Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7454 del 19/03/2020

Cassazione civile sez. un., 19/03/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 19/03/2020), n.7454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21095-2018 proposto da:

R. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentata e difesa dagli

avvocati FERDINANDO MAZZARELLA e GIUSEPPE MAZZARELLA;

– ricorrente –

COMUNE DI TRABIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ROSA RAIMONDI GARIBALDI 44, presso il Dott.

ANTONIO BELLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI

BELLIA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentata e difesa dagli

avvocati FERDINANDO MAZZARELLA e GIUSEPPE MAZZARELLA;

– controricorrente rispetto al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 82/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’inammissibilità del controricorso e ricorso

incidentale;

uditi gli avvocati Ferdinando Mazzarella e Giovanni Bellia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Trabia, con atto di citazione notificato il 28.3.2001, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo la società R. s.r.l. chiedendone la condanna alla restituzione delle maggiori somme versate sulla base di una Delib. 18 ottobre 1996, n. 189 con la quale, nell’ambito di una procedura espropriativa finalizzata alla costruzione di un parco suburbano in località (OMISSIS), era stata quantificata l’indennità di espropriazione e quella di occupazione relativa agli immobili della società precisando che detta Delib., contenendo un calcolo erroneo dell’indennità, era stata annullata con la Delib. 13 aprile 2000, n. 472.

La società convenuta, costituitasi in giudizio con atto del 26 maggio 2001, si oppose alla domanda, deducendo che non era intervenuto alcun negozio di cessione volontaria ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 12 e del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis in ogni caso sostenendo l’invalidità del procedimento ablativo non concluso con l’emanazione nei termini fissati dal decreto di espropriazione. Ragion per cui chiese in via riconvenzionale la condanna al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima e per l’irreversibile trasformazione del fondo di sua proprietà.

Con sentenza parziale n. 2617/04 del 28/7-18/07/2004 il Tribunale di Palermo accertò l’inesistenza dell’accordo di cessione volontaria tra le parti, rigettando la domanda proposta dal Comune di Trabia concernente la declaratoria di nullità parziale dell’accordo, altresì dichiarando la propria incompetenza in favore della Corte d’Appello di Palermo con riferimento alla domanda relativa al pagamento dell’indennità di occupazione legittima formulata dalla società R..

Con separata ordinanza emessa in pari data lo stesso Tribunale dispose la rimessione della causa sul ruolo per la prosecuzione dell’istruttoria con riferimento alle domande risarcitorie della società R..

All’esito dell’istruzione, con sentenza resa nei 12/5-9/12/2008, il Tribunale di Palermo condannò il Comune di Trabia a pagare alla società R., a titolo di risarcimento del danno per l’accessione invertita dell’immobile oggetto di causa la somma di Euro 88.539,30, quale differenza tra l’ammontare già versato a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione legittima e quello dovuto a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi dalla data della decisione sino all’effettivo pagamento.

Avverso tale sentenza propose appello il Comune di Trabia, chiedendone la riforma.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 133/2018 del 17.1.2018, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta dalla società R. e determinò l’indennità di occupazione legittima del terreno in Euro 85.832,03, condannando la società appellata a restituire al Comune di Trabia la complessiva somma di Euro 522.033,33, detratti gli interessi legali dalla data di deposito presso la cassa DD.PP., con decorrenza dalla scadenza delle singole annualità dell’indennità di occupazione legittima, compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello.

