Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7463 del 19/03/2020

Cassazione civile sez. I, 19/03/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 19/03/2020), n.7463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 516/2015 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria

dell’associazione temporanea di imprese costituita tra (OMISSIS)

s.r.l. e Cogen s.r.l.; Cogen s.r.l. in concordato preventivo, in

persona del legale rappresentante pro tempore; Ofic Immobiliare

s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutte

elettivamente domiciliate in Roma Viale G. Mazzini 142 presso lo

studio dell’avvocato Claudio Misiani e rappresentate e difese dagli

avvocati Antonino Spadaro e Marco Spadaro, in forza di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Libero Consorzio Comunale di Palermo, in persona del Commissario pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Zebio 25,

presso lo studio dell’avvocato Massimo Errante e rappresentato e

difeso dall’avvocato Enrico Cadelo, in forza di procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1388/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 19/2/2002 le imprese (OMISSIS) s.r.l. (di seguito, semplicemente, (OMISSIS)) e Co.Gen. s.r.l. (di seguito Cogen), riunite in associazione temporanea di imprese (di cui era capogruppo la (OMISSIS)) convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo la Provincia Regionale di Palermo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per Lire 5.611.887.721 (pari ad Euro 2.898.298,13) derivanti dall’inadempimento del contratto di appalto tra di loro intercorso relativo ai lavori di costruzione del Palazzetto dello Sport di (OMISSIS).

Secondo le attrici, i lavori sarebbero andati a rilento a cause di originarie carenze progettuali imputabili all’Amministrazione; la diffida da esse rivolta all’Ente committente aveva ricevuto come risposta la rescissione del contratto, impugnata dinanzi al TAR, che aveva però declinato la giurisdizione in favore di quella ordinaria.

Si è costituita in giudizio la Provincia Regionale convenuta, chiedendo il rigetto delle domande attrici e proponendo a propria volta domanda riconvenzionale per ottenere la conferma della legittimità della disposta rescissione e, in subordine, la risoluzione del contratto per fatto e colpa delle società attrici e il risarcimento dei danni per Lire 9.763.140.872 (pari a Euro 5.042.241,46) conseguenti al grave inadempimento delle imprese appaltatrici (ingiustificati ritardi, costante inottemperanza agli ordini di servizio della direzione lavori, mancato pagamento delle maestranze, abbandono del cantiere).

Il Tribunale di Palermo, assunte prove testimoniali ed espletata consulenza tecnica, con sentenza del 24/3/2010 ha dichiarato che il contratto di appalto si era risolto in conseguenza dell’atto dell’Amministrazione del 19/9/2001; ha dichiarato improseguibile la domanda riconvenzionale avanzata dalla Provincia nei confronti del Fallimento (OMISSIS), nel frattempo intervenuto, e ha respinto la domanda avanzata dalla Provincia verso la Cogen; ha condannato la Provincia al pagamento sia in favore del Fallimento (OMISSIS), sia in favore della Cogen, della somma di Euro 285.038,75, oltre accessori.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la Provincia di Palermo, a cui hanno resistito le parti appellate Fallimento (OMISSIS) e Cogen, proponendo altresì appello incidentale.

La Corte di appello di Palermo con sentenza dell’8/9/2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la legittimità della rescissione del contratto di appalto disposta dalla Provincia di Palermo con determinazione dirigenziale del 19/9/2001; ha condannato la Provincia a corrispondere al Fallimento (OMISSIS) e alla Cogen la somma di Euro 2.230,01 oltre interessi; ha rigettato tutte le altre domande proposte dal Fallimento (OMISSIS) e dalla Cogen; ha confermato la dichiarazione di improcedibilità delle domande proposte dalla Provincia nei confronti del Fallimento (OMISSIS); ha condannato la Cogen a corrispondere alla Provincia la somma di Euro 2.286.198,00; ha posto le spese processuali della Provincia a carico della Cogen, mentre ha compensato le spese nei rapporti fra Provincia e Fallimento (OMISSIS).

