Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7458 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 17/03/2021), n.7458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27678-2017 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZO, 2,

presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PASQUALE RUSSO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1010/2017 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 18/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. con la sentenza in epigrafe, la CTR della Toscana dichiarava legittimo l’avviso di accertamento catastale emesso dalla Agenzia delle entrate nei confronti di G.G. riguardo ad una unità immobiliare, posta in (OMISSIS), già accatastata in categoria C/1, per la quale, a seguito di variazione di destinazione d’uso da negozio a garage senza alcuna modifica strutturale, ai sensi degli della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, artt. 58 e 59, era stata presentata una dichiarazione DOCFA con proposta di variazione della categoria in C/6, classe 6, e di attribuzione di rendita di Euro 408,21, e che invece, con il suddetto avviso, l’Agenzia aveva riportato alla categoria originaria, classe 8, rendita Euro 1.314,95. In particolare, la CTR accertava che “l’unità immobiliare in questione presentava ancora le caratteristiche tipiche dei negozi”, “aveva una disposizione interna formata da più stanze” e, a differenza delle unità censite in C/6 che “constano di uno o più locali in diretta comunicazione tra loro nei quali possono transitare e trovare sistemazione una o più autovetture”, avrebbe potuto essere utilizzata come garage solo quanto al “primo vano” e non anche negli altri. La CTR riteneva poi “assorbita” la ragione di impugnazione del provvedimento costituita da ciò che, secondo il contribuente, lo stesso sarebbe stato privo di motivazione in quanto “contenente solo un generico richiamo alle norme regolanti la materia catastale” e in quanto non recante indicazione degli immobili asseritamente presi a comparazione per il disconoscimento del classamento proposto mediante DOCFA;

2.il contribuente ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della CTR;

3. l’Agenzia non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che la CTR abbia errato nel ritenere “assorbita” e quindi nel non pronunciarsi sulla questione della sussistenza della motivazione dell’avviso;

2. con il secondo motivo di ricorso il contribuente lamenta violazione del D.P.R. n. 380 del 2011, art. 23 bis, del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 8, 17 e 20, del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 6, 61 e 62, e del D.P.R. n. 138 del 1998, art. 4, sostenendo che la CTR abbia errato nel ritenere l’inquadramento catastale non fosse vincolato alla variata qualificazione urbanistica;

3. riguardo al primo motivo si osserva quanto segue. “La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande” (così tra molte conformi, Cass. n. 28995/2018). La questione della sussistenza della motivazione dell’avviso è logicamente prioritaria rispetto a quella sul merito della rettifica. La motivazione è un requisito intrinseco dell’atto. Un avviso privo di (congrua) motivazione è per ciò stesso illegittimo (L. n. 212 del 2000, art. 7), ancorchè, in ipotesi, nel merito corretto. La L. n. 241 del 1990, art. 21 octies (secondo cui “non è annullabile il provvedimento amministrativo emesso in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”) non è estensibile alla materia tributaria (v. Cass. n. 34407 del 23/12/2019, punti 1 e 3.1 della motivazione; Cass. n. 4388 del 14/02/2019). Ostano alla motivazione postuma dell’atto tributario il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, il quale, imponendo al contribuente di specificare nel ricorso introduttivo di primo grado, i motivi di impugnazione, presuppone che l’atto dia conto delle ragioni della pretesa (altrimenti il ricorso non potrebbe che essere, in tutto o in parte, “al buio”); il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 32, che, consentendo all’amministrazione di produrre in giudizio gli elementi di prova richiamati nell’atto impositivo e di dedurne di nuovi nei limiti di quanto consequenziale ai motivi di ricorso, presuppongono che detti elementi siano indicati nell’avviso; il carattere impugnatorio del processo tributario. La questione del difetto di motivazione non diviene priva di interesse in conseguenza della pronuncia di rigetto sulla questione inerente il merito della rettifica nè questa pronuncia esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulla prima questione. L’espressa affermazione, da parte della CTR, che la questione de qua è rimasta “assorbita” impedisce di ritenere che la questione sia stata respinta per implicito. Cionondimeno il motivo di ricorso in parola deve essere respinto senza che sia necessario cassare la sentenza impugnata e rinviare la causa al giudice d’appello. L’avviso riporta le norme applicate e ciò – al contrario di quanto sostiene il ricorrente – basta a dar conto delle ragioni giuridiche per le quali è stato mantenuto l’accatastamento originario. Il riferimento alla “metodologia comparativa” deve considerarsi ultroneo e così deve ritenersi privo di rilievo il fatto che gli immobili presi a comparazione non fossero indicati nell’avviso, posto che se, “qualora “attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni” (Cass. n. 12777/2018), nel caso di specie si discute del solo riclassamento del bene nella categoria originaria per ininfluenza sul piano catastale della variazione di destinazione d’uso. Peraltro ove al riclassamento fosse correlata l’attribuzione di una rendita maggiore di quella originaria il richiamo alla “metodologia comparativa” sarebbe sufficiente a fini motivazionali posto che “qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni” (Cass. n. 12777/2018);

3. il secondo motivo di ricorso è infondato. Il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, recita: “il classamento consiste nel riscontrare, con sopraluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell’art. 9, che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento”. Il successivo art. 62, prevede: “La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare”. Analoghe indicazioni sono contenute nel D.P.R. n. 138 del 1998, art. 8, comma 1 e 2. Il dettato normativo pone l’accento sulla “destinazione ordinaria” del bene da classare. La destinazione va desunta dalle caratteristiche oggettive del bene (costruttive e tipologiche in genere). Nel caso di specie la CTR ha accertato che il bene di cui trattasi non aveva le caratteristiche per poter essere utilizzato come garage (se non per uno dei locali). Nè a superare questo decisivo dato di realtà – accertato con verifica in fatto, non censurabile in questa sede – vale il richiamo alla destinazione d’uso (modificata da commerciale ad autorimessa e che il ricorrente vorrebbe invece fosse ritenuta determinante). Il provvedimento di attribuzione della rendita catastale è un atto tributario che inerisce al bene, secondo un’angolazione reale. L’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta alla sua destinazione funzionale e produttiva e tale destinazione non può che essere accertata avendo prioritario riferimento alle potenzialità effettive d’utilizzo del bene stesso. Nel classamento di un immobile, l’amministrazione finanziaria non è condizionata dalle valutazioni compiute dal l’amministrazione comunale competente alla attribuzione di una determinata destinazione d’uso secondo la normativa urbanistica (nella specie alle valutazioni del Comune di Firenze, secondo la L.R. Toscana n. 1 del 2005, artt. 58 e 59). Merita ricordare che questa Corte ha affermato, di recente, che “in tema di classamento catastale di immobili urbani, il cambio di destinazione d’uso cui non si accompagnino modifiche strutturali dell’immobile non comporta alcuna modifica del classamento catastale” (Cass.5012/2020) ed aveva, in precedenza, cassato una sentenza di appello la quale, ritenuto irrilevante che struttura e caratteristiche di un immobile fossero rimaste invariate e invece determinante l’intervenuta modifica, da commerciale ad artigianale, della destinazione d’uso dell’immobile, aveva attribuito al bene la categoria C/3, indicata dalla proprietà con la denuncia di variazione, in luogo di quella C/1 assegnata dall’Ufficio in conformità col precedente classamento (Cass. n. 12025/2015);

4. il ricorso deve essere rigettato;

5. al rigetto del ricorso consegue, ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), l’obbligo, a carico del ricorrente, di pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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