Per quel che qui ancora rileva la Corte di appello ritenne che, rispetto alla domanda risarcitoria relativa al periodo di occupazione illegittima e per la perdita della proprietà del terreno in conseguenza dell’accessione invertita, la giurisdizione apparteneva al giudice amministrativo, avuto riguardo alla giurisprudenza formatasi in materia presso questa Corte rispetto alle ipotesi di perdita della proprietà dell’immobile occupato d’urgenza per l’esecuzione di un intervento di pubblica utilità in forza della correlativa dichiarazione ancorchè illegittima perchè priva dei termini iniziali e finali dei lavori e delle procedure di espropriazione. A giudizio della Corte di appello la sentenza parziale del 18 agosto 2004 resa dal Tribunale di Palermo non aveva riconosciuto implicitamente la giurisdizione del giudice ordinario sulle domande risarcitorie, non potendosi quindi ipotizzare che si fosse formato il giudicato in punto di giurisdizione del g.o. Il Tribunale si era limitato ad accertare l’inesistenza di un accordo di cessione volontaria tra le parti dichiarando l’incompetenza sulla domanda di determinazione dell’indennità di occupazione legittima, senza in alcun modo pronunziarsi, neppure implicitamente, sulla domanda di risarcimento del danno, rimessa invece in istruttoria. Dall’accertata insussistenza di un accordo di cessione volontaria del bene oggetto della procedura ablatoria la Corte di appello fece poi derivare la natura indebita della percezione delle somme riscosse dalla società appellata a titolo di indennità di espropriazione, con conseguente obbligo di restituzione delle stesse a carico della società R..

Quanto alle somme versate dal Comune di Trabia a titolo di indennità di occupazione legittima, la Corte ritenne di essere investita della determinazione del relativo importo per effetto della sentenza parziale già ricordata, avendo il Comune di Trabia legittimamente revocato la Delib. n. 189 del 1996. Tale annullamento aveva dunque privato di efficacia la determinazione dell’indennità provvisoria precedentemente effettuata dall’amministrazione comunale, rimanendo ad essa Corte devoluta la decisione sulla pretesa relativa alla determinazione dell’effettiva entità delle somme eventualmente da restituire al Comune in quanto percepite indebitamente.

Quanto alla determinazione dell’indennità anzidetta la Corte di appello rilevò che il CTU, in relazione alla destinazione delle aree ad attrezzature sportive e campi da gioco, aveva quantificato il prezzo a metro quadrato di Lire 18.000 al mq prendendo a base il valore agricolo della superficie, al quale aveva poi aggiunto l’incremento dell’aliquota del 40 % in considerazione delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’area e delle possibilità di sfruttamento del fondo ulteriori rispetto al mero utilizzo per fini agricoli e le possibilità di utilizzazioni intermedia tra quella agricola e quella edificatoria, così determinando il valore dell’area in Euro 340.603,32, in virtù della concreta suscettibilità di sfruttamento per finalità intermedie(parcheggio, deposito, ecc.). Da ciò conseguiva che l’indennità di occupazione legittima per il periodo compreso fra il 15.1.1993 ed il 15.1.1998 andava determinata in Euro 85.832,03, in ragione di Euro 17.166,40 per ogni anno di occupazione. La Corte, operato lo scomputo di quanto già corrisposto dal Comune di Trabia a titolo di indennità di occupazione temporanea per il periodo decorrente dal 15.1.1993 al 115.7.1996, pari a Lire 549.148.485, pari ad Euro 283.611,28 giusta la Delib. 128 ottobre 1996, n. 189 condannò quindi la società R. alla restituzione della differenza, pari ad Euro 197.779,25, detratti gli interessi legali dalla data di deposito presso la Cassa DD.PP.

La società R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

Il Comune di Trabia, si è costituito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi.

La società R. ha quindi depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

La causa, assegnata alle Sezioni Unite in ragione dell’esistenza di motivi di ricorso attinenti la giurisdizione, è stata posta in decisione all’udienza pubblica dell’11 febbraio 2020.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente, esaminata l’eccezione d’improcedibilità del ricorso incidentale sollevata dalla ricorrente principale, perchè tardivo.