3. Avverso la predetta sentenza dell’8/9/2014, notificata in data 24/10/2014, con atto notificato il 22/12/2014 hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in proprio e quale impresa e mandataria e capogruppo dell’associazione temporanea di imprese, la Cogen s.r.l. in concordato preventivo e la Ofic Immobiliare s.r.l. evocando in giudizio il Libero Consorzio Comunale di Palermo (già Provincia Regionale di Palermo); le ricorrenti hanno fatto presente che la procedura fallimentare (OMISSIS) era stata chiusa in seguito a concordato fallimentare proposto dalla Ofic Immobiliare, terzo assuntore, alla quale con decreto del 6/5/2008 erano state trasferite tutte le azioni di pertinenza della massa e hanno svolto otto motivi.

Con atto notificato il 30/1/2015 ha proposto controricorso il Libero Consorzio Comunale di Palermo, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Le ricorrenti hanno depositato memoria difensiva del 16/1/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c..

1.1. Le ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciare sulla loro domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di appalto, anteriormente alla rescissione disposta dall’Amministrazione in data 19/9/2001, ma comunicata il 24/9/2001, per effetto della loro diffida ad adempiere del 6/9/2001, ricevuta dall’Amministrazione il 10/9/2001.

1.2. E’ pur vero che le ricorrenti avevano chiesto con l’atto introduttivo di primo grado di dichiarare risolto di diritto il contratto di appalto ai sensi degli artt. 1453 e 1454 c.c., per inadempimento esclusivo della Provincia Regionale di Palermo in conseguenza della diffida ad adempiere del 6/9/2001 ricevuta il 10/9/2001, recante il termine di giorni 15 per adempiere; è pur vero, altresì, che a fronte della decisione di primo grado, che aveva al proposito ravvisato la prevalenza della rescissione disposta dall’Amministrazione con il provvedimento del 19/9/2001, disposto prima del decorso del termine, le appellanti incidentali aveva formulato apposito motivo di gravame sostenendo che il contratto si era risolto di diritto prima della comunicazione della rescissione, avvenuta solo il 24/9/2001; è vero, infine, che la Corte di appello nulla ha detto esplicitamente al proposito.

1.3. Tuttavia, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016-01; Sez. 5, n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290-01; Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538-01); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, quando la decisione adottata comporta necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6-1, n. 15255 del 04/06/2019, Rv. 654304-01).

1.4. Nella fattispecie la complessiva argomentazione proposta dalla Corte territoriale che ha scrutinato e delibato comparativamente i comportamenti delle parti contrattuali (p.p. da 9 a 13 della sentenza impugnata) e ha ritenuto sia per la contraddittorietà della condotta complessiva dell’a.t.i., sia per la possibilità di proseguire comunque i lavori per importo rilevante, contraria al principio di buona fede la decisione dell’appaltatrice di sospendere l’esecuzione dei lavori e di interrompere il rapporto benchè l’Amministrazione non avesse ottenuto il nulla osta per la restante parte dei lavori (in particolare p. 13.5., di pag. 13).

Non sposta i termini del discorso il fatto che la Corte palermitana abbia valutato la condotta dell’a.t.i. in termini di eccezione di inadempimento e di sospensione dei lavori, e non già quale diffida ad adempiere in senso tecnico ex art. 1454 c.c., quale fattispecie generatrice della risoluzione automatica del contratto: cionondimeno, escludendo la correttezza del comportamento dell’appaltatrice e reputando ingiustificata la sospensione dei lavori, pur a fronte delle mancanze ascrivibili all’Amministrazione, la Corte di appello ha implicitamente, eppur inequivocabilmente, escluso il fondamento della diffida inoltrata dall’a.t.i..

