Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7468 del 23/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 23/03/2017, (ud. 01/12/2016, dep.23/03/2017),  n. 7468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8765-2014 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso l’avvocato LUIGI MANZI, rappresentata e

difesa da se medesima;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE LA BIENNALE DI VENEZIA, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 93,

presso l’avvocato MARIO FUSANI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CRISTINA GANDOLFI, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 641/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato C.I. che ha

chiesto preliminarmente il rinvio della presente causa a nuovo ruolo

e ad altro Collegio, ravvisando l’incompatibilità del Cons.

Lamorgese, presente anche nel Collegio della precedente udienza; in

subordine chiede l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MARIO FUSANI che ha

chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto dell’istanza

preliminare del ricorrente;

improcedibilità del ricorso; in subordine inammissibilità; in

ulteriore subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Avv. C.I. ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia la fondazione “La Biennale di Venezia”, per sentirla condannare al risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza della partecipazione al Festival della Danza 2007 del balletto “(OMISSIS)”, ritenuto gravemente offensivo del comune sentire medio del cittadino cattolico, oltre che lesivo del diritto di libertà religiosa garantito dall’art. 19 Cost. e del suo personale sentimento religioso.

Il Tribunale adito, nel contraddittorio con la Fondazione, ha rigettato la domanda e la decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza depositata il 13.3.2014, che, per quanto d’interesse, ha ritenuto che: a) la Carta Costituzionale, pur tutelando la libertà religiosa ed i diritti della personalità, afferma la laicità dello Stato, sicchè il singolo cittadino non ha il diritto di pretendere, invocando la propria sensibilità religiosa, la proibizione di manifestazioni di pensiero, solo perchè contrarie ai principi della religione cristiana; b) la circostanza che l’appellante non aveva partecipato allo spettacolo escludeva che egli potesse aver patito sentimenti di sgomento, indignazione o sofferenza a causa delle modalità espressive del balletto, con conseguente impossibilità di accertare e quantificare il danno, che, anche in ipotesi di danno non patrimoniale, deve essere concretamente sopportato e provato; c) l’appellata è stata trasformata in fondazione di diritto comune, sicchè la stessa non può ritenersi emanazione dello Stato, con conseguente infondatezza della domanda formulata nei confronti di un soggetto privato.

Per la cassazione della sentenza, che ha regolato le spese base al criterio legale della soccombenza, l’Avv. C. ha proposto ricorso con due articolati motivi, ai quali la Fondazione ha resistito controricorso.

Depositate la relazione ex art. 380 bis c.p.c. e memorie da entrambe le parti, la Corte ha, poi, rinviato la causa alla pubblica udienza. Il ricorrente ha, infine, depositato memoria.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Va, preliminarmente, disattesa, non sussistendone i presupposti, l’istanza di riunione del presente giudizio avente ad oggetto un ordinario ricorso per cassazione, con altro chiamato all’odierna udienza, pendente tra le stesse parti e relativo alla revocazione di un’ordinanza di questa Corte, tenuto conto che l’identità delle questioni dedotte, su cui l’istanza si fonda, è meramente eventuale, potendo valere, solo, in ipotesi di favorevole giudizio rescindente nell’altro procedimento.

2. Col primo motivo (lett. A), si deduce la violazione degli artt. 2 e 19 Cost., in relazione alla statuizione sub a) di parte narrativa. Il ricorrente afferma che il principio di laicità va inteso come terzietà dello Stato di fronte a qualsiasi fede religiosa, che così come vieta di sostenerne una, vieta, pure, di screditarne un’altra, e precisa che il termine Stato dev’essere inteso come volto ad indicare una funzione oggettivamente pubblica, assimilabile a quella amministrativa, che dev’essere, perciò, esercitata nel rispetto delle regole fissate dagli artt. 97 e 98 Cost. A tale stregua, l’invito a partecipare al Festival della Danza 2007 – avanzato da Biennale al produttore del balletto, di contenuto blasfemo – deve ritenersi effettuato in violazione del dovere del funzionario pubblico di operare con imparzialità nei confronti di tutti i cittadini e di non offenderne alcuno. Il ricorrente lamenta, ancora, che la Corte d’Appello non ha compreso il fatto da lui dedotto a sostegno della domanda, avendo censurato non che lo “Stato – mano pubblica non abbia impedito” ma che piuttosto “abbia invitato quello spettacolo”; precisa che non aveva preteso di esercitare un potere di censura, e che la lesione è derivata “non dal merito dell’azione lesiva (offensività dello spettacolo)” ma dall’invito del funzionario che aveva agito in violazione del diritto “di chi crede; di chi non crede,” a vantaggio “di chi, non credendo, ama irridere chi crede”.