1.1 Ed invero, consta dall’esame degli atti che il ricorso della società R. è stato consegnato al Comune di Trabia, a mani proprie, al difensore Avv. Giovanni Bellia, il 6 luglio 2018, e che detto Comune ha, poi, proceduto alla notifica del ricorso incidentale con atto consegnato all’ufficiale giudiziario martedì 18 settembre 2018, quando il termine di 40 giorni, di cui agli artt. 371, e 369 c.p.c., era spirato, il precedente giorno 17 settembre, ex art. 155 c.p.c., comma 5, cadendo la scadenza dei quaranta giorni il precedente sabato 15 settembre.

1.2 Nè giova, ai fini della positiva valutazione della tempestività del ricorso incidentale – che alla stregua dell’art. 371 c.p.c., comma 4. soggiace alla disciplina di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, per quel che qui rileva – la circostanza che la ricorrente abbia proceduto alla notifica del medesimo ricorso principale più volte nei confronti del detto Comune rilevando comunque, ai fini della decorrenza del termine, la prima delle notifiche effettuata nei confronti della parte intimata, non potendosi infatti ritenersi che in caso di reiterazione della notifica al medesimo soggetto intimato, il termine per la proposizione del controricorso e/o del ricorso incidentale decorre dall’ultima delle notifiche.

1.3 Invero, questa Corte (Cass. 22 giugno 2006, n. 14456) ha statuito che il termine, di complessivi quaranta giorni, di cui all’art. 369 c.p.c. e art. 370 c.p.c., per la proposizione del controricorso decorre, nel caso di notifica reiterata nei confronti della medesima parte, dalla data della prima notifica, a meno che detta notifica non debba considerarsi viziata da nullità, nel qual caso il termine stesso decorrerà dalla data della seconda notifica. Ne consegue che la reiterazione della notifica del ricorso per cassazione alla stessa parte, una volta che il procedimento notificatorio si sia già completato con una valida notifica, non vale a segnare una nuova decorrenza del termine per la proposizione del controricorso (Cass., n. 8704/2016; cfr. anche Cass., n. 2861/2019 e Cass., n. 24304/2019, secondo le quali la reiterazione della notifica del ricorso per cassazione alla stessa parte, una volta che il procedimento notificatorio si sia già completato con una valida notifica, non vale a segnare una nuova decorrenza del termine per la proposizione del controricorso).

1.4 Conclusione, quest’ultima, del resto in piena sintonia con l’indirizzo secondo il quale il termine di deposito del ricorso per cassazione previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 1, decorre, nell’ipotesi di reiterazione della notifica alla stessa parte, dalla prima notificazione validamente eseguita, essendo le altre superflue – cfr. Cass., n. 20543/2017, Cass., n. 4539/2009, Cass., n. 9967/2008-.

1.5 Resta solo da dire che non può dubitarsi dell’idoneità della notifica effettuata nelle mani del difensore presso il domicilio diverso da quello eletto dal Comune di Trabia, dovendo disattendersi la prospettata inefficacia della notifica anzidetta ai fini del decorso del termine per il deposito del controricorso e ricorso incidentale, essendo sufficiente ricordare che la regola stabilita dall’art. 138 c.p.c., comma 1, secondo cui l’ufficiale giudiziario può sempre eseguire la notificazione mediante consegna nelle mani proprie del destinatario, ovunque lo trovi, è applicabile anche nei confronti del difensore di una delle parti in causa, essendo questi, dopo la costituzione in giudizio della parte a mezzo di procuratore, l’unico destinatario delle notificazioni da eseguirsi nel corso del procedimento (art. 170 c.p.c., comma 1), sicchè risulta valida la notifica della sentenza effettuata a mani proprie del procuratore costituito, ancorchè in luogo diverso da quello in cui la parte abbia, presso il medesimo, eletto domicilio – cfr. Cass. n. 15326/2015 -.

