Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7470 del 23/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 23/03/2017, (ud. 21/12/2016, dep.23/03/2017),  n. 7470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2-2015 proposto da:

(OMISSIS) LTD – SOCIETA’ DI DIRITTO INGLESE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCO TORTORANO, ANGELO

SCALA, giusta procura speciale per Notaio M.D.A.M. di

NAPOLI – Rep.n. (OMISSIS) del (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., in persona del Curatore dott.

F.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUCA PARRELLA, giusta procura in calce al

controricorso;

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Via

BROFFERIO 6, presso l’avvocato STEFANIA BELLEI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO FIORE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 172/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ARGENTI GIULIO, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente M.P.S., l’Avvocato BELLEI STEFANIA,

con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per il controricorrente FALLIMENTO, l’Avvocato VARRICCHIO

SABRINA, con delega orale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento della s.r.l. (OMISSIS), con sede legale in (OMISSIS) fino al 24/4/2013 e, successivamente in (OMISSIS) nella città di (OMISSIS).

Il giudice di primo grado ha, in primo luogo, ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice italiano in considerazione della natura meramente fittizia del trasferimento della sede legale, con conseguente inapplicabilità della presunzione relativa alla coincidenza della sede legale con quella reale. La s.r.l. (OMISSIS) aveva deliberato il trasferimento della sede all’estero quando il suo stato d’insolvenza era del tutto palese; non aveva dedotto o dimostrato le ragioni di natura imprenditoriale sottese alla modifica nè era stato dimostrato lo svolgimento di un’effettiva attività produttiva a Londra. Il trasferimento ha avuto pertanto natura fraudolenta e fittizia.

La Corte d’Appello ha rigettato il reclamo proposto dalla società sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) In ordine alla censura relativa alla nullità del ricorso e all’inesistenza della eseguita notificazione perchè non effettuata nei confronti del nuovo legale rappresentante ma del precedente e verso un soggetto, la Concessionaria (OMISSIS), non più esistente ed, infine, per non essere mai stato ricevuto l’atto notificato, è stato rilevato che la notificazione è stata eseguita ai sensi dell’art. 7 del Regolamento CE n. 1393 del 2007 – secondo il quale si deve procedere secondo la legge dello Stato membro del destinatario, a mezzo posta, mediante consegna del piego all’indirizzo indicato dal notificante mediante immissione nella cassetta postale, come risulta dal certificato richiesto dall’art. 10 del Reg. CE n. 1393 del 2007 – il quale attesta che la notifica è avvenuta in conformità con la normativa dello stato membro. Precisa la Corte che l’ulteriore censura contenuta nelle note depositate all’udienza del 16/5/2014, relativa alla nullità della notifica per difetto di traduzione nella lingua indicata nell’art. 8 par. 1 lettera A) del sopracitato Regolamento, è tardiva, in quanto proposta ben oltre i trenta giorni di cui all’art. 18 legge fall. Comunque nessun vulnus al diritto di difesa è derivato dal difetto di traduzione in quanto la società fallita è stata in grado di comprendere le ragioni della dichiarazione di fallimento come attestato dalle difese svolte in sede di reclamo.

b) anche nel merito la censura è infondata per due ragioni. In primo luogo perchè l’art. 8 stabilisce che l’organo ricevente informa il destinatario della facoltà di rifiutare l’atto o immediatamente o entro una settimana dalla notificazione ove esso non sia tradotto nella lingua ufficiale dello stato membro. Il destinatario non si è avvalso della facoltà differita del rifiuto, come avrebbe dovuto fare essendo stato l’atto notificato con immissione nella cassetta postale, pur avendo avuto ampio spazio temporale per dolersi dell’incomprensibilità degli atti che gli erano pervenuti. In secondo luogo, la società trasferitasi all’estero è italiana quanto alla compagine sociale ragione per cui la lingua italiana era da ritenersi ampiamente comprensibile.

c) In ordine alla censura relativa alla natura non fittizia del trasferimento all’estero ed ai suoi effetti sulla giurisdizione del giudice italiano, il reclamante l’ha fondata sulla piena reperibilità della società presso la sede sociale alla data della notifica del ricorso; sullo svolgimento di un’attività produttiva a Londra previo reperimento e locazione di immobile; sull’assunzione di due dipendenti; sull’acquisto di attrezzature per l’impresa e la fatturazione dell’attività svolta; sulla regolare iscrizione nel registro delle Imprese dell’Inghilterra e del Galles; nonchè sulla preventiva cancellazione dal REA di Napoli. La Corte d’Appello ha contrastato tali elementi fattuali rilevando che dalla complessiva valutazione degli elementi probatori deve ritenersi superata la presunzione della coincidenza del centro d’interessi con la sede legale della società. Ha al riguardo affermato che la sede legale londinese coincide con un mero recapito postale e che presso lo stesso edificio risultano ubicate oltre 33 mila società; che il diritto a conseguire la domiciliazione presso quell’indirizzo è acquistabile con poche sterline; che S.A., legale rappresentante e socio di maggioranza della società (delle rimanenti quote sono titolari i figli) è stato amministratore soltanto per sei giorni con subentro di un’amministratrice che contemporaneamente amministrava 15 società quasi tutte cessate; che è stata intrapresa una procedura di cancellazione d’ufficio della Ltd. (OMISSIS), in ordine alla quale è stato obiettato soltanto che la cancellazione non è effettivamente intervenuta;

