Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7461 del 19/03/2020

Cassazione civile sez. I, 19/03/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 19/03/2020), n.7461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21151/2015 proposto da:

Comunità Comprensoriale Valle Pusteria, in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico

Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Luigi, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Kollensperger Hans

Jurgen, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Unipolsai Assicurazioni S.p.a., già Unipol Assicurazioni Spa (e già

UGF Assicurazioni s.p.a.) a seguito di fusione per incorporazione di

quest’ultima con Premafin Finanziaria s.p.a. – Holding di

partecipazione in Fondiaria Sai s.p.a, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale

B. Buozzi n. 53, presso lo studio dell’avvocato Russo Claudio, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Locatelli Lorenzo,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

M. Costruzioni Spa, in Liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 17/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di

BOLZANO, del 24/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione d.d. 8.1.2003 l’impresa M. Costruzioni s.p.a. conveniva in giudizio la committente Comunità Comprensoriale Valle Pusteria, il suo presidente S.M., il progettista nonchè direttore dei lavori W.M., il responsabile del procedimento Sc.Di. e il collaudatore Mo.Gi., chiedendo accertarsi incidentalmente l’illegittimità della Delib. 31 ottobre 2001, di risoluzione del contratto di appalto 1-2-2000 avente ad oggetto l’esecuzione, da effettuarsi entro il termine, prolungato rispetto a quello originario, del 7-10-2001, del secondo lotto dei lavori di ampliamento della discarica di rifiuti solidi urbani (OMISSIS). L’appaltatrice deduceva che il mancato rispetto del termine di completamento dell’opera era imputabile a carenze del progetto esecutivo e al difetto di collaborazione della committente e chiedeva che, disapplicata l’illegittima deliberazione della committente, venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento della Comunità Comprensioriale Valle Pusteria e la condanna di quest’ultima al pagamento del prezzo dell’appalto, dei danni subiti, dei maggiori corrispettivi pretesi nel corso dei lavori con esclusione di ogni detrazione. Chiedeva, inoltre, che, accertata l’illiceità penale delle condotte tenute dal presidente della committente, dal progettista e direttore dei lavori, dal responsabile del procedimento e dal collaudatore, questi venissero condannati a risarcirle i danni non patrimoniali a lei cagionati. La Comunità Comprensoriale Valle Pusteria si costituiva negando ogni addebito mossole dall’appaltatrice e chiedendo in via riconvenzionale la restituzione di un pagamento per Euro 263.468,94, assumendo di averlo erroneamente duplicato. Anche tutte le altre parti convenute si costituivano chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti dall’attrice. Terminata l’opera a cura di Alpenbau s.r.l., a cui la committente aveva appaltato il completamento dei lavori dopo la risoluzione del rapporto contrattuale con l’impresa M., veniva emesso il certificato di collaudo finale in data (OMISSIS), che con atto di citazione datato 16-10-2004 l’impresa M. impugnava, convenendo in giudizio la Comunità Comprensoriale Valle Pusteria, Alpenbau s.n.c., il progettista/direttore dei lavori W.M., il collaudatore Mo.Gi., nonchè Aurora Assicurazioni s.p.a., la compagnia costituitasi garante del corretto adempimento dell’appalto risolto dalla committente. Sosteneva l’appaltatrice che la parte dell’opera dalla stessa eseguita fosse da intendersi come positivamente collaudata già con lo stato di consistenza e il collaudo interinale emessi al momento della risoluzione del contratto. Deduceva, quindi, che si era estinta la fideiussione prestata a garanzia del corretto adempimento dell’appalto e chiedeva che ne venisse, conseguentemente, ordinato lo svincolo. In ogni caso, affermava l’impresa M. che nulla era dovuto dalla stessa alla committente, che ogni detrazione a lei applicata era illegittima, e che nessun pagamento poteva, perciò, essere preteso nè dalla committente, nè dall’assicurazione garante. Di conseguenza reiterava la richiesta di condanna al pagamento dei crediti maturati nell’ambito del rapporto illegittimamente risolto e chiedeva la condanna del direttore dei lavori e del collaudatore al risarcimento dei danni non patrimoniali provocati dagli illeciti penali da loro asseritamente consumati in occasione delle operazioni di collaudo. Si costituiva anche nel secondo giudizio la Comunità Comprensoriale Valle Pusteria contestando le deduzioni e contestazioni dell’attrice e precisando che, all’esito del collaudo definitivo era risultato un credito della committente di Euro 187.024,15, il cui pagamento aveva chiesto in via riconvenzionale all’appaltatrice e ad Aurora Assicurazioni s.p.a., che aveva prestato fideiussione a garanzia del corretto adempimento del contratto d’appalto. Si costituiva Aurora Assicurazioni s.p.a. associandosi alle argomentazioni difensive dell’attrice, deducendo, comunque, che si era estinta la fideiussione prestata e chiedendone lo svincolo; in subordine, chiedeva accertarsi il suo diritto di regresso nei confronti dell’appaltatrice. Si costituivano anche tutte le altre parti convenute nel secondo giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese attoree.

