Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7469 del 19/03/2020

Cassazione civile sez. I, 19/03/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 19/03/2020), n.7469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2473/2015 proposto da:

Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Della Giuliana 32, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Fischioni

e rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Milazzo, in forza di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Laboratorio Analisi Dott.ssa L.G. & C s.a.s., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Pompeo Magno, 23/a, presso lo studio

dell’avvocato Guido Rossi, e rappresentata e difesa dall’avvocato

Giuseppe Bondì, in forza di procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 568/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 25/2/2008 il Tribunale di Trapani ha rigettato la domanda di condanna della AUSL n. (OMISSIS) di Trapani al pagamento della somma di Euro 32.305,61 avanzata dal Laboratorio di Analisi Dott.ssa L.G. & c. s.a.s., centro specialistico operante in sistema di accreditamento, a titolo di saldo residualmente dovuto per le prestazioni sanitarie da esso eseguite nell’anno 2000, a spese compensate.

Il Tribunale ha ritenuto che l’Azienda Sanitaria avesse legittimamente rifiutato di provvedere all’erogazione per prestazioni rese “extrabudget”, in applicazione del decreto assessoriale n. 29149 del 1999, che all’art. 4, comma 3, regolava le modalità e la misura di liquidazione di tali prestazioni, mediante una apposita decurtazione del fatturato eccedente il tetto di spesa proporzionale all’entità del superamento.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la società attrice, a cui ha resistito l’appellata AUSL n. (OMISSIS) Trapani.

La Corte di appello di Palermo con sentenza del 5/4/2014 ha accolto il gravame, condannando l’AUSL al pagamento della somma richiesta e delle spese del doppio grado.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 15/1/2015 ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, ente scaturito dalla fusione realizzata fra la AUSL (OMISSIS) di Trapani e l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) in data 1/9/2009, effettuata in attuazione della L.R. siciliana n. 5 del 2009.

La ricorrente ha svolto due motivi.

Con atto notificato il 18/2/2015 ha proposto controricorso Laboratorio di Analisi Dott.ssa L.G. & c. s.a.s. chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 8, alla L.R. Sicilia n. 2 del 2002, art. 26, comma 6, al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies nonchè ex art. 360 c.p.c., n. 5 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

1.1. La ricorrente ricorda che la Corte di appello aveva affermato che solo all’Amministrazione regionale competeva il potere di determinare il tetto di spesa per un determinato anno finanziario e che non avendolo essa mai esercitato per l’anno 2000 le prestazioni extra-budget dovessero essere pagate integralmente.

Invece il decreto assessoriale aveva efficacia normativa e valeva sino a quando un nuovo decreto non avesse diversamente regolato la materia: in mancanza il medesimo budget annuale doveva essere applicato anche alle annate successive.

La legittimità della contrattazione tra Aziende UU.SS.LL. e strutture erogatrici di prestazioni sanitarie, nel caso concreto tradottasi nel verbale del 20/1/2000, con cui si conveniva pe perdurante applicazione del budget 1999 all’anno 2000, era espressamente prevista dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies.

1.2. Giova premettere che in tema di attività sanitaria esercitata in regime di cosiddetto accreditamento, la domanda di condanna della ASL al pagamento del corrispettivo per le prestazioni eccedenti il limite di spesa, proposta dalla società accreditata sul presupposto dell’annullamento in via giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi che avevano stabilito i cosiddetti “tetti di spesa” e della conseguente invalidità, inefficacia o inoperatività parziale dell’accordo stipulato tra le parti limitatamente alle clausole che prevedevano la non remunerabilità delle predette prestazioni, rientra, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia il cui petitum sostanziale investe unicamente la verifica dell’esatto adempimento di una obbligazione correlata ad una pretesa del privato riconducibile nell’alveo dei diritti soggettivi, senza coinvolgere il controllo di legittimità dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio. (Sez. U, n. 26200 del 16/10/2019, Rv. 655503 – 01); viceversa le controversie concernenti “indennità, canoni o altri corrispettivi” riservate alla giurisdizione del giudice ordinario dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, e, quindi, dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), sono essenzialmente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, mentre, laddove la lite esuli da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo. Ne consegue che rientra nella giurisdizione esclusiva di quest’ultimo, anche sotto il profilo della lesione dell’affidamento sulla legittimità dell’atto amministrativo, la controversia intrapresa da una casa di cura nei confronti di una AUSL ed inerente il tetto di spesa deliberato per una determinata annualità, la quale, pur formalmente rivolta ad ottenere il pagamento dei corrispettivi spettanti, investe, nella sostanza, la valenza dei budget assegnati ed involge un sindacato sull’incidenza dei poteri autoritativi e di controllo che l’Amministrazione regionale conserva anche nella fase attuativa dei rapporti di natura concessoria, in coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’ambito di una pianificazione coerente con i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario ed i preventivi annuali delle prestazioni (Sez. U, n. 14428 del 09/06/2017, Rv. 644563 – 01).

