Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7473 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25731-2017 proposto da:

R.S., G.S., V.M., RE.FR.,

I.F.S.M.,

GR.CA.MA.AU.VI., S.G., r.g.,

C.M.F., M.F.L.A., GR.AN., ME.AN.;

g.v.e.m.b., g.a.g.m.,

nella qualità di eredi di g.r.a.m.b.;

A.E., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO n.

66, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CONSOLI XIBILIA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CONSOLI;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE, MINISTERO DELLA SALUTE, in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici domiciliano

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5735/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/09/2016 R.G.N. 150/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2022 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROBERTO MUCCI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, decidendo quale giudice di rinvio a seguito della sentenza n. 21973/2011 della Corte di Cassazione, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Roma n. 19239/2004 ha riconosciuto ai medici sotto indicati, che avevano frequentato corsi di specializzazione anteriormente all’anno accademico 1991-1992, a titolo di risarcimento danni per la mancata attuazione, da parte dello Stato Italiano, delle direttive comunitarie in materia, i seguenti minori importi, oltre interessi: a R.S. Euro 26.856,00; a G.S. Euro 33.570,00; a V.M. Euro 26.856,00; a Re.Fr. Euro 26.856,00; a I.F.S.M. Euro 20.142,00; a Gr.Ca.Ma.Au.Vi. Euro 20.142,00; a S.G. Euro 33.570,00; a r.g. Euro 26.856,00; a C.M. Euro 26.856,00; a M.F.L.A. Euro 33.570,00; a Gr.An. Euro 20.142,00; a Me.An. Euro 26.856,00; ad A.E. Euro 33.570,00 e a g.v. e a g.a., entrambe quali eredi del padre g.r.a.m.b. Euro 26.856,00. Le suddette somme, come statuito in sede di rinvio dalla Suprema Corte, sono state calcolate avendo come parametro di riferimento la L. n. 370 del 1999, e non il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6. La Corte di merito ha, poi, integralmente compensato tra le parti sia le spese del doppio grado di giudizio che quelle di legittimità.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, i ricorrenti in epigrafe indicati, cui ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Ministero della Salute.

3. I ricorrenti hanno depositato memoria con la quale hanno avanzato richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ordine a tre questioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, da un lato, la violazione del precedente giudicato interno formatosi tra le parti, in relazione all’art. 2909 c.c., e art. 324 c.p.c., e la falsa applicazione degli artt. 346 e 329 c.p.c., delll’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp att. c.p.c., e dell’art. art. 112 c.p.c., nonché la nullità della sentenza per violazione del giudicato interno, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione, istanza ritualmente introdotta in giudizio, in relazione alla intangibilità del giudicato formatosi e all’errata percezione del contenuto degli atti processuali e per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato con conseguente configurazione del vizio di ultra-petizione e nullità derivata ex art. 360 c.p.c., n. 4; dall’altro, lamentano l’omesso esame di un fatto storico risultante dagli atti processuali oggetto di discussione tra le parti e che, se esaminato, avrebbe potuto comportare un esito diverso della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

3. Deducono, in sostanza, i ricorrenti che, in ordine al quantum riconosciuto dal Tribunale di Roma con la sentenza di primo grado, si era formato il giudicato perché non vi era stata sul punto impugnazione da parte delle Amministrazioni resistenti e tale questione, rilevabile peraltro di ufficio, non era stata valutata dalle due pronunce della Corte di appello di Roma del 2009 e del 2016.

4. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell’art. art. 58 disp att. c.p.c., n. 1, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater, conv. con modificazioni dalla L. n. 51 del 2006, e della L. n. 263 del 2005, art. 2, che si applicava ai procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore (1.3.006) quando, invece, il presente giudizio era iniziato con atto di citazione del 23 maggio 2002 e, quindi, l’art. 92 c.p.c., non poteva trovare applicazione in quanto le spese avrebbero dovuto essere regolate in base all’art. 91 c.p.c., secondo il criterio della soccombenza.

5. Preliminarmente va dichiarata l’estraneità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che non è stata mai evocata né è stata parte nei giudizi in questione.