2. La ricorrente principale ha dedotto, con il primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all’esistenza di un giudicato esterno ed interno sulla giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla domanda di risarcimento del danno per occupazione illegittima. La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare il giudicato implicito sulla giurisdizione in seguito alle statuizioni contenute nella sentenza non definitiva resa nel giudizio con contestuale ordinanza per la prosecuzione del giudizio finalizzata alla quantificazione del risarcimento del danno per accessione invertita e per occupazione illegittima, nemmeno considerando il giudicato formatosi tra le stesse parti in seguito alla decisione resa fra le stesse parti dal Tar Sicilia con sentenza n. 701/2013, del 28.2/26.3.2013.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione delle norme sul riparto di giurisdizione in materia di risarcimento del danno da occupazione illegittima ed apprensione del bene. La ricorrente rammenta che in seguito alle sentenze della Corte costituzionale nn. 204/2004 e 191 del 2006, alla data del maggio 2001 nella quale era stata proposta la domanda – rilevante ai sensi dell’art. 5 c.p.c. -, il riparto di giurisdizione era affidato unicamente all’originario criterio di riparto diritti soggettivi – interessi legittimi, essendo stato il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 1, lett. b) dichiarato incostituzionale nella parte in cui aveva esteso la giurisdizione esclusiva del g.a. ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad essa equiparati in materia urbanistica, ed edilizia. Da ciò conseguirebbe che nella vicenda processuale, nella quale l’attività provvedimentale si era arenata, non essendo stato adottato il decreto di esproprio, l’esistenza di meri comportamenti del Comune lesivi del diritto di proprietà radicherebbe la giurisdizione del giudice ordinario.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 362 c.p.c., comma 2 ritenendo che la decisione del Tar Sicilia già sopra ricordata, che aveva declinato la giurisdizione del g.a. con sentenza passata in giudicato, avrebbe determinato un conflitto negativo di giurisdizione in relazione alla pronunzia della Corte di appello di Palermo che aveva parimenti escluso la giurisdizione del giudice ordinario, imponendo l’intervento di queste Sezioni Unite al fine di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario o comunque quella di uno dei giudici che avevano entrambi ritenuto di negarla.

5. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, infine la violazione degli artt. 22 bis e 50, nonchè D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 42 bis e 37 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

5.1 La Corte di appello avrebbe errato nella determinazione dell’indennità di occupazione considerando che un terreno con indice di edificabilità di 3 mc/mq non potesse non essere ritenuto edificabile. La ricorrente evidenzia che la CTU, nel corso del giudizio di primo grado, aveva determinato il valore dell’area in Lire 40.000 al mq. in relazione alla sua natura di area edificabile e che il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 9.12 febbraio 2007, aveva invitato il CTU ad effettuare una seconda ipotesi di quantificazione del risarcimento dovuto basata sulla considerazione del fondo come legalmente non edificabile adoperando la quantificazione secondo i criteri propri delle aree agricole, pur tenendo nel debito conto l’ubicazione del terreno e la sua vicinanza ad aree urbanizzate ed edificate e la potenziale utilizzazione del bene anche ai fini diversi da quelli prettamente agricoli, non edificatori ma comunque remunerativi.

5.2 Ora, a fronte di tale supplemento istruttorio il CTU aveva rilevato che un terreno avente indice di cubatura pari a 3 mc/mq giustificava la realizzazione di opere edificatorie, in tal modo smentendo l’affermazione della Corte di appello secondo la quale l’area non poteva considerarsi edificabile, correlata alla destinazione urbanistica impressa ed alla possibilità di edificazione anche da parte dell’intervento di privati. Secondo la ricorrente, parte del terreno interessato dal procedimento ablatorio, oltre a ricadere in una zona C3 a villini e destinata ad attrezzature di piano regolatore generale, avrebbe avuto un indice di edificabilità pari a 3 mc/mq ben superiore a quello previsto per le zone residenziali, potendo essere realizzate attrezzature varie. Da ciò sarebbe dovuto conseguire che il valore venale dell’area ascendeva a Lire 50.000 mq., come peraltro ritenuto dalla stima operata dallo stesso Comune di Trabia nel 1991, in coerenza con quanto affermato da Corte Cost. n. 181/2011. La riconduzione del valore dell’area a quello venale, del resto, sarebbe una diretta conseguenza delle pronunzie rese dalla Corte edu che avevano determinato l’introduzione di meccanismi normativi – art. 43 Testo unico espropriazioni poi sostituito dall’art. 42 bis) – volte a salvaguardare in maniera piena il proprietario ablato in modo da garantirgli pur sempre il valore venale del bene nei casi di occupazione acquisitiva o accessione invertita.