3. Sotto altro profilo (lett. B), il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 CEDU e art. 111 Cost. e del diritto al giusto processo “sia interno (art. 112 c.p.c.), sia europeo”: nonostante l’accertata violazione, è stata ritenuta preminente la tutela dell’esercizio della funzione pubblica, mentre è stato ritenuto “cedevole” il suo diritto uti civis, in violazione del principio di corrispondenza che deve esistere tra la domanda avanzata, quale da lui specificata, e la statuizione emessa.

4. Con ulteriore sub-censura (lett. C), si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c.. Il ricorrente afferma che la lesione che egli ha chiesto di ristorare “è solo l’oltraggio civico sofferto… per il malo esercizio della funzione pubblica”, e cioè la lesione del suo diritto alla laicità della “mano pubblica”, e non anche il danno derivatogli dalla rappresentazione in sè.

5. La regolamentazione delle spese, lamenta, ancora, il ricorrente (lett. D), avrebbe dovuto esser ispirata al principio di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, e non in base a quello della soccombenza.

6. Col secondo motivo, si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame relativo alla “natura giuridica della funzione esercitata nell’incombente de quo da Biennale”. In particolare, la circostanza che la stessa sia un soggetto privato è irrilevante, dovendo piuttosto considerarsi un organismo di diritto pubblico D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 3, comma 26, e del resto sulla natura dell’attività si era formato il giudicato interno “avendo sia il tribunale che la Corte territoriale statuito sulla domanda sul pacifico presupposto che si trattasse di funzione pubblica”. Il ricorrente lamenta, inoltre, la lesione del diritto al giusto processo, conseguente all’assoluta preterizione di qualsivoglia accenno al fatto che: 1) lo spettacolo si era svolto su specifico invito del Direttore, circostanza in sè idonea a fondare gli elementi costitutivi dell’illecito, in relazione al quale era stato chiesto il risarcimento; 2) il CdA di Biennale si era riunito prima della manifestazione ed aveva deciso di mantenere il balletto in programma, nonostante le vivaci contestazioni, dichiarando che “dalla sua rappresentazione esula(va) ogni intento offensivo di chicchessia”, restando così provata – per effetto della natura confessoria di tale dichiarazione, a torto non considerata – la consapevolezza di Biennale del carattere offensivo del balletto.

7 Disattesa l’eccezione d’inammissibilità dei motivi, adeguatamente specifici, le censure, che, per comodità espositive, vanno congiuntamente esaminate, sono infondate.

8. Il principio di laicità dello Stato, secondo l’accezione che ne ha dato la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 63 del 2016; n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989), comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose, e, dunque il dovere di garantire, rimanendo neutrale ed imparziale, l’esercizio delle diverse religioni, culti e credenze e di assicurare la tolleranza anche nelle relazioni tra credenti e non credenti (art. 19 Cost. e art. 9 della CEDU; cfr. sent del 18 marzo 2011 – ricorso n. 30814/06 – Lautsi e altri c. Italia, e giurisprudenza richiamata). Il limite del diritto dei singoli e del dovere di neutralità ed imparzialità della parte pubblica va ravvisato nel buon costume, oltre che in fatti di rilevanza penale e di ordine pubblico.

9. Di essi il ricorrente non parla, ascrivendo a Biennale di aver leso il suo sentimento religioso, e così infranto il menzionato principio di laicità, mediante un facere – invito alla rappresentazione del balletto portatore di valori contrari alle fede cattolica – e non mediante un’omissione – non averne impedito la rappresentazione (ritenuta lecita) – ed invocando l’obbligo di comportarsi secondo onore cui devono attenersi, ex art. 54 Cost., i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche.

10. L’assunto non coglie nel segno, in nessuno di profili dedotti. Sotto il primo, va rimarcato che l’invito a partecipare alla Rassegna costituisce una parte dell’attività organizzativa degli eventi culturali di competenza della Fondazione, ed è frutto della valutazione del contenuto artistico che i dirigenti e gli organizzatori possono compiere in piena libertà, in modo esattamente sovrapponibile a quella assicurata alle “idee” ed alle “forme espressive” di manifestazioni e spettacoli – e di questa non dubita il ricorrente – che loro stessi promuovono ed organizzano. Tale libertà trova fondamento primario negli artt. 9 e 33 Cost.: il primo include tra i principi fondamentali della Repubblica la promozione dello sviluppo della cultura ed il secondo riconosce, tra l’altro, la libertà dell’arte e della scienza, dovendo, perciò ritenersi pienamente consentite le manifestazioni artistiche e scientifiche, che possono svolgersi senza dover subire condizionamenti o indirizzi di sorta (Corte Cost. n. 57 del 1976); in concreto, poi, l’anzidetta libertà è codificata dalla disposizione di cui al menzionato D.Lgs. n. 19 del 1998, art. 16, comma 4, che esenta, appunto, dal visto di censura (salvo che per la partecipazione alle proiezioni dei minori di diciotto anni) le opere presentate nelle proiezioni cinematografiche (ma il principio vale all’evidenza per ogni altra manifestazione artistica), pubbliche e private, effettuate nell’ambito della Biennale.

