Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7473 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. II, 31/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., O.D. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 82, presso lo studio

dell’avvocato BASSI STEFANO, rappresentati e difesi dagli avvocati

TUCCI MASSIMO, LIGOTTI ROBERTA;

– ricorrenti –

e contro

P.L. (OMISSIS);

– intimato –

e sul ricorso n. 22398 del 2005 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

33, presso lo studio dell’avvocato LUDINI ELIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato DIDONA LINDA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

C.L., O.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1539/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Bassi Stefano con delega depositata in udienza

dell’Avv. Tucci Massimo difensore dei ricorrenti che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Ludinì Elio con delega depositata in udienza dell’Avv.

Didona Linda difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del

ricorso principale e l’accoglimento del controricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 7.1.1994 O.D. e C.L. proponevano opposizione avverso il decreto datato 24.11.93, con il quale il presidente del tribunale di Milano, su istanza dell’arch. P.L., aveva ad essi ingiunto di pagare a quest’ultimo la somma di 19.941.314 quale corrispettivo residuo per le prestazioni professionali da lui eseguite in loro favore, come da parcella convalidata dall’ordine professionale. Gli opponenti contestavano il provvedimento monitorio del quale chiedevano la revoca per inesistenza del credito. All’esito del giudizio, con sentenza in data 17.9.2002 l’adito tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ing.; riteneva che le parti avessero stabilito il compenso del professionista in maniera forfettaria (e non con rinvio alle tariffe professionali) per cui lo stesso doveva corrispondersi solo per le prestazioni rese fino alla data del recesso dei committenti, in misura proporzionata rispetto al compenso complessivo pattuito per l’intera opera; riteneva però che l’arch. P. non aveva dato la prova delle attività prestate in favore dei suoi clienti al fine di stabilire la quantificazione del suo compenso, non potendosi giovare a tal fine dei documenti da lui stesso unilateralmente predisposti, nè della prova orale offerta rivelatasi inconcludente.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello il P. rilevando che non vi era stato alcun accordo forfettario per stabilire il compenso a lui spettante, avendo le parti, nella lettera d’incarico, fatto riferimento solo alle tabelle professionali.

La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 1539/04 depos. in data 1.6.2004, in parziale accoglimento dell’appello, condannava gli appellati al pagamento in favore del professionista della somma di Euro 7172,00, ponendo a loro carico i 3/4 delle spese di giudizio di entrambi i gradi, compensando il resto.

Secondo la Corte le parti non avevano inteso stabilire il compenso a forfait avulso dalle prescrizioni tariffarie e dei minimi inderogabili; pertanto “nessuna proporzione andava effettuata tra le prestazioni eseguite ed il compenso globale pattuito, ma piuttosto andava applicata la percentuale di tariffa all’attività solo parzialmente espletata da rapportare ai dati fissati nella lettera d’incarico di provenienza degli appellati che dunque erano perfettamente consci dell’opera e della tipologia d’intervento richiesta con gli oneri che ne sarebbero derivati.

Per la cassazione della suddetta decisione ricorrono O. D. e C.L. sulla base di 2 motivi; resiste il P. con controricorso, avanzando a sua volta ricorso incidentale, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi.

Con il primo ed il secondo motivi del ricorso principale gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione delle norme in materia d’interpretazione del contratto (artt. 1362, 1366, 1367 e 1370 c.c.), nonchè il difetto di motivazione. Criticano l’interpretazione della corte milanese circa la pattuizione intervenuta tra le parti per stabilire il compenso dell’arch.

P. (secondo le tariffe professionali e non in modo forfettario) e di conseguenza il calcolo della somma dovuta stabilito dalla stessa corte sulla base dell’erroneo criterio all’uopo prescelto (secondo la tariffa).