6. Sempre in via preliminare devono essere valutate le richieste, avanzate dai ricorrenti, di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, così articolate: “a) se l’obbligo risarcitorio a carico dello Stato, per il ritardo nel recepimento della Direttiva Europea, dovrebbe essere esteso anche ai sanitari che si siano iscritti ad una scuola di specializzazione in anni precedenti il 1982; b) se la Corte di Giustizia ha riconosciuto il diritto alla retribuzione e, quindi, al risarcimento del danno anche in relazione ad iscrizioni effettuate in anni precedenti il 1982; c) se la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 24.1.2018 cause riunite C-616/16 e C-617/16 dove al punto 47 statuisce che, al fine di determinare il livello e i metodi di fissazione di una remunerazione adeguata per il periodo antecedente alla trasposizione nell’ordinamento italiano della Dir. n. 82 del 1976, occorre prendere in considerazione, in particolare, le soluzioni fornite al riguardo nella normativa nazionale di trasposizione di tale direttiva, faccia riferimento al D.Lgs. n. 257 del 1991, il quale all’art. 6, prevede una borsa di studio di lire 21.550.000, attuali Euro 11.103,94 per ogni anno di frequenza, e non, invero, basandosi sulla L. n. 370 del 1999, art. 11, a seguito del quale la Cassazione, per cui il presente giudizio è causa, ha statuito l’applicazione di una somma pari ad Euro 6,713,94 senza calcolare la rivalutazione monetaria, per ogni anno del corso di specializzazione”.

7. Giova premettere che l’obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la causa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 citato (Trattato che istituisce la Comunità Europea, già art. 234), viene meno quando non sussista la necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla normativa comunitaria, in quanto la questione sollevata sia materialmente identica ad altra, già sottoposta alla Corte in analoga fattispecie, ovvero quando sul problema giuridico esaminato si sia formata una consolidata giurisprudenza di detta Corte (cfr., tra molte, Cass. n. 4776 del 2012); similmente, il rinvio pregiudiziale, quantunque obbligatorio per i giudici di ultima istanza, presuppone che la questione interpretativa controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all’esame del giudice nazionale e alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. SS.UU. n. 8095 del 2007).

8. Invero, è noto (v. Cass. SS.UU. n. 20701 del 2013) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a semplice richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità: infatti, esso ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte (tra le altre, v. Cass. n. 6862 del 2014; Cass. n. 13603 del 2011).

9. D’altro canto, è incontrastato l’enunciato, più volte ribadito da questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui la Corte di Giustizia Europea, nell’esercizio del potere di interpretazione di cui al Trattato istitutivo della Comunità economica Europea, art. 234, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale (v. Cass. SS.UU. n. 30301 del 2017; in precedenza: Cass. SS.UU. nn. 16886/2013, 2403/14, 2242/15, 23460/15, 23461/15, 10501/16 e 14043/16).

10. Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità Europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un “acte clair” che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa C-283/81, Cilfit, Corte di Giustizia, 6 ottobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management; e, per la giurisprudenza di questa Corte, tra le altre: Cass. SS.UU. n. 12067 del 2007; Cass. n. 22103 del 2007; Cass. n. 4776 del 2012; Cass. n. 26924 del 2013).

11. Ciò premesso, non reputa questo Collegio che le articolate difese delle istanti introducano nuovi elementi di valutazione, pertinenti alla materia del contendere, tali da giustificare un rinvio alla Corte di Giustizia.

12. I primi due quesiti, sopra precisati, sono irrilevanti ai fini della decisione del presente giudizio.

13. Invero, nella fattispecie in esame, il danno per mancata trasposizione della direttiva comunitaria è stato riconosciuto a tutti gli odierni ricorrenti, anche a quelli (come per esempio R., M., Gr.Ca., Gr.An.) che avevano frequentato i corsi di specializzazione anteriormente al 1982, per cui le prospettate questioni interpretative, sottese alle istanze, non assumono il carattere di decisività.

14. Quanto, invece, al terzo quesito, va osservato che la Corte di Giustizia, con la sentenza del 24.1.2018, punto 47, richiamata dagli stessi ricorrenti, ha testualmente affermato che il giudice nazionale, al fine di determinare il livello e i metodi di fissazione di una remunerazione adeguata per il periodo antecedente alla trasposizione nell’ordinamento italiano della Dir. n. 82 del 1976, deve prendere in considerazione le soluzioni fornite al riguardo dalla normativa nazionale di trasposizione di tale direttiva.

15. La Corte di Giustizia, quindi, non ha individuato la disciplina legislativa applicabile perché, nell’ambito della cooperazione diretta con i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, devono essere solo forniti gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a decidere (Corte di Giustizia 9.9.2015, Ferreira da Silva e Brito e a. C-160/14 punto 37, nonché Corte di Giustizia 6.10.2021, Consorzio Italian Managment e a. C-561/19, punto 30).

16. Nel caso de quo, questa Corte di legittimità, con la pronuncia n. 21973/2011, ha individuato il parametro normativo, cui fare riferimento per la liquidazione del danno, nella L. n. 370 del 1999, art. 11, e non nel D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, operando la relativa valutazione conformemente a quanto prospettato in astratto dalla Corte di Giustizia.

17. Tale statuizione, adottata in sede di cassazione con rinvio, costituisce il principio di diritto cui è doveroso conformarsi e al giudice del rinvio non è dato sindacarne l’esattezza né di adottare soluzioni configgenti con esso (Cass. n. 3811/2006; Cass. n. 11313/1994).