Inoltre, in tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, è infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa formulata – a titolo di inadempimento contrattuale o di illecito extracontrattuale – dalla società accreditata nei confronti dell’ASL e della Regione, atteso che la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni c.d. extra budget è giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa ed il vincolo delle risorse pubbliche disponibili e che la struttura privata accreditata non ha l’obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate (Sez. 3, n. 27608 del 29/10/2019, Rv. 655496 – 01).

1.3. La Corte di appello è partita dal presupposto corretto che solo all’Amministrazione regionale competeva il potere di fissare il tetto di spesa.

Poichè la Regione aveva provveduto in tal senso per l’anno 1999 e non per l’anno 2000, ne ha dedotto l’inefficacia della determinazione provvisoria adottata dalla AUSL (OMISSIS) di calibrare la propria spesa anche per il 2000 sulla base del budget 1999, ritenuta legittima proprio per il suo carattere provvisorio nei tempi tecnici necessari per l’esercizio del potere regionale.

Secondo la Corte di appello il decreto assessoriale n. 29149 del 15/6/1999 si limitava a disporre esclusivamente con riferimento all’esercizio 1999 e non poteva invece ritenersi efficace, come sostenuto dalla AUSL 9, fino all’emanazione di un diverso atto normativo.

1.4. La L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 8, recante “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”, disponeva che “Le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni, art. 2, comma 5, individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presìdi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonchè gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 32”.

La L.R. Sicilia 26 marzo 2002, n. 2, art. 28, comma 6 (non 26, come indicato nella rubrica del motivo), recante “Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002” prevede che “I direttori generali delle aziende sanitarie locali negoziano preventivamente con le strutture pubbliche e private, ivi comprese le aziende universitarie policlinico, l’ammontare delle prestazioni erogabili per conto del servizio sanitario regionale nei limiti dei budget predeterminati dalla Regione, tenendo conto della qualità delle prestazioni erogate, della programmazione regionale, del fabbisogno di assistenza individuato dalla Regione e dei propri vincoli di bilancio”.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quinquies recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1”, nella versione vigente pro tempore, risalente al D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, disponeva che “… la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliero universitarie, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano …omissis b) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza; c) i requisiti del servizio da rendere, con particolare riguardo ad accessibilità, appropriatezza clinica ed organizzativa, tempi di attesa e continuità assistenziale; d) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lett. d)”.

1.4. La censura appare inammissibile.

Secondo la ricorrente il decreto assessoriale n. 29149 del 1999, avrebbe un valore normativo e possederebbe soprattutto l’efficacia di determinare il tetto delle prestazioni sanitarie non solo per il 1999 ma anche per l’anno successivo, in difetto di diverso provvedimento della Regione.

Il provvedimento tuttavia non è stato allegato e neppur sommariamente sintetizzato nel ricorso, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che oltretutto non ne indica la collocazione degli atti processuali.

Si tratta evidentemente di un atto amministrativo per cui non vale il principio “iura novit curia” e che le parti interessate sono tenute a produrre in giudizio a sostegno dei loro assunti.

Il principio “iura novit curia”, laddove eleva a dovere del giudice la ricerca del diritto, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti e i regolamenti interni) (Sez. 3, n. 34158 del 20/12/2019, Rv. 656335 – 02).

Gli atti meramente amministrativi (compresi i decreti ministeriali) sono sottratti all’applicabilità del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., da coordinare con l’art. 1 preleggi (che non li comprende tra le fonti del diritto), con la conseguenza che spetta alla parte interessata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Sez. 5, n. 25995 del 15/10/2019, Rv. 655448 – 01; nello stesso senso Sez. L, n. 15100 del 11/06/2018, Rv. 649320 01; Sez. L, n. 15065 del 02/07/2014, Rv. 631597 – 01; Sez. 6 – 3, n. 26784 del 13/12/2011, Rv. 620672 – 01; Sez. U, n. 9941 del 29/04/2009, Rv. 607738 – 01).