6. Con il quinto motivo la ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 91 c.p.c., avendo il giudice di appello omesso di applicare il principio della soccombenza all’atto di compensare le spese del giudizio di appello. Chiedeva altresì la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c..

7. Ciò posto, occorre passare all’esame del primo motivo.

7.1 Giova premettere che questa Corte ha avuto modo di rilevare che il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicchè non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perchè tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice (da ultimo Sez. Un., 27/04/2018, n. 10265); Cass. n. 27078/2019 -.

7.2 In definitiva, il giudicato esplicito o implicito può dirsi formato tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione – Cass. S.U. 20932/2011, Cass. S.U. 24883/2008 -.

7.3 Resta inteso che in tanto può formarsi un giudicato in quanto la sentenza non definitiva su una domanda di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva si sia pronunciata sull’an debeatur e “in concreto” anche sul pregiudizio sofferto dal proprietario dell’immobile in conseguenza della condotta illecita dell’amministrazione, “commisurandolo alla diminuzione patrimoniale corrispondente al valore, ad una certa data, del bene sottrattogli” (Cass. n. 21143/2007, n. 4395/2006).

7.4 Orbene, la preclusione per effetto del giudicato sostanziale può scaturire solo da una statuizione che abbia attribuito o negato “il bene della vita” preteso e non anche da una pronuncia che non contenga statuizioni al riguardo, pur se essa risolva questioni giuridiche strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso (Cass. n. 2038/1996). Solo a queste condizioni può valere il principio secondo cui il giudicato si forma su (e la sua autorità copre) tutto ciò che abbia formato oggetto della decisione, compresa la soluzione di questioni costituenti antecedente logico necessario e presupposto essenziale della decisione medesima (tra le tante, Cass. n. 1497/1987), con esclusione delle enunciazioni puramente incidentali (Cass. n. 1815/2012).

7.5 Fatte le superiori premesse in diritto, non può dunque dubitarsi del fatto che queste Sezioni Unite hanno il potere-dovere di valutare direttamente le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva resa dal Tribunale di Palermo, al fine di giudicarne la portata decisoria, di accertare se si sia formato il giudicato nel processo e, quindi, di stabilire se la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata impugnazione – Cass. n. 6301/2014.

7.6 Ciò posto, reputano queste Sezioni Unite che la sentenza parziale resa dal Tribunale di Palermo del 18 agosto 2004 non contenga, in realtà, alcuna statuizione che accerti, in modo definitivo, l’an del diritto al risarcimento del danno per accessione invertita e per occupazione illegittima.

7.7 Il giudice di primo grado, infatti, si limitò a ritenere non perfezionata la cessione volontaria dell’area e conseguentemente a rigettare la domanda attorea di nullità parziale dell’accordo di cessione volontaria, poi dichiarando la propria incompetenza per materia a decidere sulla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima ed altresì disponendo la rimessione della causa sul ruolo “al fine di quantificare il risarcimento del danno per accessione invertita e per occupazione illegittima” – cfr. pag. 9 sent. Trib. Palermo n. 2617/04 -. Lo stesso Giudice monocratico del Tribunale di Palermo, con separata ordinanza pronunziata in pari data, dispose coerentemente la rimessione della causa sul ruolo per la prosecuzione dell’istruttoria con riferimento alle domande risarcitorie proposte dalla R. srl.

