Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7463 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.L. e figli Snc, in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonché M.R. e M.S., rappresentati e

difesi, giusta procura speciale stesa a margine dei ricorsi, dagli

Avv.ti Giancarlo Zoppini, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe

Pizzonia, che hanno indicato recapito PEC, e tutti elettivamente

domiciliati presso lo studio del primo difensore, alla via della

Scrofa n. 57 in Roma;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

la sentenza n. 4580, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale della Lombardia l’8.7.2014, e pubblicata il 15.9.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate notificava il 22 febbraio 2013 alla M.L. e figli Snc, operante nel settore della produzione e commercio di legnami, nonché ai due soci: M.R. e M.S., l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), avente ad oggetto maggiore Irap nella misura di Euro 46.626,00, oltre accessori, con riferimento all’anno 2006, per effetto di un maggior reddito imponibile, ritenuto percepito e non dichiarato nella misura di Euro 1.097.100,00. Erano in conseguenza notificati ai soci gli avvisi di accertamento relativi ai redditi di partecipazione conseguiti, ai fini Irpef, n. (OMISSIS) ( M.R., socio al 50%), e n. (OMISSIS) ( M.S., socio al 50%) (ric., p. 6 s.).

L’Amministrazione finanziaria riteneva accertata una ipotesi di interposizione fittizia con finalità elusive, in relazione alla vendita di un immobile cui aveva proceduto la C&M Srl, partecipata al 25% dalla M. Snc. Tutti i soci della C&M, proprietaria di un immobile di rilevante valore, avevano stipulato il 19.12.2005 il preliminare di vendita di tutte le proprie quote sociali alla Renco Spa, che si era riservata di nominare l’acquirente. Il contratto di cessione delle partecipazioni era stato poi effettivamente stipulato il 30.1.2006 con le società Fortune Fiduciarie Srl e Mythos fiduciaria Srl. Successivamente a tale cessione la C&M Srl, ormai divenuta di proprietà delle società fiduciarie, cedeva l’immobile alla Renco Capital Srl (ric., p. 9 s.). L’Agenzia delle Entrate svolgeva indagini sulle società riconducibili al gruppo Mythos e riteneva che le fiduciarie si fossero interposte nell’operazione di cessione dell’immobile, consentendo di sottrarre alla tassazione l’operazione di vendita del bene, e pertanto l’Amministrazione finanziaria imputava pro quota, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, agli originari soci della C&M, tra cui l’odierna ricorrente M.L. e figli Snc, il reddito conseguito per effetto della cessione dell’immobile. Ai soci M.S. e M.R. erano notificati, ai fini Irpef, i ricordati avvisi di accertamento relativi al reddito di partecipazione.

2. Avverso gli atti impositivi ricevuti proponevano impugnazione sia la società che i soci, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como contestando, tra l’altro, la mancata istaurazione del contraddittorio preventivo, la tardività della notifica degli avvisi di accertamento dovendo ritenersi non ricorrente un’ipotesi in cui i termini potessero essere raddoppiati, ed il vizio di motivazione degli avvisi di accertamento, oltre che l’infondatezza nel merito della pretesa tributaria. La Ctp riuniva i ricorsi e li rigettava.

3. Società e soci spiegavano appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che rigettava le impugnazioni confermando la decisione di primo grado.

4. Hanno proposto separati ricorsi per cassazione la società ed i soci, affidandosi ad otto motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria. I ricorrenti hanno anche depositato separate memorie, con le quali confermano i propri argomenti, ed in particolare domandano, se del caso, di voler almeno rideterminare le sanzioni, tenuto conto della normativa sopravvenuta per effetto del D.Lgs. n. 158 del 2015, la quale ha comportato la riduzione della sanzione minima per l’infedele dichiarazione Irap dal 100% al 90%.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i contribuenti contestano la nullità della decisione adottata dalla CTR per aver erroneamente ritenuto inammissibile l’impugnazione della decisione di primo grado proposta dai contribuenti, in conseguenza del vizio di specificità dei motivi di gravame.

2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti censurano la violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, e art. 43, comma 3, per avere la CTR “rigettato la doglianza afferente alla nullità dell’avviso di accertamento in giudizio per difetto di motivazione in ordine alle ragioni che giustificherebbero l’applicazione del termine lungo” (ric., p. 31) di notifica degli accertamenti tributari.