2. Con sentenza n. 126/2011 depositata l’1.12.2011 il Tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Brunico, riunite le cause, istruite con l’assunzione delle prove orali offerte dalle parti e l’espletamento di CTU, ha ritenuto che: A) la risoluzione del contratto per il mancato completamento dell’opera nei termini previsti fosse addebitabile alla committente, per avere la stessa preteso la realizzazione di un progetto largamente lacunoso, senza, peraltro, nel corso dell’esecuzione dei lavori, prestare all’impresa la necessaria collaborazione per rimediare alle conclamate carenze progettuali; B) l’appaltatrice avesse un credito nei confronti della committente di Euro 197.004,59, oltre accessori, per perdita d’utile d’impresa, riserve riconosciute, interessi per tardiva emissione di certificati di pagamento ed ingiustificate detrazioni; C) il direttore dei lavori W.M. dovesse essere condannato in solido con la committente al pagamento degli interessi per la mora nei pagamenti; D) dovesse escludersi ogni debenza dell’appaltatrice e di Aurora Assicurazioni s.p.a., medio tempore divenuta UGF Assicurazioni s.p.a., nei confronti della committente, e di conseguenza disporsi la liberazione della garante e condannarsi la committente garantita a pagare all’ordinante la somma di Euro 13.907,04 a titolo di risarcimento del danno da ritardato svincolo della fideiussione; E) dovesse respingersi ogni altra azione svolta dall’appaltatrice, tanto quella di garanzia nei confronti della subappaltatrice Alpenbau s.n.c., ritenuta estinta per decadenza e prescrizione, quanto quelle di risarcimento dei danni non patrimoniali nei confronti del presidente della committente, del progettista/direttore dei lavori, del responsabile del procedimento e del collaudatore.

3. Con sentenza n. 17/2015 depositata il 24 gennaio 2015 la Corte d’appello di Trento, in parziale riforma della sentenza impugnata, accertato che M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione era debitrice nei confronti della Comunità Comprensoriale Valle Pusteria della somma di Euro 2.479,6, oltre accessori come indicato nella motivazione della sentenza, condannava la suddetta società al relativo pagamento; la Corte territoriale confermava il rigetto di ogni domanda svolta nei confronti di UGF Assicurazioni s.p.a., nonchè anche la condanna della Comunità Comprensoriale Valle Pusteria a risarcire a M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione il danno da prolungato vincolo della fideiussione come statuita già in primo grado e con le precisazioni di cui alla motivazione della stessa sentenza; confermava, infine, anche la condanna in solido della Comunità Comprensoriale Valle Pusteria e di W.M. al pagamento a M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione degli interessi moratori sull’importo di Euro 8.225,61 come statuita in primo grado, nonchè il rigetto delle domande proposte da M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione nei confronti di tutte le altre parti processuali. Circa la regolazione delle spese processuali, per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello dichiarava interamente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio tra M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione e la Comunità Comprensoriale Valle Pusteria, nonchè condannava in solido M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione e Comunità Comprensoriale Valle Pusteria a rifondere a UGF Assicurazioni s.p.a. le spese di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte territoriale, riformando parzialmente la sentenza appellata, ha ritenuto che: a) legittimamente il contratto di appalto fosse stato risolto dalla committente in data 31-10-2001, sussistendo il grave inadempimento dell’impresa appaltatrice, consistito nella ritardata esecuzione delle opere, non giustificabile in base alle, pur sussistenti, carenze progettuali, di cui l’impresa avrebbe dovuto accorgersi ed invece aveva sottostimato la quantità di rifiuti non mineralizzati da movimentare, e neppure in base alla lamentata mancanza di collaborazione della committente, dedotta con riferimento al pericolo di danno ambientale, che era risultato inesistente; b) il danno subito dalla committente per la perdita economica cagionata dalla rottura del rapporto contrattuale fosse imputabile all’impresa appaltatrice solo per la metà, stimato come pariordinato l’apporto causale nel suddetto evento di danno della stessa committente, in ragione degli iniziali errori e lacune progettuali, non emendati in corso d’opera, addebitabili al progettista e direttore dei lavori; c) il credito dell’impresa appaltatrice per le riserve iscritte in contabilità fosse pari a Euro 20.680,72 e l’appaltatrice avesse diritto al pagamento degli interessi di mora per la ritardata emissione del certificato di pagamento, in conformità a quanto statuito dal giudice di primo grado; d) residuasse un debito dell’impresa appaltatrice di Euro 2.479,6, all’esito dell’operazione contabile di dare-avere, in base ai dati emergenti dalla CTU, decurtando, così, della metà anche la posta risarcitoria spettante alla committente in conseguenza della rottura del rapporto contrattuale; e) dovesse rigettarsi la domanda riproposta dalla committente nei confronti della compagnia di assicurazione UGF per essersi estinta la garanzia, non essendo intervenuto il collaudo parziale delle opere realizzate dall’impresa M. entro sei mesi dalla risoluzione del contratto disposta dalla committente; f) dovesse di conseguenza confermarsi la condanna della committente al risarcimento in favore dell’appaltatrice del danno da prolungato vincolo della fideiussione, integrando la corrispondente statuizione di condanna del Tribunale per l’importo corrispondente ai premi eventualmente pagati dall’ordinante fino alla data della sentenza d’appello e con la maggiorazione degli interessi legali.