Ritengono invero gli esponenti, che, interpretando correttamente la volontà delle parti quale si desume dalla lettera d’incarico all’arch. P.L. (unica pattuizione tra esse intercorsa), contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, si dovrebbe ritenere di natura pattizia la previsione dell’importo di L. 35.000.000 ivi indicato per l’esecuzione integrale dei lavori, ciò che fa ritenere stabilito in modo forfettario il compenso previsto per il professionista. Si tratterebbe dunque di una previsione tesa “… ad eliminare ogni incertezza derivante al cliente poco aduso ad utilizzare le tariffe professionale degli architetti, sulla somma finale che sarebbe risultata a credito del professionista e quale strumento per l’architetto al fine di avere un importo di sicura determinazione e, quindi, non più discutibile dal cliente.” Rilevano ancora gli esponenti che il rinvio alla legge professionale contenuto nella premessa della scrittura in esame (i compensi per le prestazioni professionali del professionista architetto sono disciplinati dalla L. 29 marzo 1949, n. 143 e …i minimi di tariffa da essa stabiliti sono da considerarsi, ai sensi della L. 5 maggio 1976, n. 340, inderogabili….) non significa – come la Corte ritiene – che i compensi sono stabiliti in conformità con la tariffa professionale; infatti, il menzionato rinvio alla legge professionale (per di più collocato nella premessa della scrittura) ha il significato di ” un’affermazione di principio, non incompatibile con la forfetizzazione di seguito attuata, anzi l’alternativa tra tariffe e determinazione convenzionale, si porrebbe solo se fosse stata denunziata la nullità della pattuizione per violazione del minimo tariffario…” Le censure non sono fondate. Occorre ricordare – in conformità con la consolidata giurisprudenza di questa S.C. in tema di interpretazione de contratto – che l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Di conseguenza siffatto accertamento non è censurabile in sede di legittimità a meno che la relativa motivazione ” …sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche”. Quest’ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poichè in caso contrario la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si traduce nella proposta di un’interpretazione diversa, inammissibile come tale in sede di legittimità. (Cass. n. 4342 del 26/03/2001; Cass. 12861 del 28/09/2000; n. 15410 del 02/12/2000; Cass. n. 5910 del 14/04/2003; Cass. n. 18375 del 23/08/2006; n. 2560 del 06/02/2007).

Ciò premesso, non sembra a questo Collegio che il giudice d’appello, nell’interpretazione dell’accordo relativo al compenso professionale si sia discostato dalla corretta applicazione dei canoni ermeneutici indicati dai ricorrenti, come è riscontrabile dalla motivazione esaustiva e priva di vizi, che prospetta un’ipotesi interpretativa del documento plausibile e ragionevole. Sottolinea in particolare il giudice di merito che il quantum debeatur può essere ricavato solo dalla pattuizione in parola, che “riportando alla voce preventivo e corresponsione dei compensi – un onorario globale di base (comprensivo di direzione lavori spese vacazioni) di L. 35.000.000 su di un imponibile fino a 300.000.000 si limita solo al prefigurare l’ammontare da riconoscere al professionista ad opere ultimate. Che non si tratti di un compenso a forfait – prosegue la corte di merito – avulso dalle prescrizioni tariffarie e dai minimi inderogabili emerge poi dal fatto che – applicando l’onorario a percentuale a tabella A riferito all’intero svolgimento dell’opera, oltre ai compensi a vacazione – i valori che discendono risultano pressochè equivalenti (se non inferiori) a quelli preventivati (in melius) dal professionista.”.

In conclusione il ricorso principale dev’essere rigettato.

Passando all’esame del ricorso incidentale, con esso l’arch. P. lamenta che la riduzione dei compensi operata dalla Corte d’Appello (secondo la quale sarebbe eccessivo il valore delle opere progettate ” poco attendibile nei costi esposti”) non sarebbe adeguatamente motivata.

Invece ad avviso dell’esponente , la corte avrebbe dovuto utilizzare per calcolare le percentuali a lui spettanti per le opere di progettazione i preventivi della Ditta Bellani srl incaricata dai committenti per la realizzazione delle opere. Anche tale doglianza è infondata in quanto involge questioni di merito non denunciabili in questa sede, atteso che la motivazione della sentenza su tale punto è ampiamente esaustiva, avendo indicato con specifiche e condivisibili argomentazioni le ragioni che hanno ritenuto di dover ridurre il compenso al professionista (v. sentenza pagg. 4 e 5).

Conclusivamente anche il ricorso incidentale dev’essere rigettato. La reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; e li rigetta entrambi compensando le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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