3. Con il terzo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i contribuenti criticano la decisione assunta dalla CTR per essere i giudici dell’appello incorsi nella nullità della sentenza avendo “rigettato la doglianza afferente alla nullità dell’avviso di accertamento in quanto notificato tardivamente, dato che in relazione alla fattispecie contestata non sussiste l’obbligo di denuncia per uno dei reati fiscali di cui al D.Lgs. n. 74” (ric., p. 46), e comunque per aver ritenuto incontestate circostanze invece oggetto di specifiche censure, come l’avvenuta trasmissione della notizia di reato alla Procura della Repubblica da parte dell’Amministrazione finanziaria.

4. Mediante il quarto mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 25 Cost., comma 2, dell’art. 1 c.p., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, dell’art. 331 c.p.p., e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, perché il raddoppio dei termini di notifica dell’accertamento fiscale non deve trovare applicazione nel caso di specie, in cui non poteva sussistere alcun obbligo di denunzia, in quanto l’accertamento aveva ad oggetto “l’IRAP e, quindi, non una dichiarazione di imposta penalmente rilevante, e comunque ha dato luogo ad una maggiore imposta accertata inferiore rispetto alla soglia di punibilità” (ric., p. 52).

5. Con il quinto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti contestano la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, degli artt. 24 e 97 Cost., e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’istaurazione del contraddittorio con il contribuente non fosse un adempimento dovuto per l’Agenzia delle entrate, prima di notificare l’atto impositivo.

6. Mediante il sesto strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti criticano la nullità della sentenza adottata dalla CTR perché “viziata in quanto emessa in violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1” (ric., p. 71).

7. Con il loro settimo motivo di ricorso (numerato come 6.1., ric., p. 100), introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, gli impugnanti censurano la violazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, per avere la CTR trascurato come la disciplina della prova presuntiva richieda che gli indizi di responsabilità fiscale raccolti dall’Amministrazione finanziaria a carico dei contribuenti debbano essere gravi, precisi e concordanti, mentre nel caso di specie si registra un evidente difetto di concordanza.

8. Mediante l’ottavo mezzo di impugnazione (numerato come 7, ric., p. 105), proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti lamentano ancora la nullità della decisione adottata dai giudici dell’appello, per aver omesso di pronunciarsi in materia di corretta quantificazione della pretesa tributaria in quanto fondata su una pretesa applicazione del principio antielusivo.

9. Mediante il loro secondo motivo di impugnazione i ricorrenti contestano la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello, per avere rigettato la doglianza afferente la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione in ordine alle ragioni che giustificherebbero l’applicazione del termine lungo di notifica degli accertamenti tributari. In particolare i contribuenti osservano che se il raddoppio dei termini di accertamento dipende dalla ricorrenza dei presupposti fondanti un obbligo di denuncia penale per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, era specifico onere dell’Amministrazione finanziaria indicare sulla base di quali elementi ritenesse che tali presupposti risultassero dimostrati, sin dall’avviso di accertamento, ed era poi compito del giudice verificare se detti presupposti risultassero realmente sussistenti, non essendo sufficiente il mero riferimento alla presentazione di una denuncia penale. Osservano i ricorrenti che la Corte costituzionale, con sent. 25.11.2002, n. 247, ha precisato che il giudice tributario, se richiesto con i motivi di impugnazione, deve procedere a controllare la sussistenza dell’obbligo di denuncia. Inoltre, diversamente da quanto osservato dai giudici di secondo grado, non risulta affatto accertato che la denunzia penale sia stata presentata, come ripetutamente contestato dai contribuenti e mai dimostrato dall’Amministrazione finanziaria.

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la ritenuta nullità della decisione adottata dalla Ctr per aver ritenuto che sussistessero i presupposti per il raddoppio dei termini di notifica degli avvisi di accertamento sulla base della sola circostanza contestata e rimasta indimostrata, che la denuncia penale fosse stata presentata dall’Amministrazione finanziaria.

Mediante il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti contestano la violazione di legge in cui è incorsa la CTR per non aver rilevato la tardività della notifica degli accertamenti fiscali, perché nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria non poteva avvalersi del raddoppio dei termini di notifica, non sussistendo obbligo di denunzia, in quanto l’accertamento aveva ad oggetto l’Irap, ed in ogni caso l’atto impositivo ha calcolato una maggiore imposta accertata inferiore rispetto alla soglia di punibilità.