4. Avverso questa sentenza Comunità Comprensoriale Valle Pusteria propone ricorso, affidato a due motivi, nei confronti della M. Costruzioni s.p.a. in liquidazione (di seguito per brevità M.), che è rimasta intimata, e nei confronti di UnipolSai Assicurazioni s.p.a., che resiste con controricorso. Sono rimaste intimate tutte le altre parti a cui il ricorso è stato notificato per litis denunciatio.

5. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

6.La parte ricorrente e UnipolSai Assicurazioni s.p.a. hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione della L.P. 17 giugno 1998, n. 6, art. 50, D.P.P. 5 luglio 2001, n. 41, artt. 123 e 124 e art. 1957 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo ritenuto estinta la garanzia fideiussoria prestata dall’Aurora Assicurazioni Spa (poi UGF Assicurazioni SpA e ora Unipol Assicurazioni Spa) – conseguente inesistenza di un danno risarcibile da prolungato vincolo della fideiussione”. Deduce che la Corte territoriale erroneamente aveva ritenuto estinta, ai sensi dell’art. 4 delle condizioni generali di assicurazione, la garanzia fideiussoria prestata dalla Aurora Assicurazioni, ora Unipol Assicurazioni s.p.a., in quanto entro sei mesi dalla risoluzione del contratto di appalto non era stata collaudata la parte dell’opera realizzata dall’impresa appaltatrice. Rimarca che in data 16-9-2002 era stato eseguito non un collaudo definitivo, intervenuto solo il 22-6-2004, ma solo un accertamento della consistenza dell’opera parziale eseguita dalla M.. Ad avviso della ricorrente l’eventuale svincolo della cauzione sarebbe potuto avvenire, in linea teorica, solo dopo il collaudo definitivo del 2004, dal quale era, invece, emerso un debito della M. di Euro 187.024,15, di seguito ridotto all’importo di Euro 51.409,08. Rileva la ricorrente che il Tribunale aveva confermato la piena operatività della fideiussione alla data del collaudo definitivo e, ad avviso della ricorrente, detta statuizione era passata in giudicato perchè mai impugnata, neppure dalla UGF, ora Unipol Assicurazioni s.p.a.. Assume di aver decisamente contestato la fondatezza dell’eccezione di estinzione della garanzia, contrariamente a quanto affermato, presumibilmente per una mera svista, dalla Corte territoriale, e che la durata della fideiussione neppure poteva essere ancorata alla data del 16-9-2002, ribadendo che, a quella data, non era affatto avvenuto il collaudo definitivo. Sostiene, quindi, la ricorrente che le operazioni di collaudo si siano svolte tempestivamente e si siano concluse con il certificato di collaudo del 2004, sicchè la garanzia non si era estinta e, di conseguenza, non era dovuto il danno da prolungato vincolo della fideiussione, con ogni riflesso in ordine alla regolazione delle spese di lite nel rapporto processuale tra la ricorrente e la compagnia di assicurazione ed alla restituzione delle somme pagate a detta ultima parte in esecuzione della sentenza d’appello.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo nonostante la sostanziale totale soccombenza della M. Costruzioni SpA in liquidazione nelle due cause di primo grado dalla medesima intentate (sub RG 26/2003 e 607/2004) ed ancora con appello incidentale in grado d’appello (sub RG 25/2012) dichiarato la integrale compensazione delle spese tra essa M. Costruzioni e la Comunità comprensoriale”. Deduce la ricorrente di essere risultata interamente vittoriosa all’esito della lite, atteso che tutte le domande della M. erano state rigettate. Ad avviso della ricorrente non sussiste il requisito della reciproca soccombenza, giustificativo della compensazione integrale delle spese di lite del primo e secondo grado disposta dalla Corte d’appello, e quindi la sentenza impugnata merita di essere cassata anche con riferimento al capo 5 del dispositivo ed anche in relazione alle spese di CTU, che la ricorrente assume di avere anticipate in ragione della metà.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Preliminarmente il motivo è da ritenersi ammissibile, dovendo disattendersi l’eccezione sollevata da parte controricorrente. La Comunità ricorrente ha sufficientemente specificato quale sia il contenuto dell’art. 4 delle Condizioni Generali di Contratto, da valutarsi anche in correlazione alle argomentazioni espresse nella sentenza impugnata sul punto, pure sufficientemente precisate nel ricorso. Sempre in via preliminare, non sussiste, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, il giudicato interno sulla questione relativa all’estinzione della garanzia, atteso che la compagnia di assicurazione aveva proposto appello incidentale condizionato sul punto (cfr. le conclusioni di detta parte riportate a pag. n. 7 della sentenza impugnata).

