Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7471 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. II, 31/03/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE PITRE’ 13, presso lo studio dell’avvocato GAGLIANO

EUGENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMITA FRANCESCO con

procura notarile n. rep.43408 del 10/1/2011, unitamente all’avvocato

SAVOIA EMANUELE;

– ricorrente –

contro

D.S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell’avvocato MOSCARINI

LUCIO VALERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CASTELLANETA

MARIA ANNA PIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1167/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato ROMITA Francesco, con procura notarile speciale

depositata in udienza, difensore del ricorrente che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CASTELLANETA Maria Anna Pia, difensore del

resistente che ha chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del (OMISSIS) M.D. chiedeva al Tribunale di Bari la separazione personale dal marito D.S.A..

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del (OMISSIS) pronunciava la separazione personale tra i coniugi, regolava alcuni aspetti dei loro rapporti (affidamento della prole, assegno di mantenimento, diritto di visita ed assegnazione della casa coniugale) e rimetteva la causa in istruttoria in relazione alle domande di divisione dei beni della comunione legale.

Con sentenza definitiva del 12-11-1992 il Tribunale di Bari stabiliva che la comunione tra i coniugi comprendeva l’appartamento sito in (OMISSIS), il locale a piano scantinato sito nello stesso stabile, tre autoveicoli ed il denaro esistente alla data della comparizione dei coniugi all’udienza presidenziale su due conti correnti intestati al D.S.;

escludeva invece dalla divisione giudiziale ogni altro eventuale cespite immobiliare, in particolare tre appartamenti in Valenzano di cui il D.S. si sarebbe reso promissario acquirente con preliminare del 3-3-1981, atteso che le risultanze probatorie non consentivano di affermare con certezza che tali immobili fossero entrati nel patrimonio del convenuto in costanza di matrimonio e prima della separazione.

A seguito di impugnazione da parte di entrambi i coniugi la Corte di Appello di Bari con sentenza del 17-10-1994 non gravata da ricorso per cassazione dichiarava inammissibile l’appello principale del D. S. ed inefficace quello incidentale della M..

Con atto di citazione del 19-12-1997 la M. conveniva nuovamente in giudizio il D.S. dinanzi al Tribunale di Bari chiedendo dichiararsi che i tre suddetti appartamenti in (OMISSIS) fossero ritenuti costituenti il patrimonio comune dei coniugi, e per l’effetto condannarsi il convenuto al pagamento di una somma di denaro pari alla meta’ del loro valore ed al risarcimento dei danni per il mancato godimento dei beni comuni.

Costituendosi in giudizio il D.S. chiedeva il rigetto delle domande attrici invocando il giudicato esterno relativo alla sentenza del Tribunale di Bari del 12-11-1992; in via riconvenzionale chiedeva poi il riconoscimento della somma di L. 4.000.000 quale quota parte del deposito bancario di L. 8.000.000 intestato alla moglie all’epoca della separazione.

Il Tribunale adito con sentenza del 26-2-2002 rigettava sia la domanda principale sia quella riconvenzionale.

Proposto gravame da parte della M. cui resisteva il D. S. la Corte di Bari con sentenza del 22-12-2004 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza la M. ha proposto un ricorso basato su quattro motivi cui il D.S. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione del controricorrente di inammissibilita’ del ricorso perche’ la procura conferita a margine del ricorso stesso, che in particolare fa chiaro riferimento al giudizio di merito e non a quello di legittimita’, e’ priva del requisito di specialita’.

L’eccezione e’ infondata, in quanto la suddetta procura, apposta a margine del ricorso, esprime necessariamente il suo riferimento a questo, e deve pertanto essere considerata speciale anche se formulata in termini generici e senza espresso riferimento al giudizio di legittimita’.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., assume che la sentenza del Tribunale di Bari del 12-11-1992, nel decidere in ordine alla divisione del patrimonio dei coniugi, non si era pronunciata sui tre appartamenti di (OMISSIS), essendosi limitata a rilevare che le risultanze probatorie non consentivano di affermare con certezza se tali beni fossero entrati nel patrimonio del D.S. in costanza di matrimonio e prima della separazione, non avendo quindi inteso ne’ assegnare ne’ negare i beni suddetti; pertanto, non essendo stato accertato con certezza che gli appartamenti in questione erano entrati nei patrimonio del D.S., al riguardo non si era formato alcun giudicato, come confermato dal fatto che nel dispositivo non vi era alcuna statuizione al riguardo, cosicche’ l’esponente legittimamente aveva iniziato un nuovo giudizio in proposito allegando nuove prove di cui era venuta a conoscenza ed in possesso solo successivamente alla definizione del giudizio di divisione dei patrimonio coniugale.

La censura e’ infondata.