18. Il principio di diritto costituisce, infatti, la norma giuridica da applicare nel caso concreto (Cass. n. 4725/2001).

19. E’ vero che in tema di giudizio di rinvio rientrano nell’ambito dello “ius superveniens” che travalica il principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, anche i mutamenti normativi prodotti da una sentenza della Corte di Giustizia UE che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale (Cass. n. 19301/2014).

20. Ma tale ipotesi è possibile allorquando si abbia un ampliamento di tutela riconosciuta in via interpretativa sulla base dei principi dettati dalle direttive, non invece, come nel caso di specie, ove il riconoscimento dei diritti vi è già stato e ciò che viene demandato al giudice nazionale è la sola individuazione della soluzione normativa interna da adottare come criterio per la quantificazione del conseguente risarcimento dei danni: scelta che, per quanto sopra detto, spetta unicamente al giudice nazionale.

21. Anche con riguardo all’ultimo quesito, pertanto, il Collegio rileva la irrilevanza della questione che giustifichi la formulazione di una richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

22. Tanto premesso e venendo allo scrutinio dei motivi del ricorso per cassazione, va osservato che il primo è infondato.

23. E’ opportuno precisare che l’annullamento della prima sentenza della Corte di appello Roma è stato disposto per violazione di legge, in particolare perché la domanda originaria dei medici doveva essere parametrata non con riguardo agli importi di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, bensì a quelli della L. n. 370 del 1999, art. 11.

24. Orbene, in primo luogo va rilevato che la sentenza di cassazione vincola il giudice di rinvio non solo in ordine al principio di diritto affermato, ma anche in ordine alle questioni di fatto costituenti presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia, giacché il riesame di esse tenderebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della pronuncia della cassazione la quale, ordinando il rinvio, fissa il principio di diritto non in via meramente astratta, ma negli effetti della concreta decisione della lite (Cass. n. 11650/2002

25. In secondo luogo, deve osservarsi che il giudice di rinvio, se la sentenza è cassata per violazione e falsa applicazione di una norma di legge, è vincolato al principio di diritto espressamente o implicitamente enunciato dalla Corte di Cassazione, perché costituisce la norma giuridica da applicare nel caso concreto in relazione ai punti direttamente o indirettamente indicati dalla Cassazione non modificabili (Cass. n. 4725/2001).

26. Orbene, nella fattispecie in esame, va sottolineato che la fondatezza della pretesa dei medici, con il primo atto di appello, comunque era stata contestata, essendo stato sollecitato il rigetto della domanda e la Corte di Cassazione, nell’esaminare il motivo di ricorso proprio relativamente alla quantificazione dell’importo dovuto, nell’individuare un diverso parametro normativo ha ritenuto che il punto fosse stato adeguatamente censurato, senza che su di esso si fosse formato un giudicato interno.

27. Il giudice di rinvio, quindi, correttamente si è adeguato al principio di diritto statuito in sede di legittimità in quanto vincolato in ordine alle questioni già decise dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento, senza esaminare gli antecedenti logici e giuridici di essi (Cass. n. 7259/1986).

28. Non sono ravvisabili, pertanto, i vizi denunciati nel motivo sia sotto l’aspetto delle violazioni di legge che sotto quello dell’omesso esame di un fatto decisivo.

29. Il secondo motivo è inammissibile.

30. La disposizione di cui all’art. 92 c.p.c., vigente fino all’1.3.2006 e, quindi ratione temporis applicabile, prevedeva la possibilità di disporre la compensazione totale o parziale delle spese di lite allorquando vi era soccombenza reciproca o concorrevano altri giusti motivi.

31. Nella fattispecie la Corte territoriale ha espressamente indicato i giusti motivi per cui ha ritenuto di dovere compensare le spese di giudizio ravvisati: a) nella ragionevole disputabilità della controversia; b) nella difficoltà di ricostruzione della vicenda; c) negli esiti del giudizio di cassazione; d) nelle oscillazioni giurisprudenziali in materia; e) nella parziale soccombenza reciproca.

32. Non vi è stata, pertanto, alcuna applicazione di norme non vigenti, come sostengono i ricorrenti, ma anzi corretta specificazione delle ragioni poste a fondamento della disposta compensazione, che non si palesano illogiche o erronee.

33. Per completezza deve ribadirsi che la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito la cui valutazione è rimessa al suo prudente apprezzamento ed è sottratta, in quanto esercizio di un potere discrezionale, al sindacato di legittimità salvo i casi, appunto, di illogicità ed erroneità dei motivi, non ravvisabili, però, nella fattispecie in esame (Cass. n. 1898/2002).

34. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

35. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

36. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei Ministeri contro ricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; nulla per la Presidenza del Consiglio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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