Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7466 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. II, 31/03/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 31/03/2011), n.7466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.F. (OMISSIS) rappresentato e difeso in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv.to Veneri

Massimo del foro di Verona e dall’Avv.to Panariti Benito del foro di

Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in

Roma, via Celimontana, n. 38;

– ricorrente –

contro

PARROCCHIA ESALTAZIONE S. CROCE (OMISSIS) in persona del parroco

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.to Righetti Elena del

foro di Verona e dall’Avv.to Manzi Luigi del foro di Roma, in virtù

di procura speciale apposta a margine del controricorso ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, via

F. Confalonieri, n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 274/2005

depositata il 14 febbraio 2005, notificata da parte attrice –

appellata in data 13.4.2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19

gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti PANARITI Benito, di parte ricorrente, ed E.

Coglitore (con delega Avv.to Luigi Manzi), di parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 5 ottobre 1995 la Parrocchia dell’Esaltazione della Santa Croce evocava, dinanzi al Pretore di Verona, S.F. e premesso di essere proprietaria, dal 19.2.1992, del terreno sito nel Comune di (OMISSIS), fondo di cui aveva il possesso fin dal 1970, esponeva che su una fascia di detto bene, lunga m. 27 e larga m. 6, il convenuto dalla fine degli anni 70 soleva parcheggiare due automezzi di sua proprietà, essendogli stato concesso, su sua richiesta, l’utilizzo di detta area dalla stessa ricorrente, in cambio di servizi resi alla chiesa. Aggiungeva che nel 1987 il convenuto aveva realizzato sul fondo in questione un piccolo ricovero per attrezzi e alle proteste del parroco, padre T., con richiesta di rilascio dell’area, lo S. formulava istanza di poter proseguire nell’utilizzo del bene, essendo peraltro imminente il suo pensionamento. Successivamente la Parrocchia aveva recintato l’area occupata dal resistente e, sempre su sua richiesta, gli aveva consegnato le chiavi del cancello, fino a quando nel 1995 il parroco ne aveva chiesto la restituzione, cui lo S. opponeva un rifiuto. Ciò posto, la Parrocchia ricorrente chiedeva che, accertato il suo diritto alla restituzione del bene, venisse dichiarato cessato il rapporto di comodato intercorso tra le parti e conseguentemente condannato il convenuto a rilasciare l’immobile, libero e sgombero da persone e cose, oltre a rimuovere a sue spese il piccolo fabbricato eretto.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che preliminarmente eccepiva l’incompetenza del giudice adito ex art. 8 c.p.c., comma 2, n. 3), non essendo mai stato concluso fra le parti alcun contratto di comodato (con conseguente nullità del ricorso per violazione dell’art. 414 c.p.c.), ed in via riconvenzionale chiedeva dichiararsi l’acquisto del terreno per intervenuta usucapione, ai sensi dell’art. 1158 c.c. il Tribunale adito (già Pretore), previo mutamento del rito in ordinario per ragioni di connessione ex art. 40 c.p.c., stante il tenore della riconvenzionale, all’esito dell’istruzione della causa, condannava il convenuto al rilascio immediato dell’area recintata occupata senza titolo dallo stesso con i propri autocarri, oltre alla rimozione del piccolo fabbricato eretto e alle spese di lite.

In virtù di rituale appello interposto dal S., con il quale lamentava l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure per avere deciso extra ed ultrapetita partium accogliendo la domanda alternativa di occupazione sine titulo, inammissibilmente formulata dalla Parrocchia solo in sede di precisazione delle conclusioni, oltre ad avere rigettato la sua domanda riconvenzionale nonostante l’orientamento della Suprema Corte secondo cui l’erezione di un manufatto avrebbe dovuto ritenersi indicativa dell’animus rem sibi habendi, la Corte di Appello di Venezia, nella resistenza dell’appellata, rigettava l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che nelle conclusioni precisate dall’appellata avanti al giudice di prime cure non era ravvisabile una domanda nuova, bensì una semplice emendatio libelli, pienamente ammissibile, non essendo stata introdotta una pretesa oggettivamente diversa da quella originaria, relativa al rilascio del bene per cessazione del rapporto di comodato. Nè era ravvisabile novità nella specificazione del titolo dell’occupazione, realizzandosi l’occupazione sine titulo sempre alla scadenza del contratto di comodato, senza provocare alcun ampliamento della materia del contendere.