La giurisprudenza più recente di Corte ha chiarito, esprimendo un orientamento a cui il Collegio intende dare continuità, che, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass. n. 2217/2016 e Cass. n. 24783/2018).

Nella fattispecie in esame, dalla parziale riforma della sentenza di primo grado in punto addebitabilità della risoluzione contrattuale è conseguita l’integrale rivalutazione, in fatto ed in diritto, da parte della Corte d’appello anche della questione di cui trattasi, oggetto di appello incidentale condizionato nei termini precisati. Di conseguenza, anche se per ragione diversa da quella posta a fondamento della sentenza di primo grado – estinzione della garanzia e non inadempimento della committente -, ne sono derivati sia il rigetto della domanda riproposta dall’appaltante nei confronti della compagnia di assicurazione UGF, di seguito Unipol, sia la conferma della condanna della committente al risarcimento in favore dell’appaltatrice del danno da prolungato vincolo della fideiussione, maggiorato dell’importo corrispondente ai premi eventualmente pagati dall’ordinante fino alla data della sentenza d’appello, oltre interessi legali.

3.2. Passando all’esame degli altri profili di censura espressi con il primo motivo, occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, in tema di appalto di opere pubbliche, ai fini dello svincolo delle polizze fideiussorie, con la conseguente liberazione dell’appaltatore dall’obbligazione del pagamento dei premi alla società assicuratrice, l’ipotesi della risoluzione anticipata del contratto per fatto e colpa dell’appaltatore è assimilabile a quelle della integrale esecuzione dell’opera appaltata e dell’omissione o del ritardo dell’amministrazione nell’effettuazione del collaudo e nell’approvazione del relativo certificato nel termini previsti dalla legge, ossia dalla L. n. 741 del 1981, art. 5 (Cass. n. 7292/2012; Cass. n. 22950/2017). Anche per l’ente committente vale, infatti, la regola dell’art. 1957 c.c., comma 1, secondo la quale il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purchè il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza coltivate, con la precisazione che in questa fattispecie per “scadenza dell’obbligazione principale” deve intendersi non il termine di scadenza previsto originariamente nel contratto, bensì, l’epoca di ultimazione dei lavori, ovvero, in difetto, la data in cui per eventi di natura patologica (quali la risoluzione del contratto) il rapporto si sia comunque estinto. Resta a carico dell’amministrazione appaltante l’onere di provare che l’omissione o il semplice ritardo circa l’effettuazione del collaudo e l’approvazione del relativo certificato siano dipesi da fatto imputabile all’impresa (così le pronunce di questa Corte nn. 12451/08, 2670/2008, 17314/2011). Nel caso di mancata integrale esecuzione dei lavori previsti in appalto, deve ritenersi ferma la necessità del collaudo parziale, poichè, diversamente argomentando, il termine non decorrerebbe e il garante rimarrebbe vincolato ad libitum, in forza del rapporto accessorio ormai privo del fondamento causale. Nè può computarsi il termine dalla data di ultimazione dei lavori, anche ad opera del nuovo appaltatore nel caso di non ultimazione dei lavori da parte del primo, in quanto, così opinando, si renderebbe del tutto aleatorio il termine di decorrenza, in contrasto con la chiara ratio della norma, intesa a sanzionare con l’automatica perdita delle garanzie l’inerzia dell’amministrazione committente. Quanto al fatto imputabile all’impresa, da ritenersi come condotta o evento alla stessa riferibile che impedisca o ostacoli lo svolgimento delle operazioni di collaudo, va rimarcato che lo stesso non può consistere, di per sè, nelle inadempienze dell’appaltatore, a meno che non si traducano in impedimento o ostacolo al collaudo nei termini di legge, come ad esempio la mancata consegna delle opere o la mancata rimozione di materiali od attrezzi (così le pronunce di questa Corte nn. 12451/08, 6805/02, 7596/01 e 7292/2012).

