico della lettura interpretativa non conforme ai criteri indicati dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza n. 22065 del 4 giugno 2021, data sia da questa Corte, con la sentenza 30 ottobre 2012, n. 42363, sia dalla Corte territoriale con la sentenza in questa sede impugnata, dell’ambito dei poteri-doveri decisori del giudice civile in sede di rinvio, non rispettando le coordinate apposte dal giudice di legittimità, sia civile, che penale, e dal giudice Europeo, all’ambito decisionale nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.c..

1.6 Ed infatti, mentre questa Corte, a pag. 29 sentenza n. 42363 del 2012, ha statuito il seguente principio di diritto: “Deve ritenersi legittima la normativa nazionale recettiva del reg. C.E 29 n. 1254/1999 nella parte in cui stabilisce che il richiedente i premi previsti dal suddetto regolamento, debba produrre validi titoli giuridici non essendo sufficiente la mera occupazione senza titolo delle superfici foraggere. Per valido titolo giuridico deve intendersi un atto – formato in data antecedente all’esercizio del pascolo – in base al quale l’agricoltore possa dimostrare di essere proprietario (per titolo derivato od originario) della superficie foraggera, ovvero di detenerla in virtù di un contratto (scritto o verbale) stipulato con un terzo proprietario (affitto – comodato enfiteusi – usufrutto ecc..). Per “prassi abituali sul territorio nel settore dell’agricoltura” devono intendersi gli usi civici (nella forma dello ius pascendi limitati ad un determinato territorio e dei quali possono avvalersi solo i cittadini di quel determinato territorio”; la Corte territoriale ha precisato, a pag. 22 della sentenza impugnata, che suo compito era quello di verificare la sussistenza del reato di truffa ai sensi dell’art. 640 bis c.p..

1.7 Peraltro, deve affermarsi che anche il ricorso dell’Agenzia ricorrente è redatto nella medesima prospettiva e, tuttavia, poiché questa Corte ha il potere di accogliere l’impugnazione, in virtù della sua primaria funzione nomofilattica, anche per ragioni giuridiche diverse da quelle prospettate, purché nel rispetto dei fatti accertati, le doglianze (come già detto) appaiono fondate. Ed invero, il petitum sostanziale, da ravvisarsi nella pretesa di ottenere la restituzione delle somme ritenute indebitamente percepite, va traguardato alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia, con la sentenza del 24 giugno 2010, nonché del regolamento (CE) n. 1254/1999 del 17 maggio 1999, e della normativa nazionale, nella misura ritenuta compatibile con le finalità del regolamento, nonché dei principi propri, anche in relazione all’onere della prova, della ripetizione di indebito, cui va assimilata l’azione di recupero dei premi comunitari (Cass., 27 novembre 2018, n. 30713; Cass., 3 agosto 2018, n. 20522).

1.7.1 Specificamente, la configurazione del giudizio conseguente all’annullamento in sede penale ai soli effetti civili ex art. 622 c.p.p., come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche previste dall’art. 392 c.p.c., nonché di allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale; ciò giustifica anche remendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; l’emendatio (e non anche la mutatio), garantisce al danneggiato di “espandere” la domanda risarcitoria allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall’art. 2043 c.c.; l’emendatio consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte; la natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all’individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità ed, infatti, mentre il giudizio penale mette al centro dell’osservazione la figura dell’imputato e il suo status libertatis, quello civile configura al centro il danneggiato e le sue posizioni soggettive giuridicamente protette.

1.8 Alla luce di tali principi va, dunque, condotto l’accertamento dell’illecito civile da parte dei giudici della Corte territoriale, con valutazioni di fatto che, come tali, sono riservate al giudice di merito e il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

2. Il ricorso va, dunque, accolto, nei limiti di cui in motivazione; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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