Infatti l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento (Sez. 2, n. 18696 del 04/09/2014, Rv. 632107-01); anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 c.c. (Sez. 3, n. 21237 del 29/11/2012, Rv. 624166-01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1375,1453,1454 e 1460 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

2.1. Le ricorrenti in particolare si dolgono del fatto che la Corte di appello abbia reputato legittima la rescissione disposta dalla Provincia, ritenendo inadempienti le imprese appaltatrici, nonostante esse non avessero mai sospeso i lavori (avendo solo chiuso il cantiere per ferie), nè avessero mai interrotto il rapporto, ma solo diffidato controparte al corretto adempimento ai sensi degli artt. 1453 e 1454 c.c..

La Corte di appello avrebbe così confuso la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., che costituiva esercizio di un diritto, con una eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..

2.2. La Corte di appello, sub p. 9, pagg. 5-6, ha dato conto della nota 6/9/2001 dell’impresa, assumendo che essa aveva affermato di non poter intraprendere alcuna altra attività se l’amministrazione non avesse acquisito il nulla osta per il corpo principale A/C, non avesse redatto e approvato una perizia di variante e non avesse definito le riserve iscritte a registro, e aveva diffidato l’Amministrazione ad adempiere entro giorni 15, dovendo altrimenti ritenersi risolto il contratto. Secondo la Corte (sentenza, pag. 6) tale dichiarazione integrava il rifiuto di proseguire i lavori, la cui legittimità doveva essere valutata.

2.3. Il motivo è inammissibile.

Con la predetta censura le ricorrenti, sotto le spoglie della violazione di legge, chiedono inammissibilmente a questa Corte di sovvertire la valutazione di merito espressa alla Corte territoriale, sollecitandola a un inammissibile esame diretto di documenti (la nota del 6/9/2001) neppur trascritti integralmente, con ulteriore vizio di specificità e autosufficienza.

La censura è inficiata inoltre da palese contraddittorietà, visto che le ricorrenti assumono che la chiusura per ferie del cantiere scadeva il 3/9/2001 e riconoscono che con la nota del successivo 6/9/2001 avevano affermato che “nessuna ulteriore attività di cantiere” poteva essere “utilmente” intrapresa.

2.4. Non esiste poi, nè viene correttamente individuato, alcun fatto storico decisivo il cui esame sia stato omesso dai Giudici di appello.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. E, D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 5, nonchè agli artt. 1453,1454 e 2697 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

3.1. Ai fini della valutazione della legittimità della disposta rescissione contrattuale, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare comparativamente il comportamento delle parti contrattuali, che operano in regime di parità, soppesare i rispettivi inadempimenti considerando la reciproca influenza causale.

Nella specie la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la valenza del comportamento della Provincia e altrettanto erroneamente avrebbe ritenuto contrario a buona fede il comportamento dell’a.t.i. che, dopo aver a lungo collaborato fattivamente a sopperire alle gravi carenze progettuali, aveva diffidato ad adempiere l’Amministrazione.

3.2. I principi invocati dalle ricorrenti sono del tutto corretti.

In tema di appalto di opere pubbliche della L. n. 2248 del 1865, artt. 340,341 e 345, all. F, si limitano ad attribuire alla P.A. appaltante il potere di risolvere il contratto nei casi in cui, a suo discrezionale giudizio, ritenga che l’appaltatore sia inadempiente (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4454); il provvedimento di rescissione adottato dalla stazione appaltante, della L. n. 2248 del 1865, ex art. 340, all. F, non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., poichè il potere autoritativo di cui si rende espressione il provvedimento di rescissione adottato dalla P.A., non è idoneo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale aventi consistenza di diritti soggettivi (Sez. 1, 27/09/2018, n. 23323; Sez. 1, 27/10/2015, n. 21882; sez. 1, 29/10/2014, n. 22995).

