Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7461 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 17/03/2021), n.7461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10354-2014 proposto da:

CIR SPA COMPAGNIE INDUSTRIALI RIUNITE, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLA

BRANDA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIVIA

SALVINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2178/2013 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

TORINO, depositata il 22/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 2178/13, depositata il 22 ottobre 2013, la Commissione tributaria Centrale di Torino ha accolto il ricorso dell’Ufficio del Registro di Torino avverso la decisione della Commissione tributaria di secondo grado che, a conferma della pronuncia di primo grado, aveva accolto l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi su di un’istanza di rimborso dell’imposta di registro corrisposta dalla contribuente in esito ad avviso di liquidazione relativo ad una delibera societaria recante aumento del capitale sociale dietro (parziale) utilizzazione delle riserve da rivalutazione monetaria;

– il giudice del gravame ha rilevato, in sintesi, che l’applicazione (retroattiva) delle disposizioni più favorevoli introdotte dal D.P.R. n. 131 del 1986, rimaneva preclusa dalla definitività dell’avviso di liquidazione che, non impugnato dalla contribuente, aveva consolidato la pretesa impositiva nei termini in cui era stata esercitata;

2. – CIR S.p.a., Compagnie Industriali Riunite, ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo, illustrato con memoria;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, combinato disposto di cui all’art. 25, comma 2, e art. 15, comma 3, assumendo, in sintesi, che, – così come eccepito con le difese svolte davanti alla Commissione tributaria Centrale, – il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità del ricorso da controparte proposto, in difetto di una compiuta esposizione dei fatti di causa;

2. – il motivo è destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso;

3. – con riferimento alla natura, ed al regime giuridico, del mezzo di gravame (già) previsto dal D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25, la Corte ha avuto modo di rilevare che il giudizio dinanzi alla Commissione tributaria centrale è regolato come un ordinario giudizio di merito (con le limitazioni di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 26), ed è quindi riconducibile al modello dell’appello, così che lo stesso onere di specificità dei motivi deve ritenersi soddisfatto quando il ricorrente abbia proposto soluzioni contrastanti con quelle poste a base della decisione impugnata, e dal contesto dell’atto appaia evidente che con lo stesso sono state mosse critiche a tale decisione (v., in particolare, Cass., 23 dicembre 2005, n. 28678 cui adde Cass., 14 maggio 2014, n. 10569; Cass., 16 aprile 2008, n. 9913);

3.1 – già in più risalenti arresti, la Corte ha, poi, avuto modo di rilevare che il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti (per vero richiesto anche nel giudizio di appello; v. il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 22, comma 3, e, ora, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1) non impone rigidi moduli formali e deve essere inteso nel senso che il ricorso “deve fornire gli elementi necessari per identificare, con sufficiente chiarezza, la decisione impugnata e l’ambito del giudizio d’impugnazione”, così che “la mancanza di una specifica elencazione delle vicende processuali non determina l’inammissibilità del suddetto ricorso, qualora l’atto contenga comunque tutti i dati idonei a soddisfare l’indicata esigenza” (Cass., 21 gennaio 1985, n. 188); e, in particolare, ha rimarcato il nesso che la disposizione processuale istituisce tra l’oggetto della controversia e l’ambito del giudizio d’impugnazione, al fine di “consentire l’immediato controllo di ammissibilità del ricorso… sotto il profilo delle questioni che possono essere portate alla cognizione della predetta commissione, alla quale sono sottratte le questioni di mero fatto attinenti alla valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie.” (Cass., 15 luglio 1983, n. 4868);

3.2 – più di recente, si è, poi, osservato che la mancata esposizione dei fatti di causa deve ritenersi irrilevante per la validità dell’appello “salvo che ciò non renda inintelligibili i motivi esattamente esposti e da questi non possa ricavarsi una esatta ricostruzione dei fatti stessi.” (così Cass., 6 ottobre 1999, n. 11100 cui adde Cass., 17 luglio 2008, n. 19639);

3.3 – nella fattispecie, per come risulta dallo stesso ricorso (che compiutamente assolve all’onere di autosufficienza), il gravame recava una esposizione, sia pur essenziale, tanto dei contenuti decisori della pronuncia impugnata quanto della fattispecie impositiva che rimaneva controversa tra le parti (sotto il profilo, dunque, del motivo di ricorso svolto davanti alla Commissione Tributaria Centrale); così, nello specifico, emergendo che le censure dell’Ufficio (di violazione di legge; D.P.R. n. 131 del 1986, art. 79) si incentravano sul consolidamento della pretesa impositiva (per definitività dell’avviso di liquidazione non oggetto di impugnazione) che, proprio per tale profilo sostanziale, precludeva l’applicazione (retroattiva) delle disposizioni di legge sopravvenute (citato D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, parte prima, art. 4, lett. a), n. 6) in relazione alla presentata istanza di rimborso;

4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

 

 

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