9.1. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso attengono tutti e tre alla ritenuta illegittimità del raddoppio dei termini per la notifica degli atti impositivi in conseguenza dell’accertamento di fatti aventi rilevanza penale che importano l’obbligo di denunzia, e possono pertanto essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione. Appare preferibile esaminare per primi questi strumenti di impugnazione, che appaiono suscettibili di comportare la definizione del giudizio (cfr. Cass. sez. V, 11.5.2018, n. 11458; Cass. sez. V, 9.1.2019, n. 363).

9.2. Occorre premettere che gli avvisi di accertamento per cui è causa attengono all’anno d’imposta 2006. Alla notificazione degli atti impositivi l’Agenzia delle entrate ha pacificamente provveduto nel 2013. In conseguenza, in applicazione dei termini ordinari di notifica degli avvisi di accertamento, poiché il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella formula applicabile ratione temporis, prevede che gli stessi devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, gli atti impositivi sono stati portati a conoscenza dei destinatari tardivamente, e risulterebbero pertanto tutti invalidi.

Tuttavia, lo stesso art. 43 dispone, al comma 3, che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini” di notificazione degli atti impositivi “sono raddoppiati”. L’Amministrazione finanziaria sostiene la tesi che nel caso in esame ricorresse un’ipotesi in cui la denuncia penale fosse obbligatoria, ed afferma che è stata pure presentata. Ne discenderebbe, secondo la controricorrente, che i termini di notifica degli avvisi di accertamento dovevano ritenersi doppi rispetto all’ipotesi ordinaria, derivando da ciò che la notifica di tutti e tre gli avvisi di accertamento risulterebbe tempestiva.

9.3. Occorre però subito sottolineare che, come insistentemente segnalato dai contribuenti, l’avviso di accertamento notificato alla società attiene, esclusivamente, alla contestazione dell’obbligo di pagamento di un importo a titolo di Irap. Deve quindi evidenziarsi che la richiamata disposizione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4, prevede: “… è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi…” (evidenza aggiunta), e l’Irap, evidentemente, non è né un’imposta diretta né un’imposta sul valore aggiunto.

9.3.1. Dal combinato disposto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, emerge, pertanto, che il raddoppio dei termini di notifica dell’avviso di accertamento non opera in materia di Irap. Questa Corte ha già avuto modo, del resto, di esprimere il principio, affermando che “in tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali” (Cass. sez. VI-V, 3.5.2018, n. 10483 (conf., da ultimo, Cass. sez. V, 22.7.2021, n. 20976).

Inoltre, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di occuparsi di un caso che presenta analogie, ed in quella decisione ha innanzitutto ricordato che “con avviso di accertamento emesso nei confronti” dei soci “della s.a.s. Cassiopea nelle more estinta per cancellazione dal registro delle imprese, e agli stessi notificato nel luglio 2010, l’Ufficio rideterminava, per l’annualità 2004, un maggior reddito d’impresa (quale imponibile da valere a fini IRPEF) ed un maggior valore della produzione netta a fini IRAP; per l’effetto, recuperava a tassazione l’IRAP non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi”. Tanto premesso, la Suprema Corte ha quindi osservato che “l’accertamento del maggior reddito imponibile a fini IRPEF non risulta tradotto in una dichiarazione di debenza della società per siffatta causale, assumendo invece, per un verso, una funzione meramente strumentale alla determinazione del valore della produzione da considerare a fini IRAP e, per altro verso, carattere prodromico rispetto ad un diversa pretesa da azionare nei riguardi di soggetti diversi dalla società destinataria dell’avviso, cioè a dire i soci cui, a titolo personale (“per trasparenza”), viene ascritta la maggiore produzione di reddito acclarata” Cass. sez. V, 13.1.2021, n. 341, ed il Giudice di legittimità ha in conseguenza annullato l’avviso di accertamento. Anche nel caso in esame, pertanto, deve concludersi che l’avviso di accertamento ai fini Irap è stato notificato tardivamente alla società, non potendo operare il raddoppio dei termini di notifica, e l’atto impositivo deve pertanto essere annullato.

10. Occorre quindi osservare che, nel caso di specie, risultano impugnati in questa sede sia l’avviso di accertamento notificato alla società, ai fini Irap, sia gli avvisi di accertamento notificati ai soci in relazione al reddito di partecipazione conseguito, pertanto ai fini Irpef.

Anche la notifica degli avvisi di accertamento ai soci è intervenuta quando i ricordati termini ordinari di decadenza, dettati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, al comma 1, erano scaduti, ma se potesse ritenersi operante il raddoppio dei termini ai sensi dell’art. 43, comma 3, l’Amministrazione finanziaria non sarebbe incorsa in decadenza.