Anche in tema di rescissione del contratto di appalto ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F, se è vero che l’accertamento – da parte del giudice del merito – dei presupposti stabiliti da tale norma per l’esercizio del diritto di autotutela della P.A. è autonomo, e non vincolato alla risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il suo diritto potestativo, è pur vero che lo stesso deve essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli artt. 1218 e 1453 c.c.. Tale disciplina, in particolare, non consente al giudice di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma impone al giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe, compiendo una indagine globale e unitaria, coinvolgente nell’insieme l’intero loro comportamento, anche se con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perchè la unitarietà del rapporto obbligatorio, a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma ne esige un apprezzamento complessivo (Sez. 1, 31/10/2014, n. 23274).

3.3. Le ricorrenti esaminano dapprima l’argomento del ritrovamento di ordigni bellici in area di cantiere, per osservare a tal proposito che la Provincia era da considerarsi inadempiente alle proprie obbligazioni, cosa che aveva determinato un ritardo di oltre un anno e mezzo nell’esecuzione dei lavori, ritenuto erroneamente una situazione di forza maggiore.

3.4. Il R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 5, applicabile ratione temporis, prevedeva la necessità di una preventiva “verificazione del progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo, alle cave, alle fornaci e a quant’altro occorre per l’esecuzione dell’opera, affinchè sia accertato che, all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero, quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto”.

Le ragioni di pubblico interesse o necessità che, ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, comma 2, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste nè prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinarla diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima. In particolare, nel caso che sopravvenga la necessità di approvare una perizia di variante, tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di negligenza o imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell’ente appaltante, il quale è tenuto, prima dell’indizione della gara, a controllarne la validità in tutti i suoi aspetti tecnici, e a impiegare la dovuta diligenza nell’eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell’opera sì come progettata (Sez. 1, 28/02/2019, n. 5969).

La giurisprudenza di questa Corte, con riferimento a un caso analogo, ha ripetutamente affermato ritrovamento nel sottosuolo di reperti archeologici (c.d. “sorpresa archeologica”) costituisce causa di forza maggiore, ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, comma 1, che impedisce la prosecuzione dei lavori in adempimento dei doveri imposti dalla legge e senza discrezionalità alcuna da parte del committente (Sez. 1, n. 2316 del 05/02/2016, Rv. 638579-01; Sez. 1, n. 3670 del 17/02/2014, Rv. 629723-01; Sez. 1, n. 10133 del 14/05/2005, Rv. 582195-01).

La Corte di appello ha ritenuto che il ritrovamento degli ordigni nel sottosuolo integrasse una causa di forza maggiore ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, legittimante la sospensione (parziale) dei lavori disposta dalla stazione appaltante, quale fatto non prevedibile impeditivo della prosecuzione dei lavori a regola d’arte.

A tanto si è indotta sul presupposto che le appellanti non avevano fornito elementi di sorta che rendessero nota, o ragionevolmente desumibile, prima del 4/11/1999 la presenza in loco di ordigni bellici, non potendosi certamente esigere dal committente la previa e indiscriminata bonifica di tutti i siti.

In tal modo la Corte di appello ha espresso una valutazione rientrante nei poteri discrezionali di apprezzamento del fatto propri del giudice di merito, incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata (Sez. 1, 10/07/2013, n. 17096; sez. 3, 13/05/2009, n. 11024; Sez. lav., 23/11/2004, n. 22065; sez. lav., 21/10/1992, n. 11488).

3.5. Le ricorrenti esaminano quindi il tema inerente all’avvenuto ritrovamento di elementi litoidei durante gli scavi e le trivellazioni, imputabili ad una errata progettazione esecutiva, pur riconosciuta dalla Corte di appello ed erroneamente non considerata ragione di inadempimento da parte della stazione appaltante.

Per altro verso, aggiungono le ricorrenti, non vi era stato inadempimento delle imprese nel munirsi di adeguate attrezzature (seconda trivella) tanto più che il problema era aggravato dal ritardo nella concessione delle autorizzazioni da parte del Genio Civile che rendeva ininfluente l’eventuale potenziamento delle attrezzature.

