Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7472 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. II, 17/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe (da remoto) – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26985/2019 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIANLUCA VITALE, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Laura Barberio,

in ROMA, VIA TORINO 7;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 307/2019 della CORTE d’APPELLO di TORINO

depositata in data 14.02.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.S. proponeva appello avverso l’ordinanza dell’8.6.2018, con la quale il Tribunale di Torino aveva rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in via subordinata, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino gambiano; che, mentre era al guida di un minibus, era coinvolto nel tamponamento di una delle auto della scorta del Presidente J.; che i poliziotti a bordo di quest’ultima lo avevano arrestato; che era stato condotto presso una stazione di polizia e poi in un centro di detenzione, dove restava recluso per sei mesi; che veniva liberato dietro cauzione da parte dello zio materno; che temendo di essere processato e incarcerato di nuovo, fuggiva dal Gambia e raggiungeva il Senegal, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Libia (dove si fermava sei mesi svolgendo lavori saltuari) e infine l’Italia.

Con sentenza n. 307/2019, depositata in data 14.2.2019, la Corte d’Appello di Torino rigettava il gravame, ritenendo che l’appellante non fosse credibile, non solo in quanto le censure avverso l’ordinanza del Tribunale erano in parte generiche, in parte inconferenti e in parte infondate, ma anche per la genericità della narrazione su elementi essenziali e per l’inverosimiglianza della stessa. Non sussistevano i requisiti di legge per la concessione della protezione sussidiaria non risultando alcun rischio di subire una condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o trattamenti inumani o degradanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); nè ricorreva l’ipotesi della lett. c) della suddetta disposizione non sussistendo in Gambia una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, poichè, dopo 22 anni di dittatura, nel (OMISSIS) si era insediato il nuovo Presidente, B.A., con il quale era iniziata una svolta democratica del Paese. Anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria doveva essere rigettata, in quanto l’appellante non indicava alcun motivo decisivo per il quale avrebbe avuto diritto a tale forma di protezione, essendosi limitato a sottolineare il suo inserimento nel tessuto sociale, avendo seguito corsi di lingua italiana e attività di volontariato e lavorative. Secondo la Corte territoriale non rilevava il solo dato della provenienza dal Gambia, non trattandosi di un Paese in guerra civile in una situazione di pericolo generale per l’incolumità dei suoi abitanti. Nè si rilevavano in capo al richiedente situazioni di particolare vulnerabilità e tali da consentire il riconoscimento dei seri e gravi motivi che legittimano il rilascio del permesso di soggiorno. L’apprendimento della lingua italiana e lo svolgimento di attività lavorative temporanee e retribuite non erano comunque elementi decisivi nel senso prospettato dall’appellante.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione S.S. in base ad un motivo. L’intimato Ministero dell’Interno non svolgrva le sue difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 – violazione dei criteri legali per la concessione della protezione umanitaria”. Nell’atto di appello si evidenziava la crisi umanitaria che interessa l’intero territorio del Gambia, nonchè i trattamenti inumani e degradanti sofferti dal ricorrente e il virtuoso percorso di integrazione nel nostro Paese. Tuttavia, la Corte d’Appello non solo ometteva qualunque attività istruttoria tesa a verificare le condizioni di vita nel contesto di provenienza del ricorrente e in Italia, ma ignorava quel giudizio comparativo imposto dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 4455 del 2018).

1.2. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Secondo la sentenza delle Sezioni Unite n. 29460 del 2019, adesiva al filone giurisprudenziale promosso da Cass. n. 4455 del 2018, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, al fine di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo non integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

2.3. – La Corte d’appello, sostanzialmente allineata a tale orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite, ha escluso la sussistenza di una condizione di specifica e personale vulnerabilità soggettiva del richiedente. Le censure del ricorrente si sono mantenute a un livello del tutto generico, senza spingersi, come sarebbe stato necessario, a riferimenti puntuali e specifici alle condizioni personali e individuali del richiedente, senza allegare e dimostrare l’esistenza di un serio percorso di integrazione sociale e lavorativa sul territorio italiano e limitandosi ad evocare del tutto genericamente la pretesa instabilità politica del Gambia, in contrasto con gli accertamenti officiosi effettuati dal giudicante.

La reale ragione della decisione sulla richiesta di protezione umanitaria è invece basata sulla mancata prospettazione di situazioni di particolare vulnerabilità o esposizione a rischio personale, non risultando al riguardo rilevanti la formazione scolastica e l’inserimento sociale; ed ancora la mancanza di motivazioni umanitarie individualmente riferibili al ricorrente. Il ricorrente non riesce a confutare la ratio decidendi così individuata, poichè, oltre a invocare il giudizio comparativo, sostanzialmente effettuato dalla Corte con esito negativo, non deduce quali sarebbero le specifiche condizioni di vita nel Paese di appartenenza, che configurerebbero la complessiva intollerabile deprivazione dei diritti umani, limitandosi ad allegare la condizione generale del Paese stesso, di per sè irrilevanti.

4. – Il ricorso va dichiarto inammissibile. Nulla per le spese del Ministero dell’Interno, che non ha svolto alcuna attività difensiva. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

 

 

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