d) non vi è stato spostamento dell’attività d’impresa svolta in Italia nè del centro direttivo ed amministrativo dell’impresa stessa;

e) vi è discontinuità dovuta al trasferimento all’estero dal momento che in Italia l’attività principale era quella di rivendita di autoveicoli, motoveicoli, autocarri ed imbarcazioni mentre a Londra è quella di noleggio di autovetture originariamente neanche contemplata nello statuto e svolta con l’ausilio di nuovi dipendenti ed organo amministrativo nuovo; anche sotto il profilo dei risultati economici vi è discontinuità attesa la estrema modestia di quelli ottenuti a Londra (fatture per sole 50.000 sterline) a fronte di un passivo italiano molto elevato e risultati della gestione economica già negativi nel 2009/2010, peggiorati irreversibilmente negli anni successivi;

f) lo stato d’insolvenza era conclamato da tempo anteriore allo spostamento di sede all’estero sicchè tale scelta non può che essere finalizzata all’intento di sottrarre la società dalla dichiarazione di fallimento in Italia. Medesima scelta è stata attuata con altre società appartenenti al gruppo.

In conclusione, sussistono, per la Corte territoriale, requisiti per ritenere fittizio e fraudolento il trasferimento tenuto conto anche dell’assenza di legami significativi dei soci e degli amministratori con il nuovo Stato.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la società. Hanno resistito con controricorso il Monte dei Paschi di Siena ed il Fallimento. Hanno depositato memoria la parte ricorrente e il fallimento della s.r.l. (OMISSIS).

Il ricorso era stato trasmesso all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte, essendo state prospettate censure relative al difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Il primo presidente aggiunto ha delegato la prima sezione, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, per l’esame della questione relativa al difetto di giurisdizione con provvedimento del 29/7/2016.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo viene dedotta la violazione della disciplina della notifica degli atti giudiziari in materia civile e commerciale per mancata dichiarazione dell’inesistenza o nullità della notificazione eseguita a (OMISSIS). In particolare viene rilevato come vizio produttivo della nullità radicale dell’atto e del procedimento notificatorio la mancata traduzione in inglese della copia consegnata. Tale puntualizzazione della più ampia eccezione di nullità non è tardiva non verificandosi preclusioni nel procedimento di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento. La procedura utilizzata (immissione dell’atto nella cassetta postale) sarebbe valida e efficace solo qualora fosse stata dimostrata l’avvenuta ricezione. Senza tale riscontro sarebbe violato un principio cardine dell’ordine pubblico processuale italiano, oltre a quello dell’Unione Europea, avendo la Corte di Giustizia nella sentenza Krombach (causa C-7/98 28/3/2000) affermato che l’obiettivo della semplificazione deve essere contemperato con la garanzia dei diritti fondamentali. Analogo principio ha stabilito la Corte Europea dei diritti umani affermando il diritto della parte di essere informata effettivamente della pretesa rinvolta nei suoi confronti. Inoltre, ha sottolineato la parte ricorrente, la normativa processuale contenuta nel regolamento CE n. 1393 del 2007, nell’ipotesi di rifiuto di ricevere l’atto, prescrive un dovere informativo a favore del destinatario eseguibile mediante consegna del modulo standard denominato Allegato II da consegnare al momento della notificazione o mediante invio nel termine di una settimana. Il diritto di rifiutare la ricezione dell’atto rientra nel più ampio concetto del diritto di difesa, così come inteso dal legislatore comunitario, secondo il quale si deve coniugare rapidità, efficienza con l’obiettivo ineludibile della leggibilità e fedeltà del documento ricevuto.

Preliminarmente, deve rilevarsi la novità e conseguente inammissibilità del rilievo relativo al difetto informativo, peraltro collegato ad un evento, il rifiuto di ricevere l’atto, che avrebbe dovuto essere manifestato nel modo tipico indicato dal citato art. 8, ovvero mediante reinvio dell’atto al mittente. La parte ricorrente non ha neanche dedotto di aver prospettato anche questo specifico profilo di censura così come quello relativo ai principi UE e CEDU in ordine all’effettività del procedimento notificatorío.

