Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7472 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 08/03/2022), n.7472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9001-2019 proposto da:

PROMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO DI DONO, 3/A, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO DE BERARDINIS, che la rappresenta e la

difende unitamente all’avvocato VINCENZO MOZZI;

– ricorrente –

contro

P.A., I.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PO, 102, dell’avvocato PIETRO ANELLO, rappresentati e

difesi dagli avvocati PIETRO D’ADAMO, GIUSEPPE DI VITO, MARIANNA

SALEMME;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 128/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 10/10/2018 R.G.N. 39/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI ROBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato PAOLO DE BERARDINIS;

udito l’avvocato PIETRO D’ADAMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, accertata la illegittimità dei licenziamenti intimati da Proma s.p.a. a P.A. e I.A. all’esito di procedura collettiva ex L. n. 223 del 1991, ha condannato la società alla reintegra dei suddetti nel posto di lavoro ” anche presso altro stabilimento della medesima appellata società”, nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, con regolarizzazione della relativa posizione previdenziale e assistenziale.

1.1. Per quel che ancora rileva, la Corte di merito, respinto l’appello incidentale della società inteso alla declaratoria di inammissibilità del ricorso ex art. 414 c.p.c., per non essere il giudizio di primo grado stato introdotto, come prescritto, con il rito cd. Fornero, ha fondato la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti sulla incompletezza informativa della comunicazione di avvio della procedura di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, rilevando il difetto di specificità in ordine alle ragioni per le quali la comparazione, ai fini della individuazione delle unità da collocare in mobilità, era stata limitata al solo personale dello stabilimento di (OMISSIS) e di quelle che ne impedivano il ricollocamento presso altre sedi della Promo s.p.a.; ha ritenuto che gli accordi sindacali raggiunti non potevano avere efficacia sanante della incompletezza della comunicazione di avvio della procedura in quanto le rilevate carenze non consentivano alle organizzazioni sindacali di essere adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali; la tutela riconosciuta dal dipendente doveva essere quella della L. n. 300 del 1970, art. 18, ratione temporis vigente.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Proma s.p.a. sulla base di otto motivi; gli intimati hanno resistito con controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 414, c.p.c., della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 38 e 47 e ss., della L. n. 604 del 1966, art. 6, degli artt. 1175,1176,1375,1223,1227, e 2041 c.c., censurando il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’originario ricorso in quanto proposto secondo il rito ordinario ex art. 414 e ss., anziché ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e ss., applicabile, con previsione inderogabile, a tutti i giudizi introdotti successivamente al 19 luglio 2012. Si duole del pregiudizio derivato dalla trattazione della causa secondo l’ordinario rito di cognizione ex art. 414 c.p.c., non improntato alle esigenze di speditezza e celerità proprie del rito cd. Fornero e deduce che ove il ricorso fosse stato trattato ai sensi dell’art. 1, comma 48 e ss., avrebbe comportato l’applicazione della a sé più favorevole tutela risarcitoria di cui al novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18. Sotto altro profilo evidenzia che la inammissibilità del ricorso aveva determinato la decadenza dall’impugnazione ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32; in via gradata chiede di limitare la misura risarcitoria riconosciuta in ragione del concorso colposo del creditore nella scelta del rito e per il pregiudizio patito attraverso la subita violazione dei principi di ordine pubblico processuale.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116,414,437,345,132 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 24,41 e 111 Cost., della L. n. 223 del 1991, art. 4″ in relazione alle domande nuove proposte ex adverso in appello”.

Sostiene l’errore della Corte di merito nell’avere, sulla base di un generico riferimento contenuto nel ricorso introduttivo, negato il carattere di novità della domanda intesa a far valere la mancata specificazione nella comunicazione di avvio L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, delle ragioni per le quali non era possibile il ricollocamento dei lavoratori addetti alla sede di Pozzillo presso altre sedi della società; deduce che la questione relativa alla possibilità o meno di “trasferimento” presso altri stabilimenti esulava dalla originarie doglianze; tanto emergeva anche dalla modifica in appello delle originarie conclusioni nelle quali era stata chiesta la reintegrazione nel posto di lavoro laddove, in secondo grado, la richiesta di reintegrazione era stata formulata anche in relazione ad altro stabilimento della società. Deduce quindi violazione del divieto di novum in appello.