3..6. L’argomento è stato affrontato dalla Corte di appello nel p. 12, pagg. 9-10, richiamando le condivise valutazioni espresse dal Tribunale, secondo cui la presenza di elementi litoidi nel sottosuolo era stata prevista nella relazione geologica e geotecnica e probabilmente sottovalutata nella redazione del computo metrico estimativo in sede di progettazione esecutiva, ma controbilanciata dal provvedimento cui la Direzione Lavori aveva previsto una nuova voce compensativa dei maggiori oneri per lo scavo in roccia compatta.

Secondo la concorde valutazione dei Giudici del merito, i consistenti rallentamenti erano addebitabili all’impresa che si era sottratta al dovere di collaborare in buona fede, potenziando le risorse di cantiere con la seconda attrezzatura per lo scavo dei pali, come era stato richiesto con un accorgimento che non comportava oneri eccessivi.

Al riguardo, senza confutare l’affermazione della Corte palermitana secondo cui le affermazioni del Tribunale non erano state criticate in modo pertinente, le ricorrenti articolano una censura riversata nel merito, chiedendo a questa Corte di confrontarsi direttamente con le risultanze istruttorie per ritenere, diversamente da quanto sopra esposto, che nessun risultato utile sarebbe conseguito all’utilizzo dell’attrezzatura supplementare da parte loro.

3.7. Infine le ricorrenti osservano che erano stati acclarati in giudizio sia le gravissime carenze progettuali, sia il ritardo nel procedere a una nuova progettazione, sia il ritardo nella redazione ed approvazione delle perizie di variante necessarie a fronte delle consistenti modifiche e integrazioni disposte dalla Direzione lavori e dalle conseguenti esigenze di spesa; la stessa Amministrazione aveva riconosciuto la regolarità dell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa; contraria a buona fede era invece la condotta dell’Amministrazione rivolta a paralizzare strumentalmente la diffida ricevuta dalle imprese ricorrenti.

3.8. La censura, totalmente generica e riversata nel merito, non si confronta con le specifiche ragioni sulla base delle quali la Corte territoriale ha fondato la ritenuta illegittimità della sospensione dei lavori da parte dell’impresa e del rifiuto di riprenderli, esposti nei p. 13.2, 13.3. e 13.4. della sentenza impugnata.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1375,1453,1454 e 1460 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

4.1. La Corte di appello aveva ritenuto ingiustificata la sospensione dei lavori da parte dell’impresa e il rifiuto di riprenderli sia per il contrasto con il suo precedente comportamento biennale, sia per la possibilità di eseguire una parte dei lavori in misura assai rilevante.

4.2. La prima affermazione sarebbe in contrasto con i principi generali che ammettono sempre la parte adempiente a chiedere la risoluzione anche nel corso del giudizio volto a chiedere l’adempimento ex art. 1453 c.c., comma 2.

Tale disposizione, secondo la quale la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione, non è affatto pertinente.

In questo caso, l’appaltatrice non aveva promosso alcun giudizio nè per la risoluzione, nè per l’adempimento; la sua scelta stragiudiziale di consentire inizialmente l’adempimento tardivo alla committente inadempiente e poi di richiedere la risoluzione tramite diffida ad adempiere, non è stata censurata in quanto tale, sul presupposto cioè di una inesistente preclusione, ma sulla base di un apprezzamento prettamente di merito e legato alle specifiche particolarità della fattispecie concreta e pertanto, ancora una volta, insindacabile in questa sede, circa la non conformità al paramento della buona fede contrattuale.

4.3. Secondo le ricorrenti, la seconda affermazione della Corte di appello circa la possibilità di eseguire medio tempore consistenti lavorazioni non bloccate (sentenza impugnata, p. 13.4, pag. 13) denotava un esame disattento delle risultanze probatorie poichè la prosecuzione dei lavori era antieconomica visto che le imprese avevano già sostenuto, oltre al costo dei lavori eseguiti, oneri per maggiori spese, danni e mancate contabilizzazioni per circa il 70% del valore prodotto.