Aggiungeva, inoltre, quanto alla domanda riconvenzionale, che il manufatto era stato costruito dall’appellante nel 1993, circostanza non contestata dallo stesso, per cui essendo stato introdotto il giudizio nel 1995, mancava la prova di un possesso dell’area animo domini per almeno un ventennio, non solo relativamente alla domanda di usucapione del diritto di proprietà della fascia di terreno, ma anche di quella di usucapione del diritto di usare l’area medesima come parcheggio.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione lo S., che risulta articolato su quattro motivi, al quale ha resistito la Parrocchia dell’Esaltazione della Santa Croce con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente parte ricorrente ha eccepito la inammissibilità della costituzione di parte intimata perchè notificato il controricorso al domiciliatario del ricorrente. L’eccezione è infondata in quanto dal tenore della procura speciale rilasciata a margine del ricorso si evince che il mandato alle liti è stato conferito “congiuntamente e disgiuntamente” all’Avv.to Benito Panariti, oltre che all’Avv.to Massimo Veneri, per cui il primo non è un mero domiciliatario, ma difensore a tutti gli effetti.

Inoltre, nella memoria ex art. 378 c.p.c., lo stesso ricorrente deduce che controparte non ha dimostrato il suo diritto di proprietà sul fondo.

L’eccezione, dedotta per la prima volta con questo atto, è totalmente inammissibile in quanto come prospettata non attiene alla legitimatio ad causam (espressione del principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può fare valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge), ma ad una questione di merito, risolvendosi in una contestazione dell’effettiva titolarità sostanziale del diritto fatto valere in giudizio, posto che la Parrocchia si afferma expressis verbis titolare dei diritto di proprietà per acquisto fatto per successione dalla Fondazione Ecclesiastica Ente Famiglia Corsi e la tesi svolta dal ricorrente si traduce, in buona sostanza, nella negazione della veridicità di tale assunto.

La prospettata questione non può, dunque, trovare ingresso nel giudizio di legittimità, giacchè i motivi del ricorso per cassazione dovendo investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto del giudizio di merito e che siano già comprese nel thema decidendum del giudizio di secondo grado quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti.

In altri termini, non è consentita, a parte le questioni rilevabili di ufficio, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta fase (e pluribus, Cass. 22 ottobre 2002 n. 14905; Cass. 16 settembre 2002 n. 13470; Cass. 21 giugno 2002 n. 9097).

Passando ad esaminare il primo motivo introdotto con il ricorso, si rileva che lo S. denuncia la violazione degli artt. 183, 184 e 189 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di merito ritenuto sussistere l’ipotesi della semplice emendatio libelli, consentita dall’art. 189 c.p.c., con l’accoglimento da parte del giudice di prime cure non già della domanda principale proposta da parte attrice (declaratoria di cessazione di contratto di comodato), bensì di quella di “riconsegna dei bene immobile perchè occupato sine titulo”, avanzata solo in occasione della udienza di precisazione delle conclusioni. Al riguardo occorre preliminarmente osservare, quanto alla competenza, che il principio fissato dall’art. 5 c.p.c., come novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 2 secondo il quale rispetto alla determinazione della giurisdizione e della competenza non hanno rilievo i mutamenti, non solo dello stato di fatto, ma anche della legge, successivi al momento della proposizione della domanda, trova deroga nella disposizione transitoria di cui alla L. 21 novembre 1991, n. 374, art. 2 il quale – ponendo una regola poi successivamente ribadita dalle ulteriori leggi in materia e giustificata dalla esigenza di evitare inutili pronunzie di incompetenza da parte del giudice che fosse divenuta successivamente competente – stabilisce che i giudizi dinanzi al Pretore siano decisi da quest’ultimo se rientranti nella sua competenza, come modificata dall’art. 18 della stessa legge, ancorchè tale giudice fosse incompetente a deciderli secondo la legge anteriore. Ne consegue che qualora anteriormente all’entrata in vigore del menzionato L. n. 374 del 1991, art. 43 il Pretore sia investito di una domanda di rilascio di immobile, occupato senza titolo, di valore superiore a lire cinquemilioni, egli non può dichiarare la propria incompetenza, rimettendo le parti innanzi al Tribunale, ma deve trattenere a causa presso di sè, in applicazione della menzionata disposizione transitoria (v. Cass. 29 novembre 1996 n. 10648). Pertanto correttamente il Tribunale di Verona, in funzione di giudice unico, ha ritenuto radicata la propria competenza, nonostante l’eccezione di incompetenza per valore originariamente formulata dal ricorrente e qui in qualche misura adombrata.

Ciò precisato, quanto al dedotto mutamento di domanda, occorre rilevare che pure in sede di precisazione delle conclusioni, avanti al giudice di prime cure, la Parrocchia aveva ribadito la richiesta di riconsegna della fascia di terreno in contesa, chiedendone la restituzione con abbattimento delle opere ivi realizzate dalla controparte, sì da reintegrarla nella disponibilità di quella fascia di terreno.