In altra prospettiva assume che l’affermazione circa la necessità che la lettera di apertura della procedura di mobilità contenesse anche le ragioni del mancato trasferimento dei lavoratori o parte di essi presso altre unità produttive non rispettava il dettato della L. n. 223 del 1991, art. 4.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c., e dell’art. 1324 c.c., della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5, e 2, dell’art. 41 Cost., degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., degli artt. 2697, 2727-2729 c.c., degli artt. 244 e 115-116 c.p.c., in relazione ai Verbali di accordo sindacale del 21.5.2009 (cigs periodo 1.6.2009/31.5.2010), del 26.5.2010 (cigs 1.6.2010-31.1.2011), del 31.1.201 (proroga cig in deroga: periodo 1.2.2011-31.1.2012), dell’8.2.2011 (licenziamento collettivo) e loro preventive comunicazioni datoriali di avvio delle rispettive procedure come da allegazioni e produzioni documentali fornite dalla società.

3.1. Censura la decisione per avere la Corte di merito, nel rilevare il deficit informativo della comunicazione di avvio, omesso di considerare che tale comunicazione doveva essere interpretata e valutata anche in relazione al contenuto di altra fonte negoziale in essa richiamata costituita dal verbale di accordo con le parti sindacali intervenuto il 31.1.2011 e dai precedenti accordi sindacali relativi alle cigs e alla cig in deroga fruite per lo stabilimento di (OMISSIS); da tali fonti negoziali si evinceva infatti che prima della comunicazione di avvio vi era stato un confronto sindacale serrato ed, in realtà, un accordo di cogestione circa la situazione di crisi dello stabilimento di (OMISSIS); in tali intese si era affrontata anche la questione relativa alla impossibilità di adottare misure alternative; l’interpretazione dei singoli accordi ma anche l’esegesi globale, storica, sistematica e di buona fede dimostrava in via diretta o anche solo presuntiva che la questione del trasferimento quale misura alternativa al licenziamento era stata oggetto di attenta gestione ed esame da parte delle OO.SS;

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame in relazione ai verbali di accordo sindacale del 21.5.2009 (cigs periodo 1.6.2009/31.5.2010) del 26.5.2010 (cigs 1.6.2010-31.1.2011), del 31.1.201(proroga cig in deroga, periodo 1.2.2011-31.1.2012), dell’8.2.2011 (licenziamento collettivo) e delle loro preventive comunicazioni datoriali di avvio delle rispettive procedure come da allegazioni e produzioni documentali fornite dalla società. Tali documenti afferivano al controllo da parte delle organizzazioni sindacali in ordine alla procedura di riduzione del personale.

5. Con il quinto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24, dell’art. 41 Cost, dell’art. 1362 e ss. c.c., in ordine alla comunicazione di avvio della procedura di mobilità e al successivo accordo sindacale, degli artt. 113,115-116 c.p.c., degli artt. 2697 e 2727 c.c.. Censura la decisione in punto di ritenuta incompletezza informativa del contenuto della comunicazione di avvio della procedura in quanto – sostiene – la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, non prevede affatto che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità debba contenere le misure idonee ad evitare almeno in parte il licenziamento ivi compreso il trasferimento di tutto o parte del personale nelle vicine unità produttive; il giudice deve verificare la effettività e cioè la non pretestuosità delle ragioni addotte e nello specifico tali ragioni emergevano dai documenti citati ed in particolare sia dai Verbale di accordo relativi ai vari provvedimenti di cigs sia dal Verbale di accordo che aveva concluso la procedura di mobilità.

6. Con il sesto motivo di ricorso deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 244,177,115-116, 132 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 24 Cost., in relazione alla mancata ammissione della prova orale ritualmente articolata dalla società. Premesso che la Corte di merito aveva respinto la istanza di prova diretta avanzata da essa società e ammesso solo la prova contraria richiesta sui capitoli formulati da controparte, deduce la illegittimità della ordinanza che aveva escluso la prova orale diretta contestando che la stessa, come viceversa ritenuto dalla Corte di merito, non fosse articolata in capitoli separati e specifici; denunzia a riguardo carenza di motivazione.

7. Con il settimo motivo in via gradata parte ricorrente deduce violazione degli artt. 112,437,345,115-116 c.p.c., degli artt. 1256 e 1463 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione all’ordine di reintegrazione disposto dalla sentenza di secondo grado e al risarcimento del danno conseguente; censura la sentenza impugnata per avere accolto la domanda, irritualmente proposta, di condanna alla reintegrazione presso altro stabilimento.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce in via gradata omessa pronunzia in ordine all’eccezione di aliunde perceptum e aliunde percipiendum formulata in prime cure e reiterata nella memoria di costituzione in appello.