Il giudice di appello ha affermato che la sentenza del Tribunale di Bari del 12-11-1992 aveva ritenuto non raggiunta la prova da parte della M. del fatto che nell’ambito della comunione legale tra i coniugi rientrassero anche tre immobili acquistati dal D.S. in costanza di matrimonio e prima della separazione, ed ha quindi rilevato che vi era stata sul punto una decisione di merito, essendo stato negato alla M. il bene della vita da essa giudizialmente richiesto, decisione passata in giudicato a seguito della sentenza della Corte di Appello di Bari del 17-10-1994 – non impugnata in cassazione – che aveva dichiarato inammissibile l’appello principale del D.S. ed inefficace l’appello incidentale della M.;

la Corte territoriale ha quindi condiviso il convincimento del giudice di primo grado secondo cui il giudicato tra le parti si era formato anche in merito alla identificazione di beni costituenti la comunione legale quale presupposto logico – giuridico indispensabile per procedere alla loro divisione.

Tale assunto e’ immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente, che invero, sostenendo l’insussistenza del giudicato in ordine alla ritenuta esclusione dei tre suddetti appartamenti dalla comunione legale all’epoca esistente tra le parti per carenza di adeguati elementi probatori, ammette chiaramente che sul punto vi era stata una decisione di merito successivamente passata in giudicato.

Quanto al rilievo che nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Bari del 12-11-1992 era assente una statuizione in ordine alla domanda relativa alla inclusione dei tre immobili per cui e’ causa nella comunione legale tra i coniugi e quindi alla richiesta di comprenderli nell’oggetto del giudizio di divisione, correttamente il giudice di appello ha rilevato che la portata precettiva di una pronuncia deve essere individuata non alla stregua del solo dispositivo, bensi’ integrando questo con la motivazione (vedi al riguardo Cass. 11-7-2007 n. 15585), cosicche’ il giudice di merito, nell’indagine volta ad accertare l’oggetto ed i limiti del giudicato esterno, non puo’ limitarsi a tener conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza previamente pronunziata e divenuta immodificabile, ma deve individuarne l’essenza e l’effettiva portata, da ricavarsi non solo dal dispositivo, ma anche dai motivi che la sorreggono (Cass. 7-2-2007 n. 2721).

Infine il profilo di censura con il quale la ricorrente sostiene di essere venuta a conoscenza ed in possesso di nuove prove in ordine alla appartenenza dei tre predetti appartamenti alla comunione legale tra i coniugi e’ infondato, posto che l’accertamento positivo o negativo di un diritto in sentenza costituisce sempre una pronuncia di merito che, una volta passata in giudicato, preclude la proposizione della medesima domanda tra le stesse parti, a nulla rilevando – in relazione alla impossibilita’ nel vigente ordinamento processuale dell’emanazione di sentenze allo stato degli atti – il contrasto con documenti decisivi che la parte interessata non sia stata in grado di produrre a suo tempo (Cass. 18-2-1991 n. 1682;

Cass. 29-5-2001 n. 7302).

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione dell’art. 229 c.p.c. e dell’art. 2770 c.c., sostiene che la sentenza impugnata non ha considerato che il D.S. nella propria comparsa di costituzione e risposta del 17-2-1998 aveva ammesso che i tre appartamenti per cui e’ causa gli erano stati promessi in vendita dal costruttore V., che inoltre al termine dei lavori, mentre due preliminari erano stati bonariamente risolti, quest’ultimo aveva corrisposto al D.S. il corrispettivo dell’appalto dei lavori ad esso commissionati, detratto quanto incassato dal D.S. medesimo dal terzo promissario acquirente di uno dei tre appartamenti, e che quindi almeno uno dei tre immobili era stato ceduto a titolo oneroso dalla controparte ad un terzo promissario acquirente.

Con il terzo motivo la M., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., rileva che i giudici di merito hanno ritenuto di escludere dal patrimonio comune dei coniugi i tre appartamenti oggetto di contratto preliminare tra il V. ed il ed il D.S. nonostante che dalle risultanze probatorie era emerso che costoro avevano pattuito che il compenso dovuto dal primo al secondo per avere questi provveduto alla installazione dell’impianto di riscaldamento nel complesso edilizio (OMISSIS) realizzato dal V. in (OMISSIS) fosse corrisposto mediante la cessione in suo favore della proprieta’ di tre appartamenti ultimati prima della separazione tra i coniugi.

Entrambe le enunciate censure restano assorbite all’esito del rigetto del primo motivo di ricorso; infatti correttamente la Corte territoriale, una volta accertata l’esistenza di un giudicato esterno nei termini sopra riportati, ha ritenuto assorbito ogni altro profilo di merito del gravame.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 177 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., assume che dalle risultanze processuali era emerso che il D.S. aveva incassato nel 1984, ovvero prima della separazione tra i coniugi, la somma di L. 101.000.000 quale compenso per l’attivita’ lavorativa svolta in favore del V., cosicche’ l’esponente aveva diritto ad ottenere la meta’ di detto importo.

La censura e’ inammissibile.

Invero, poiche’ la questione prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, la ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilita’ per novita’ della censura, aveva l’onere – in realta’ non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 1500,00 per onorari di avvocato.

Cosi’ deciso in Roma, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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