In ordine all’ obbligo di tradurre l’atto da notificare – seguendo il criterio della ragione più liquida per pervenire al rigetto della censura come esattamente rilevato dalla Corte d’Appello, non è stato neanche dedotto il rifiuto differito dell’atto da parte del destinatario, espresso ex art. 8 mediante il reinvio al mittente. Non possono di conseguenza prodursi gli effetti tipicamente connessi a tale evento, così come indicati dal più volte citato art. 8, ed in particolare l’obbligo di provvedere alla traduzione dell’atto stesso nella lingua ufficiale dello Stato membro richiesto.

Nel secondo motivo di ricorso viene dedotto il difetto di giurisdizione del giudice italiano e la conseguente nullità della sentenza impugnata. Al riguardo, in primo luogo viene censurata la individuazione in Italia del “centro degli interessi principali del debitore” eseguita dalla Corte d’Appello in contrasto con i principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dalla Corte di Cassazione. Fino a prova contraria il centro degli interessi principali del debitore coincide con la sede statutaria. Secondo quanto stabilito nel Considerando n. 13 del Regolamento n. 1346 del 2000 si deve individuare il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile da terzi. E’ necessario, di conseguenza, individuare gli elementi oggettivi e riconoscibili sui quali ancorare il giudizio. Se gli organi direttivi e di controllo di una società si trovano presso la sede statutaria e da lì vengono assunte le decisioni di gestione, in modo riconoscibile da terzi, la presunzione non può essere superata. Gli elementi di fatto rilevanti per il diritto dell’Unione Europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia e secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, sono: l’irreperibilità della società presso la sede sociale al momento della notifica del ricorso; il fatto che il legale rappresentante abbia conservato la residenza in Italia, l’individuazione in Italia di beni ed attività riferibili alla società. Nessuno di questi elementi ha trovato riscontro nella fattispecie. La società è del tutto reperibile, come attestato proprio dal procedimento notificatorio; il legale rappresentante è residente nel luogo ove si trova la sede sociale e non sono accertate attività d’impresa in Italia. E’ stato documentalmente provato lo svolgimento d’attività d’impresa in Londra dove è ubicata la sede. La società è registrata presso il Register of Companies for England and Wales.

L’esame della censura richiede una preventiva illustrazione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento. La individuazione della giurisdizione si fonda sull’esame e l’interpretazione dell’art. 3 del Regolamento CE n. 1346 del 2000 riguardante specificamente le procedure d’insolvenza transfrontaliere, ratione temporis applicabile alla fattispecie.

L’art. 3 del Regolamento 1346/2000 dispone che “Sono competenti ad aprire la procedura d’ insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”.

La Corte di giustizia (20 ottobre 2011, procedimento C – 396/09, Interedil; p.p. 56 e 57) ha precisato che “nel caso (…) di un trasferimento della sede statutaria prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, è pertanto presso la nuova sede statutaria che, in conformità all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, si presume si trovi il centro degli interessi principali del debitore. Sono, di conseguenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova la nuova sede che, in linea di principio, divengono competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale, a meno che la presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, del regolamento non sia superata dalla prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria. Le stesse regole devono trovare applicazione nell’eventualità in cui, alla data della proposizione della domanda di avvio della procedura di insolvenza, la società debitrice sia stata cancellata dal registro delle società e…. abbia cessato ogni attività”.

Già in precedenza aveva chiarito la sentenza della Corte di giustizia Comunità Europee, n. 341 del 2 maggio 2006, Eurofood IFSC Ltd.: “per determinare il centro degli interessi principali di una società debitrice, la presunzione semplice prevista dal legislatore comunitario a favore della sede statutaria di tale società può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria. Ciò potrebbe in particolare valere per una società fantasma, la quale non svolgesse alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui si trova la sua sede sociale” (p.p. 34 e 35).

Le Sezioni Unite di questa Corte, con orientamento del tutto coerente con quello sopra richiamato della Corte di Giustizia, hanno espresso i seguenti consolidati principi in ordine agli indici probatori relativi al superamento della presunzione di coincidenza tra sede legale e sede effettiva contenuta nell’art. 3 del Reg. CE n. 1346 del 2000:

a) un indicatore della non coincidenza della sede legale con quella effettiva può cogliersi quando il trasferimento all’estero della sede legale dopo il manifestarsi della crisi d’impresa, non è sostenuto dalla prosecuzione della medesima attività d’impresa svolta in Italia, nè sia stato spostato presso di essa il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa (S.U. 11398 del 2009) ma si determini una discontinuità, o dovuta all’inesistenza di qualsiasi attività o all’impostazione di un’attività (fittizia o reale) non riconducibile a quella preesistente.