9. Il primo motivo di ricorso è infondato.

9.1. In fatto è pacifico che i licenziamenti in oggetto sono stati intimati in data 31 gennaio 2012, che il ricorso di primo grado è stato depositato il 5 dicembre 2012 e trattato in conformità delle regole di cui all’art. 414 e ss., previste per la trattazione delle controversie di lavoro.

In diritto è corretta l’affermazione della odierna ricorrente secondo la quale in ragione della data di deposito del ricorso di primo grado alla impugnativa di licenziamento erano applicabili le disposizioni di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e ss. (cd. rito Fornero) e non l’ordinario rito del processo del lavoro di cui all’art. 414 e ss. c.p.c..

La citata L., art. 1, comma 67, stabilisce, infatti, che “I commi da 47 a 66, si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. La giurisprudenza della SC ha escluso la facoltà per il lavoratore licenziato di rinunziare al procedimento specifico introdotto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, che ha carattere obbligatorio, non essendo prevista la specialità nel suo esclusivo interesse ma anche per finalità di carattere pubblicistico, sicché rientra nei poteri esclusivi del giudice qualificare la domanda e individuare il rito applicabile (Cass. n. 23073/2015).

9.2. Dalla mancata conversione del rito non è possibile trarre tuttavia le conseguenze che la odierna ricorrente pretende sul piano dell’ammissibilità del ricorso, anche con effetti sulla idoneità dello stesso ad escludere la decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32.

Occorre premettere in linea di principio che l’erronea applicazione delle regole del codice di rito non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto, in quanto la pronuncia di merito è garanzia di effettività della tutela ex art. 24 Cost.; inoltre l’art. 111 Cost., assegna rilievo costituzionale al principio di ragionevole durata del processo al pari di quello del diritto di difesa, sicché il contemperamento dei due principi porta ad escludere la correttezza di interpretazioni che prevedano la regressione del processo per il mero rilievo della mancata realizzazione di determinate formalità, la cui omissione non abbia in concreto comportato limitazioni delle garanzie difensive (Cass. 8422 del 2018).

In tema di mancata conversione del rito costituisce ius receptum l’affermazione secondo la quale la violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942/ 2008, Cass. SS.UU. n. 3758/ 2009; Cass. n. 22325/2014; Cass. n. 1448/2015); perché essa assuma rilevanza invalidante occorre infatti che la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso (in termini, avuto riguardo al cd. “rito Fornero”, v. Cass. n. 12094/2016).

In coerenza con tale principio e con specifico riferimento alla violazione della disciplina relativa all’introduzione della causa mediante il rito c.d. Fornero è stato chiarito che tale violazione può essere dedotta come motivo di impugnazione solo se la parte indichi il concreto pregiudizio alle prerogative processuali derivatole dalla mancata adozione del predetto rito, con conseguente interesse alla relativa rimozione, non potendosi ravvisarsi tale pregiudizio nella privazione di “una fase processuale”, considerato che il rito ordinario (nella specie seguito) rappresenta la massima espansione della cognizione integrale, idonea a consentire il migliore esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 6754/2020).

9.3. In base ai richiamati principi deve escludersi il pregiudizio denunziato dalla odierna ricorrente sotto il duplice profilo della mancata possibilità di avvalersi delle finalità acceleratorie proprie del ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, e di avvalersi della parametrazione della condanna risarcitoria nei limiti, a sé più favorevoli, delineati dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012.

Il primo pregiudizio viene prospettato in termini generici dovendo rilevarsi che la mancata fruizione degli effetti acceleratori propri del cd. rito Fornero nella realtà della controversia non determina un pregiudizio soltanto nei confronti della ricorrente ma per entrambe le parti e, comunque, non è stato specificato in che modo abbia determinato, per la odierna ricorrente, in concreto, una lesione tangibile del suo diritto di difesa o del contraddittorio.

La tutela ex art. 18 St lav. attiene al piano sostanziale e non è connessa all’adozione di uno specifico rito processuale nel senso che l’ordinamento, a fronte della illegittima condotta datoriale concretatasi nella risoluzione del rapporto di lavoro, ha previsto uno specifico strumento destinato ad assicurare il pieno ed effettivo ristoro della lesione prodottasi nella sfera del lavoratore mediante l’ordine di reintegrazione ed il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla effettiva reintegrazione.