Semmai, ove ve ne fosse stato bisogno, si sarebbe trattato solamente di una specificazione, se non proprio di una “emendatio libelli”, ma mai di una “mutatio”, certamente non consentita, atteso che restavano immutati sia il petitum sia la causa pretendi. Infatti, come è noto, si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio oppure una “causa pretendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, in modo che si ponga un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo. Si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa pretendi”, sicchè risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (v. anche Cass. 18 agosto 2003 n. 12133; Cass. 11 marzo 2004 n. 5006; Cass. 12 aprile 2005 n. 7524). Su tale punto, perciò, la sentenza impugnata risulta giuridicamente corretta ed il relativo motivo va disatteso.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per avere la Corte di merito disatteso la sua richiesta di intervenuta usucapione del bene oggetto della controversia. In particolare, il giudice del gravame si sarebbe limitato sul punto a ripetere le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, senza provvedere a motivare autonomamente. Al pari delle precedenti censure è infondata.

Va osservato che la motivazione della sentenza di secondo grado per relationem concreta carenza di motivazione qualora consista in un mero rinvio alla precedente decisione, risolventesi in una acritica approvazione della predetta. Essa è invece legittima quando il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si limiti a farli propri, ma confuti, sia pure con la concisione peraltro stabilita dall’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2, le censure contro di queste formulate con il gravame, attraverso un iter argomentativo ricavabile dall’integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito (Cass. del 23 luglio 2003, n. 11422).

Ciò è avvenuto nella fattispecie, poichè la sentenza impugnata si è fatta carico delle censure mosse alla sentenza di primo grado e le ha ritenute infondate, sia pure riadottando le stesse argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado, ritenute esatte.

Invero, la Corte di merito ha argomentato il rigetto della domanda riconvenzione per non essere stata fornita alcuna prova circa la sussistenza dei requisiti di un possesso – che avrebbe dovuto consistere in una signoria di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà – ed il protrarsi dello stesso per un tempo utile per l’usucapione. Correttamente sono state ritenute impeditive due circostanze per l’usucapione: il fatto che lo stesso S. si fosse limitato a parcheggiare semplicemente il proprio autocarro su un’area sterrata a margine della rete del campo sportivo parrocchiale, priva di recinzione, potenzialmente aperta al libero accesso di chiunque, comportamento da cui non poteva evincersi un possesso animo domini (v. pag. 6 della decisione), nonchè l’ulteriore fatto che il manufatto risultava costruito solo nell’anno 1993, introdotta l’azione nel 1995, per cui non sussisteva il ventennio di cui all’art. 1158 c.c. (v. pag. 7).

Con il terzo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e degli artt. 922 e 1158 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, non solo per non avere la corte distrettuale fornito alcuna giustificazione circa le affermazione sulla mancata usucapione del diritto di proprietà della striscia di terreno, ma anche per non avere valutato gli elementi di prova al fine dell’accertamento dell’usucapione del diritto di parcheggio, come la presenza del manufatto.

Il motivo è in parte assorbito per quanto prima esposto; in ordine all’asserita usucapione del diritto di parcheggio, occorre osservare che esso costituisce una modalità di esercizio di un diritto reale ovvero esplicazione di un rapporto obbligatorio.

Ciò posto, è di tutta evidenza che il ricorrente avrebbe potuto destinare il bene a detto uso – in assoluta autonomia – solo per acquisto della proprietà dello stesso, nella specie prospettato nella forma del titolo originario per usucapione, ovvero in base ad un diritto personale di godimento, titolo di cui non ha dato dimostrazione nè allegazione.

Per il resto si tratta di censura che attiene alla valutazione delle risultanze probatorie, che come è noto è riservata all’apprezzamento del giudice di merito ed è censurabile soltanto per vizi di motivazione, qualora cioè sia riscontrabile una motivazione contraria a logica ed incongrua, non potendo detti vizi consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass., Sez. 1^, 16 luglio 2005, n. 15096; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996; Cass., Sez. 2^, 30 marzo 2000, n. 3904).

Dunque anche detto motivo è privo di pregio.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per non avere la corte di merito provveduto in ordine alla sua richiesta – formulata in sede di precisazione delle conclusioni “dell’atto di appello” – di prosecuzione della prova testimoniale come ammessa dal giudice di prime cure.

Costituisce principio generale che il giudice del merito non è tenuto ad ammettere le prove ove ritenga, con apprezzamento incensurabile in Cassazione, che gli elementi acquisiti al processo siano sufficienti per la decisioni.

Anche la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito e come tale incensurabile in cassazione, che può essere esercitato anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza. Pertanto la decisione del giudice di merito appare in tutto conforme a detti principi ed il motivo va, di conseguenza, ritenuto inammissibile.

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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