3.3. Nel caso di specie la Corte territoriale si è attenuta ai principi suesposti, dopo aver accertato che, a fronte della risoluzione ad iniziativa della committente avvenuta il 31-10-2001, il collaudo parziale non era avvenuto entro i sei mesi successivi. La stessa ricorrente sostiene che il verbale del 16-9-2002 concerneva solo lo stato di consistenza dei lavori eseguiti dalla M. e non si configura come verbale di collaudo parziale.

La Comunità ricorrente assume che debba farsi riferimento al collaudo definitivo del 22-6-2004, che è avvenuto quando i lavori sono stati ultimati dalla Alpenbau, impresa subentrata alla M. nell’appalto dopo la risoluzione del rapporto con quest’ultima.

L’assunto non ha fondamento, in base ai principi di diritto suesposti, perchè, come si è già rimarcato, se così fosse, il permanere della garanzia non sarebbe più collegato all’obbligazione principale dell’appaltatrice/ordinante, ossia il rapporto accessorio resterebbe privo di fondamento causale, e si renderebbe del tutto aleatorio il termine di decorrenza di cui trattasi.

Neppure la committente allega e dimostra che non era possibile il collaudo parziale per fatto imputabile all’appaltatrice (cfr. Cass. n. 7292/2012, riguardante fattispecie analoga a quella che si sta scrutinando), non essendo sufficiente, per la finalità probatoria suddetta, la sola allegazione dell’inadempimento dell’appaltatrice per il ritardo nell’esecuzione dei lavori e rilevante esclusivamente con riguardo alla giustificatezza della risoluzione contrattuale.

Resta da aggiungere che non rileva nel senso prospettato dalla ricorrente la doglianza sulla mancata contestazione, ravvisata sussistente per mero refuso dalla Corte d’appello, della fondatezza dell’eccezione di estinzione della garanzia. La suddetta affermazione è stata espressa dai Giudici di merito solo come mera argomentazione aggiuntiva e rafforzativa (pag. 49 della sentenza impugnata), mentre, in punto di diritto, la relativa statuizione è espressamente fondata sul corretto principio della decorrenza del termine di cui trattasi dalla data dell’evento di natura patologica, ossia dalla data di risoluzione del contratto.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

4.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti, e ciò anche nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c., dalla L. n. 69 del 2009 (Cass. n. 19613/2017 e n. 26918/2018).

4.2. La doglianza è formulata dalla ricorrente sul presupposto che la stessa fosse risultata interamente vittoriosa, all’esito del giudizio d’appello, nel rapporto processuale intercorso con la M.. La ricorrente assume, dunque, l’insussistenza della reciproca soccombenza, idonea a giustificare, nel caso di specie, l’integrale compensazione delle spese di lite del primo e del secondo grado, con riferimento al suddetto rapporto processuale.

Invece, all’esito del giudizio d’appello, la società appaltatrice è risultata vittoriosa sulle domande concernenti: i) il pagamento delle somme a titolo di riserve per l’importo di Euro 20.680,72; ii) il pagamento degli interessi di mora per la ritardata emissione del certificato di pagamento; iii) il risarcimento dei danni per il ritardato svincolo della garanzia assicurativa; iiii) la corresponsabilità colposa della committente per lacune progettuali e mancata collaborazione, incidente sulla quantificazione del danno, che è stato infatti decurtato della metà, subito dalla stessa committente per la rottura del rapporto contrattuale.

Non ricorre, pertanto, il vizio di violazione di legge denunciato.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza in riferimento al rapporto processuale con la parte costituita, mentre nulla deve disporsi in ordine alle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione in favore di UnipolSai Assicurazioni s.p.a. delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 4.500 per compensi e in Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2020

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