Nella fattispecie in esame, quindi, il regime risarcitorio applicabile non poteva che essere quello proprio del momento in cui si è verificata la lesione in relazione alla illegittima condotta datoriale per cui, a prescindere dal rito, trovava applicazione l’art. 18 st. lav., nel testo previgente alla modifica introdotta dalla L. n. 92 del 2012. Conferma indiretta della correttezza di tale assunto è la citata L. n. 92 del 2012, art. 1, stesso comma 67, che non ricomprende il comma 42 (che introduce le modifiche all’art. 18 St lav.) tra quelli che si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

Quanto ora osservato in tema di idoneità del ricorso presentato secondo l’ordinario rito di cognizione previsto per le controversie di lavoro a pervenire ad una pronunzia di merito, esclude che la presentazione di un ricorso ex art. 414 c.p.c., in luogo di un ricorso ai sensi della L. n. 92 del 2021, art. 1, comma 48 e ss., comporti la decadenza dall’impugnazione del licenziamento.

10. Il secondo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

10.1. La Corte di appello ha ritenuto l’incompletezza della comunicazione di avvio della procedura per mancata indicazione della limitazione alla sede di (OMISSIS) delle unità da licenziare e delle ragioni che impedivano la ricollocazione dei lavoratori in altra sede delle società. In relazione a quest’ultimo profilo ha ritenuto infondata la deduzione dell’appellante incidentale sul carattere di novità della detta questione richiamando nella nota n. 4 della sentenza le deduzioni sviluppate dagli originari ricorrenti a pag. 9 del ricorso di primo grado.

Le doglianze articolate dalla società ricorrente sono inidonee alla valida censura della decisione sul punto in quanto in concreto intese a contestare la interpretazione del ricorso di primo grado da parte della Corte di appello, interpretazione che costituisce accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, sindacabile solo per vizio di motivazione, (v., tra le altre, Cass. n. 16596/2005, Cass. n. 12259/2002, Cass. n. 6066/2001, Cass. n. 3016/2001, Cass. n. 9314/1997 e Cass. n. 2113/1995), vizio neppure prospettato dalla odierna ricorrente.

10.2. Parimenti inammissibile la denunzia di vizio di attività del giudice di appello per l’omesso rilievo del carattere di novità della questione relativa alla mancata indicazione nella comunicazione di avvio delle ragioni della non collocabilità dei lavoratori addetti all’unità di (OMISSIS) presso altre sedi della società; ciò per la dirimente considerazione che la deduzione di error in procedendo, la quale implica che il giudice di legittimità abbia il potere diretto di esame degli atti, richiedeva la trascrizione del contenuto del ricorso di primo grado, onere non adempiuto dalla odierna ricorrente; la tecnica di redazione utilizzata dalla ricorrente si connota, infatti, per la trascrizione solo parziale di alcuni passi del ricorso introduttivo dei lavoratori, alternata a considerazione delle parte medesima ed a valutazioni riferite al giudice di merito secondo una modalità, quindi, intrinsecamente inidonea a consentire la verifica di fondatezza delle doglianze articolate sulla base del solo ricorso per cassazione, senza ricorrere a fonti integrative, come prescritto (Cass. n. 12761/ 2004, Cass. Sez. Un. 2602/2003, Cass. n. 4743/2001).

10.3. La deduzione di violazione degli artt. 115 e 116 e 414 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., è inammissibile per difetto di specificità non essendo sorretta dalla adeguata esposizione dei fatti di causa.

10.4. Infine è infondata nel merito, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la censura intesa a contestare la necessità che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità contenga anche le ragioni che escludevano la possibilità di ricollocazione degli addetti all’unità interessata presso altre sedi della società (Cass. n. 880/2013, Cass. n. 6959/2013).

11. Il terzo motivo di ricorso è infondato in ragione del fatto che le documentazioni in merito agli accordi sindacali precedenti alla messa in mobilità non possono essere considerate come atto equipollente rispetto alla nota di avvio della procedura L. n. 223 del 1991, ex art. 4, la quale di per sé avrebbe dovuto contenere, in modo chiaro ed esaustivo, le informazioni necessarie ai fini della comprensione delle ragioni per cui il licenziamento fosse limitato soltanto al personale dell’unità produttiva di (OMISSIS).