4.4. L’obiezione, ancora evidentemente implicante una valutazione nel merito, non appare neppur pertinente rispetto alla ratio della sentenza impugnata, poichènon si confronta con l’assunto della Corte secondo cui era oggettivamente possibile, nell’attesa dell’iter di approvazione della variante eseguire opere rientranti nel contratto e non tener bloccata la macchina produttiva.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano incompetenza e violazione della L. 20 marzo 1865, art. 340, all. F, R.D. n. 350 del 1895, art. 27 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 119.

5.1. Il provvedimento di rescissione era affetto da incompetenza assoluta perchè emanato dal Dirigente della direzione progettazione e manutenzione edilizia turistico sportiva e per attività economiche della Provincia Regionale di Palermo e cioè da un soggetto diverso da quello competente per legge (Presidente e/o Giunta e/o Assessore provinciale), poichè il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, non prevede alcun potere al dirigente di assumere decisioni in materia contrattuale.

5.2. Il motivo è infondato,

Il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in tema di funzioni e responsabilità della dirigenza, al comma 2, attribuisce ai dirigenti “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 108”; fra l’altro sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente: a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso; b) la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso; c) la stipulazione dei contratti; d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa; e) gli atti di amministrazione e gestione del personale; f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie; g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonchè i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale; h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza; i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.

La competenza dirigenziale in tema di responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso di stipulazione dei contratti, come esattamente osservato dalla Corte di appello, esclude evidentemente il vizio di incompetenza denunciato dalle ricorrenti.

6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7 e 8 e della L.R. n. 10 del 1991, artt. 8 e segg..

6.1. La Corte di appello non aveva esaminato la questione sottopostale dalle ricorrenti circa l’omessa comunicazione all’a.t.i. dell’avvio del procedimento amministrativo per la risoluzione del contratto di appalto nonchè di tutte le pertinenti informazioni necessarie per l’espletamento corretto del diritto di difesa nell’ambito del procedimento amministrativo.

6.2. Il motivo è inammissibile.

Le ricorrenti assumono che la questione da loro proposta era rimasta assorbita dalla decisione del Tribunale di Palermo ed era stata da loro riproposta con l’atto di appello incidentale.

Esse, così argomentando, non danno conto, neppur sinteticamente, dei termini con cui esse avevano proposto la questione in primo grado; non spiegano, poi, come e perchè l’esame della questione sarebbe rimasto assorbito nell’economia della decisione di primo grado (che aveva ritenuto invece efficace la sospensione disposta il 19/9/2001), sì da rendere sufficiente la mera riproposizione dell’eccezione ex art. 346 c.p.c., senza proposizione di gravame incidentale suffragato da specifico motivo ex art. 342 c.p.c.; non indicano, infine, in che termini e con quali argomentazioni avrebbero riproposto la questione in appello.

Per altro verso, la censura appare inammissibile anche perchè non si confronta con la specifica motivazione addotta a pagina 15-16 (p. 14.3.) della sentenza impugnata con cui la Corte di Palermo afferma che non era stato violato lo specifico procedimento di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27, “che prevale sulle altre normative procedimentali generali richiamate dalle appellate”.

7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al R.D. n. 350 del 1895, art. 27 e al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 119.

7.1. L’Amministrazione aveva omesso di formulare e comunicare all’a.t.i. tramite l’ingegnere capo o il direttore dei lavori la precisa contestazione degli addebiti e di assegnarle un termine per la presentazione delle proprie difese e controdeduzioni.