11. Peraltro, ad onta degli sforzi dialettici profusi, la differenza concettuale tra comportamento positivo e negativo sottolineata dal ricorrente – che così nega di aver voluto censurare alcunchè – al dunque svanisce, tenuto conto che egli stesso finisce con l’attribuire potenzialità lesiva al fatto che l’invito sia stato accettato e l’opera posta in cartellone, laddove, nel riferire della riunione del CdA in cui fu deciso il mantenimento in programma del balletto, afferma che in tal modo “l’offesa al sentimento religioso non è più solo degli autori dei due spettacoli, bensì e direttamente anche di Biennale” (pag. 34, in fondo, memoria unica precamerale).

12. Neppure l’asserita “funzione oggettivamente pubblica”, in tesi svolta dalla Fondazione, può essere condivisa. Se occorre convenire col ricorrente quando afferma che la forma privata assunta dalla controricorrente, a seguito del D.Lgs. n. 19 del 1998, non è in sè indicativa della reale natura della stessa, la definizione in termini generali della natura giuridica della Fondazione non è qui necessaria, tenuto conto che, in questa sede, occorre solo valutare se l’invito a partecipare alla rassegna di danza del balletto asseritamente blasfemo abbia o meno natura oggettivamente amministrativa, indagine alla quale è all’evidenza estraneo l’accertamento circa l’inclusione di Biennale tra gli organismi di diritto pubblico di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26, (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).

13. Al quesito va data risposta negativa: l’invito, alla stregua di quanto si è esposto al precedente p. 10, non costituisce affatto un atto amministrativo, ma va qualificato un mero atto interno volto a favorire la maggiore rappresentatività dell’evento culturale in programma ed il suo maggior successo, nè sulla postulata natura amministrativa si è formato alcun giudicato interno, in quanto, al contrario di quanto afferma il ricorrente, tale natura è stata esplicitamente esclusa dalla Corte d’Appello.

14. Del resto, anche a voler ritenere, secondo quanto pure evidenziato in seno alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che, in conseguenza dell’interesse nazionale riconosciuto alla sua attività, la Fondazione sia soggetta al pari dello Stato al dovere di osservanza del principio d’imparzialità (gli altri criteri che improntano l’azione della pA non vengono in alcun modo posti in discussione dal ricorrente), va rilevato che tale dovere comporterebbe un obbligo di non discriminazione e non anche un potere di censura, che, ove si accedesse alla tesi del ricorrente, finirebbe con l’essere esercitato ex ante con l’inibizione di ogni “invito” allo svolgimento di rappresentazioni sospettate di offendere il sentimento religioso di qualcuno.

15. Va, in conclusione, escluso che l’organizzazione di uno spettacolo artistico possa, di per sè sola, costituire violazione del personale sentimento religioso di un singolo cittadino ed esser sanzionata dall’ordinamento col riconoscimento di un credito risarcitorio, non solo perchè è, all’evidenza, insussistente un collegamento oggettivo e diretto tra la prima ed il secondo, ma anche perchè non è ravvisabile il requisito – costitutivo della responsabilità aquiliana – del danno ingiusto, e cioè inferto in assenza di una causa giustificativa, essendo la programmazione di una manifestazione artistica (a cominciare dall’invito a partecipare inoltrato agli artisti) espressione, appunto, di una libertà garantita dalla Carta costituzionale.

16. Per completezza, va osservato che: a) la sentenza impugnata non si discosta dall’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato” (sent. Sez. un. n. 26972 del 2008; v. inoltre, Cass. nn. 7211 del 2009 e 2226 del 2012; 21865 del 2013); b) il diritto al giusto processo non implica di certo che la causa fatta valere in giudizio dal singolo debba essere, infine, accolta.

17. Ogni altra questione resta assorbita, in base al principio processuale della “ragione più liquida”, principio, a torto censurato dal ricorrente, che trae fondamento dalle disposizioni di cui agli artt. 24 e 111 Cost., interpretati nel senso che la tutela giurisdizionale deve risultare effettiva e celere per le parti in giudizio, sicchè il rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo rende vano l’esame delle altre (Cass. n. 7663 del 2012; n. 17219/2012; n. 14190 del 2016).

18. Infondata è, infine, la censura relativa al regolamento delle spese di lite: il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, o, come nella specie, di non avvalersi di tale facoltà.

19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 200,00, per spese vive, oltre accessori. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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