b) Un ulteriore indizio è costituito dal fatto che l’organo amministrativo o chi ha maggiormente operato nell’impresa sia cittadino italiano senza significativi collegamenti con lo stato straniero (S.U. 15880 del 2011);

c) E’ necessario valutare rigorosamente se al trasferimento di sede sia seguito concretamente il trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale, così da non risolversi in un atto meramente formale (S.U. 3059 del 2016). Al riguardo non rileva che il trasferimento “sia stato posto in essere conformemente alla legge dello stato interessato”;

d) Il trasferimento risulta fittizio quando non risulti spostato all’estero il centro dell’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa.

Gli altri indicatori, pure rinvenuti dalla giurisprudenza di legittimità coerentemente con quanto affermato dalla Corte di Giustizia al riguardo, consistenti, nell’iscrizione nel registro delle imprese estero (S.U. 3598 del 2009); nella difficoltà di procedere alla notificazione del ricorso per fallimento dovuta all’irreperibilità della società (S.U. 15880 del 2011), sono stati presi in esame dalle pronunce sopra illustrate unitamente ad altri indicatori idonei a misurare l’effettività del trasferimento dell’attività d’impresa e la continuità della stessa sotto il profilo direzionale e gestionale. Essi, pertanto, non costituiscono, come sostenuto nel ricorso e nella memoria di parte ricorrente, indici univoci della corrispondenza della sede legale con quella effettiva ma, al contrario, al pari della cittadinanza estera dell’amministratore e della prefigurazione di un’attività d’impresa anche presso la nuova sede, devono essere valutati dal giudice della giurisdizione in modo globale e complessivo, in modo da poter far emergere il carattere formale o sostanziale dell’adeguamento eventualmente effettuato dalla società rispetto agli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di legittimità al fine di accertare la corrispondenza della nuova sede legale con la sede effettiva o la fittizietà del trasferimento.

La Corte territoriale ha svolto in modo del tutto coerente con i principi sopra delineati l’accertamento richiesto in sede di verifica della giurisdizione italiana. Non ha trascurato il rilievo di alcuni indicatori: la reperibilità della società; l’iscrizione nel registro delle imprese inglese; la nomina dell’amministratore; lo svolgimento di un’attività d’impresa ma ne ha, allo stesso tempo, testato il carattere meramente “formale” rivolto proprio a fornire una rappresentazione della realtà dell’impresa non coerente con la natura effettiva della stessa, evidenziando, con accertamento di fatto del tutto insindacabile che l’iscrizione nel registro delle imprese era sub judice; che gli amministratori esteri che si erano avvicendati erano comuni ad un numero molto elevato di altre società, ubicate nella stessa sede legale, che questi peculiari elementi fattuali ponevano in rilievo l’esclusivo carattere fittizio delle nomine in questione; che l’attività d’impresa svolta era in netta discontinuità sia rispetto alla qualità ed all’oggetto di quella preesistente, sia rispetto all’entità del giro d’affari.

Deve, pertanto, ritenersi legittimo l’accertamento della giurisdizione del giudice italiano compiuto dalla Corte d’Appello sulla scorta di principi del tutto coerenti con quelli propri delle norme e dell’ermeneusi consolidata.

Nel terzo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nella mancata prova dei crediti posti a base delle istanze di fallimento, sia quello relativo ai crediti maturati da alcuni lavoratori dipendenti sia quello riguardante il saldo passivo maturato dalla società fallita con il Monte Paschi di Siena. Per il primo i documenti posti a base del credito erano stati prodotti in fotocopie di cui si è contestata l’autenticità; per i secondi la documentazione prodotta non consente la ricostruzione dei movimenti che hanno determinato la formazione delle poste passive.

La censura deve ritenersi inammissibile dal momento che si limita a contestare del tutto genericamente due delle esposizioni debitorie che compongono l’ampio quadro dell’insolvenza della società fallita. Nella sentenza impugnata sul credito dei lavoratori dipendenti si offre un quadro probatorio ben più consistente di quello indicato in ricorso, peraltro con difetto di autosufficienza sulla tempestiva deduzione della non corrispondenza delle copie prodotte agli originali (il credito viene ritenuto quasi integralmente accertato in via giudiziale). Sull’altro credito l’insufficienza documentale è lamentata in modo così generico da non essere apprezzabile.

In conclusione il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento in favore delle parti contro ricorrenti da liquidarsi per ciascuna di esse in Euro 5000 per compensi; Euro 200 per spese oltre accessori di legge.

Si dà atto che sussistono le condizioni di applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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