7.2. La censura è palesemente infondata.

A pagina 16 la Corte di appello ha diffusamente spiegato come con l’ordine di servizio 11 dell’8/8/2001 l’Amministrazione aveva provveduto alle necessarie contestazioni, mettendo l’appaltatore in condizione di conoscere gli inadempimenti addebitati e di formulare le proprie deduzioni (il che aveva fatto con la nota del 6/9/2001), così soddisfacendo la prescrizione di cui al R.D. n. 350 del 1895, art. 27, che ammette forme equipollenti alla relazione particolareggiata.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1223,1227,1453 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

8.1. Il danno liquidato a favore della Provincia Regionale comprendeva costi che non erano conseguenza immediata e diretta del preteso inadempimento, poichè erano stati presi in considerazione i diversi e maggiori lavori previsti dalle successive, tre, perizie di variante, che comportavano rilevanti modifiche meliorative rispetto al progetto originario e interventi volti a sopperire alle carenze progettuali; nella liquidazione dei danni, inoltre, si doveva tener conto anche delle condotte colpose dell’Amministrazione committente.

8.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di appalto di opere pubbliche, in caso di rescissione, da parte dell’ente pubblico, del contratto, che ne determina ipso iure la risoluzione con effetto retroattivo, il danno risarcibile, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, comma 2, all. F, applicabile ratione temporis, consiste nella maggiore spesa sostenuta al fine di garantire la realizzazione dell’opera o la continuità del servizio, tramite l’esecuzione d’ufficio o la stipulazione di un nuovo contratto. (Sez. 1, n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631449-01); dalla rescissione del contratto di appalto di opera pubblica per inadempimento dell’appaltatore, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, non consegue ex se un danno risarcibile per la P.A. appaltante, pari all’astratto incremento dei costi dell’opera, indipendentemente dal riappalto dei lavori; il danno previsto e disciplinato dalla norma in questione è esclusivamente quello che la P.A. committente subisce nello stipulare un nuovo contratto o nel provvedere mediante l’esecuzione di ufficio – danno che quindi non ricorre in mancanza di un nuovo contratto o dell’esecuzione d’ufficio – fermo restando il diritto dell’appaltante di ottenere il risarcimento del danno ulteriore e diverso secondo le norme comuni (Sez. 1, n. 21407 del 04/11/2005, Rv. 586073-01); il danno risarcibile, può consistere anche nella maggiore spesa determinata dalla sola incidenza sfavorevole del fenomeno inflattivo nel frattempo intervenuto, in quanto l’incremento del corrispettivo del secondo contratto, conseguente all’adeguamento ai prezzi di mercato, è destinato ad incidere negativamente sulle finanze pubbliche, mentre il tempestivo adempimento del primo contratto avrebbe consentito di elidere gli effetti depauperativi dell’inflazione. (Sez. 1, n. 18958 del 08/08/2013, Rv. 627612-01).

8.3. Nella fattispecie, nel p. 16.3, pagg. 18-19, della sentenza impugnata, la Corte di Palermo ha liquidato il danno, avuto riguardo ai “maggiori costi sostenuti per il completamento dell’opera” e sulla base delle condivise valutazioni del consulente tecnico, ritenute esaustive, richiamate puntualmente con riferimento specifico alle pagine 186 e 174-177 della relazione di consulenza e alla pagina 47 del relativo supplemento.

L’onere di specificità, pertinenza e autosufficienza del motivo avrebbe imposto alle ricorrenti di dar conto di tali osservazioni e valutazioni del Consulente tecnico d’ufficio, recepite dalla Corte territoriale e di confrontarsi criticamente quindi con esse.

Le ricorrenti si limitano a formulare una serie di considerazioni che, in quanto non specificamente riferite alle determinazioni peritali recepite dalla sentenza, non appaiono suscettibili di valutazione critica, prima di tutto sotto i profili di rilevanza e pertinenza.

8.4. La recriminazione circa la mancata applicazione dell’art. 1227 c.c., è formulata in modo del tutto generico, quanto alle specifiche condotte individuate quali presupposti, e ancora una volta svincolato dal contenuto della relazione tecnica richiamate per relationem in sentenza; anche in questo caso la censura non è suscettibile di valutazione critica quanto a rilevanza e pertinenza.

9. Il ricorso, proposto sulla base di motivi inammissibili o infondati, deve quindi essere complessivamente rigettato, le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 12.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2020

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