12. Le considerazioni alla base del rigetto del motivo precedente determinano l’infondatezza anche del quarto motivo per difetto di decisività dei fatti dei quali si assume omesso esame (tutti esterni alla procedura di mobilità)

13. Il quinto motivo di ricorso è infondato.

13.1. Occorre in primo luogo evidenziare che la censura di parte ricorrente per la quale la Corte di merito avrebbe ancorato la valutazione di incompletezza informativa a un requisito non richiesto dalla norma di legge (indicazione delle ragioni della mancata adibizione ad altra sede) non considera da un lato che tale profilo rientra in quello più vasto della indicazione delle ragioni per le quali non è stato possibile adottare misure alternative al licenziamento e dall’altro che nel caso specifico la incompletezza informativa è collegata anche alla mancata indicazione delle ragioni di limitazione della platea dei licenziandi, difetto che di per sé solo è idoneo a sorreggere l’affermazione di illegittimità della procedura (Cass. n. 2429/2012).

Invero, la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma 12 (cfr. Cass. n. 880/2013 cit., Cass. n. 22825/2009).

Nel caso in esame, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la mancata comparazione dei lavoratori di (OMISSIS) con quella dei lavoratori addetti ad altri stabilimenti, al fine di individuare chi dovesse essere licenziato in applicazione dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, assumeva rilievo in relazione ad una compiuta, trasparente e consapevole consultazione sindacale, tanto da compromettere il corretto svolgimento dell’esame congiunto.

14. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile in quanto la sentenza impugnata fonda la illegittimità del licenziamento sulla incompletezza della comunicazione di avvio per cui esulano dalla stessa i profili attinenti al piano della effettività delle ragioni alla base della chiusura della sede di (OMISSIS) che sembrano essere quelli oggetto della prova orale; quanto all’assenza di esperienza pregressa in Proma ove ritenuta sufficiente ad evocare il difetto di fungibilità è una questione nuova della quale non è allegata la rituale deduzione nelle fasi di merito; le circostanze articolate con la prova testimoniale non sono in ogni caso decisive in quanto la questione della “fungibilità/infungibilità” dei lavoratori, che avrebbe legittimato la riduzione dell’ambito di scelta dei licenziandi ai soli addetti allo stabilimento di (OMISSIS), non incide sui rilevati vizi formali e sostanziali della comunicazione di avvio della procedura; in secondo luogo, deve osservarsi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione ai fini istruttori (Cass. n. 8053 del 2014; Cass. n. 2498 del 2015; Cass. n. 21439 del 2015).

15. Il settimo motivo di ricorso è infondato.

15.1. Per consolidata giurisprudenza della S.C. l’ordine di reintegrazione del lavoratore subordinato illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ex art. 18 Stat. lav., costituisce una condanna (generica) del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e quindi ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto rappresentata, senza identificarsi con essa, dalla riattivazione del normale presupposto dell’esecuzione del rapporto (Cass. n. 27767/2021, Cass. n. 11130/2020, Cass. n. 10515/1997). Da tanto deriva che nessuna modifica della originaria domanda con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., è configurabile in relazione alle conclusioni spiegate in secondo grado che si limitano a puntualizzare il contenuto di una richiesta che è già intrinseca alla originaria domanda di reintegrazione stante la necessità di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto con riferimento al momento della reintegrazione.

16. La censura articolata con l’ottavo motivo di ricorso è fondata nel senso che effettivamente la Corte di merito ha omesso di pronunziare sulla eccezione di aliunde perceptum e percipiendum che parte ricorrente dimostra essere stata ritualmente formulata in primo grado e reiterate in seconde cure (v. ricorso per cassazione, pag. 72). Tanto premesso, occorre rilevare che le allegazioni in fatto, per come concretamente formulate, non appaiono idonee per la loro genericità a fondare l’accoglimento della eccezione medesima stante gli oneri di allegazione a riguardo a carico dell’eccipiente (Cass. n. 17776/2016) – oneri in concreto non assolti- e la ulteriore considerazione, in relazione alla istanza della società di acquisire informazioni scritte presso l’INPS e da ITL ex art. 213 c.p.c., della inammissibilità di richieste a fini meramente esplorativi allorquando neppure la parte istante deduce elementi sulla effettiva esistenza del documento e del suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio (Cass. n. 24971/12019, Cass. 31575/2018).

Da tutto quanto sopra scaturisce che pur in presenza dell’accertata omessa pronunzia su un motivo di gravame ritualmente dedotto non si dispone la cassazione con rinvio della decisione sul punto avendo questa Corte chiarito che alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (v. tra le altre, Cass. Sez. Un. 2731/2017, Cass. n. 2168/2015).

17. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso va rigettato e le spese di lite regolate secondo soccombenza.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

 

 

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