Questa Corte non è stata posta in condizione, in difetto di riferimenti testuali al provvedimento amministrativo invocato, di verificare se il predetto decreto dell’Assessore regionale alla sanità si riferisse solamente alle prestazioni sanitarie erogate nell’anno 1999, come ritenuto dalla Corte territoriale, o, piuttosto, come sostiene la ricorrente, indicasse un tetto massimo annuale di spesa capace di espandersi e regolare anche il budget degli anni successivi, in difetto di ulteriori provvedimenti della stessa autorità amministrativa.

Oltretutto, a favore della prima soluzione milita l’argomento desumibile dallo stesso testo delle dichiarazioni dell’Ausl nell’incontro sindacale del 20/1/2000, riportato in sentenza, ove ci si riferisce all’intento di dettare una disciplina interlocutoria “nelle more che l’Assessorato regionale alla Sanità intervenga”.

1.5. Le tre disposizioni di legge invocate dalla ricorrente quali parametri normativi violati non corroborano gli assunti della ASP Trapani.

La L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 8, si limita, in linea del tutto generale, ad attribuire alle Regioni il compito di individuare preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni.

La L.R. Sicilia 26 marzo 2002, n. 2, art. 28, comma 6, è evidentemente inconferente ratione temporis rispetto ai fatti di causa, relativi all’anno 2000.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quinquies nella versione vigente pro tempore, risalente al D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, si limita, a sua volta, a prevedere accordi fra la Regione e le strutture pubbliche ed equiparate circa il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, e il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate.

Nessuna di queste norme consente così di suffragare la tesi propugnata dalla ASP Trapani secondo cui, in difetto di nuovo decreto assessoriale per l’anno 2000, il tetto massimo delle prestazioni dovesse essere automaticamente calibrato su quello fissato per il 1999, perlomeno in difetto dell’esame, non consentito a questa Corte ut supra, del contenuto del decreto assessoriale del 1999.

1.6. Con l’ultima parte della censura la ricorrente sostiene che la legittimità della contrattazione tra Aziende UU.SS.LL. e strutture erogatrici di prestazioni sanitarie, nel caso concreto tradottasi nel verbale del 20/1/2000, era espressamente prevista dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies.

La questione, inerente valore e portata del verbale del 20/1/2000, è oggetto del secondo motivo di ricorso, su cui amplius infra.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1353 c.c. nonchè ex art. 360 c.p.c., n. 5 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

2.1. Secondo la ricorrente, la Corte palermitana aveva omesso di valutare il fatto storico dell’accordo negoziale trasfuso nel verbale sottoscritto da AUSL e Organizzazioni sindacali di categoria il 20/1/2000, avente forza di legge tra le parti, che prevedeva la perdurante applicabilità dei criteri dettati dal provvedimento assessoriale 29149/99 in difetto di emanazioni di nuovo decreto assessoriale per l’anno 2000, condizione risolutiva in concreto non intervenuta.

2.2. La ricorrente formula la censura motivazionale con riferimento al testo abrogato dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

2.3. In ogni caso l’omesso esame di fatto decisivo non sussiste perchè la Corte palermitana ha preso in specifica considerazione la circostanza dell’incontro del 20/1/2000 tra azienda sanitaria e sindacati, ma non ha ravvisato in esso alcun accordo bilaterale e si è riferita (pag. 2, ultimo capoverso) a una “determinazione” (legittima e necessariamente provvisoria), evidentemente unilaterale, dell’Azienda sanitaria, comunicata (“secondo quanto peraltro già anticipato….”) nell’incontro del 20/1/2000.

2.4. Anche in questo caso, poi, il motivo pecca di autosufficienza e specificità per la mancata indicazione specifica del testo del presunto accordo sindacale, idonea a mettere in grado questa Corte di valutare se si fosse a fronte di un vero e proprio accordo negoziale, caratterizzato dalla allegata condizione risolutiva.

Per giunta, la Corte di appello ha escluso che l’Azienda Sanitaria avesse il potere di fissare il tetto di spesa, vertendosi in tema di provvedimento di stretta competenza regionale.

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2020

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