Vengono al proposito nuovamente in rilievo le critiche rivolte dai contribuenti in materia di mancata prova della ricorrenza di indizi di commissione di un reato per cui sussista l’obbligo di denuncia penale, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4. Scrive in proposito la Ctr che “come già evidenziato dai primi giudici, in punto di fatto è pacifico che sia stata trasmessa la denuncia di reato al P.M. e, in punto di diritto, che il raddoppio dei termini di accertamento è subordinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, alla sola condizione che gli accertatori ravvisino una violazione che comporti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Poiché l’avviso di accertamento è stato emesso nei confronti della società e quelli emessi nei confronti dei soci discendono da quest’ultimo, è da ritenersi priva di pregio l’asserita inapplicabilità del termine doppio per essere il maggior reddito accertato a loro carico al sotto della soglia a rilevanza penale” (sent. Ctr, p. 2).

La valutazione espressa dalla Ctr non risulta condivisibile.

10.1. Innanzitutto occorre ricordare che i ricorrenti hanno insistentemente ribadito nel loro ricorso per cassazione, non mancando di operare specifici riferimenti alle difese proposte nei gradi di merito, che l’Amministrazione finanziaria non ha fornito prova di avere presentato la denuncia penale, e si sono soffermati a segnalare come abbiano ripetutamente contestato la specifica circostanza, la quale non può quindi affatto dirsi pacifica. Peraltro, la questione ha un rilievo limitato, perché questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di rilevare che “in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione”, Cass. Sez. V, 2.7.2020, n. 13481, come del resto correttamente segnalato pure dalla controricorrente (controric., p. 17).

Tanto premesso, la Corte costituzionale ha espressamente chiarito che, in materia di raddoppio dei termini di notifica dell’accertamento tributario, per effetto della ricorrenza di indizi di commissione di uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, avverso “l’asserita incontrollabilità dell’apprezzamento degli uffici tributari circa la sussistenza del reato, va obiettato che il sistema processuale tributario consente, invece, il controllo giudiziario della legittimità di tale apprezzamento. Il giudice tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (Corte Cost. 25.7.2021, n. 247, massima ufficiale n. 35821).

10.1.1. Pertanto sia l’affermazione della Ctr secondo cui la presentazione della denuncia penale da parte dell’Amministrazione finanziaria comporterebbe di per sé, quale conseguenza, il raddoppio dei termini di notifica, sia la tesi del giudice dell’appello secondo cui la ricorrenza dell’obbligo di presentazione della denuncia penale sarebbe una valutazione rimessa esclusivamente agli accertatori, risultano entrambe errate. In conseguenza, competeva al giudice del merito, innanzi al quale era stata specificamente contestato il difetto della ricorrenza dei presupposti perché risultasse integrato l’obbligo della denuncia penale nel caso di specie, valutare se tali presupposti effettivamente sussistessero, specificamente indicandoli. Nella fattispecie in esame deve evidenziarsi pure che, nell’assenza di ogni conoscenza circa quali siano stati gli elementi valorizzati al fine di ritenere sussistente l’obbligo di denuncia, non sono neppure disponibili elementi di valutazione per verificare in questa sede, se del caso, l’attitudine di tali elementi a giustificare il raddoppio dei termini di notifica dell’accertamento, con particolare riferimento alle condotte evasive contestate ai due soci per aver percepito un reddito di partecipazione, non rimanendo estraneo a tale valutazione l’accertamento che risultassero superate le soglie di non punibilità.

10.2. In accoglimento, per quanto di ragione, del secondo, del terzo e del quarto motivo di impugnazione, pertanto, l’avviso di accertamento ai fini Irap tardivamente notificato alla società deve essere annullato, mentre in relazione agli accertamenti tributari notificati ai soci in relazione al reddito di partecipazione conseguito, ai fini Irpef, la sentenza deve essere cassata nei limiti delle ragioni esposte, con rinvio alla Commissione tributaria regionale di Milano perché, in diversa composizione, provveda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti. Le ulteriori contestazioni proposte mediante gli indicati motivi di ricorso rimangono assorbite, come pure gli ulteriori motivi di ricorso.

La Corte.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti innanzi precisati, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso proposti dalla M.L. e figli Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da M.R. e da M.S., assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione, annulla l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), avente ad oggetto maggiore Irap, e rinvia per il resto alla Commissione tributaria regionale della Lombardia perché, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio nel rispetto dei principi esposti, provvedendo anche a liquidare le spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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