7.8 Alla luce degli elementi sopra ricordati va esclusa la presenza di un giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla domanda risarcitoria che il giudice di primo grado non ha esaminato nemmeno al fine di ritenere sussistente il diritto reclamato dalla società. Sicchè la censura sul punto spiegata dalla ricorrente principale è destituita di giuridico fondamento.

7.9 Nemmeno fondata appare la censura prospettata dalla ricorrente con riferimento all’esistenza di un giudicato esterno rappresentato dalla sentenza resa dal Tar Sicilia che, esaminando il ricorso proposto dalla società R. srl proposto avverso la Det. Sindacale 13 aprile 2000, n. 472 relativa alla revoca in via di autotutela amministrativa della Det. Sindacale 18 ottobre 1996, n. 189 avente ad oggetto il pagamento diretto dell’indennità di espropriazione e di occupazione temporanea degli immobili occorsi per i lavori di costruzione di un parco suburbano in località (OMISSIS), ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

7.10 L’atto impugnato, infatti, atteneva alla rideterminazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione d’urgenza.

7.11 Orbene, deve escludersi che la pronunzia del Tar Sicilia abbia la capacità di incidere con forza di giudicato sulla domanda proposta innanzi al Tribunale di Palermo sulla quale la Corte di appello ebbe a declinare la giurisdizione in favore del g.a. Il procedimento promosso dalla società R. innanzi al TAR Sicilia, invero, aveva come petitum formale la declaratoria di illegittimità della determinazione comunale con la quale erano stati rideterminati sia l’indennità di esproprio che quella di occupazione legittima, in ciò nettamente differenziandosi dalla domanda posta innanzi al Tribunale di Palermo, correlata alla condanna al risarcimento del danno nascente da comportamenti sussumibili nello stigma dell’occupazione illegittima. Tale diversità di domande, del resto trova precipua conferma nella diversità di causa petendi fra i due giudizi, controvertendosi innanzi al TAR della legittimità di un provvedimento adottato nell’ambito della procedura ablatoria ritualmente iniziata, teso a definire il procedimento espropriativo con un atto di determinazione dell’indennizzo ed invece discutendosi innanzi al Tribunale di Palermo prima, e successivamente della Corte di appello di Palermo, dell’illecita apprensione del bene da parte del detto Comune attraverso un comportamento adottato al di fuori dello schema legale del procedimento ablatorio.

7.12 Anche in tale prospettiva l’eccezione di giudicato formulata dalla società ricorrente è destituita di fondamento.

8. Passando all’esame del secondo motivo, lo stesso è infondato, risultando corretta la statuizione della Corte di appello in punto di determinazione della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima proposta dalla società R. con comparsa di risposta depositata in data 26 maggio 2001.

8.1 Ed invero, questa Corte a Sezioni Unite ha ormai affermato con principio consolidato che le controversie risarcitorie, promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, relative alle occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere (riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, anche se l’ingerenza nella proprietà privata sia poi avvenuta senza alcun titolo o nonostante il venir meno di detto titolo) sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 7 giacchè l’apprensione, l’utilizzazione e l’irreversibile trasformazione del bene in proprietà privata da parte della pubblica amministrazione sono riconducibili ad un concreto esercizio del potere autoritativo che si manifesta con l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità, senza che assuma rilevanza il fatto che quest’ultima perda successivamente efficacia o venga annullata – cfr. Cass. S.U. n. 23102/2019 -.

8.2 A tale conclusione si è giunti evidenziando che il riparto della giurisdizione è regolato, ratione temporis in relazione all’epoca della domanda giudiziale spiegata dalla società R. (26 maggio 2001) dal D.Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, lett. b), che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia” e che va interpretato e applicato in conformità a quanto statuito dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, contenenti declaratorie di parziale incostituzionalità, rispettivamente, dell’art. 34 cit., e dell’analoga disposizione di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53, nel testo all’epoca vigente. In particolare, Corte Cost. n. 191/2006 ha puntualizzato il senso della declaratoria d’incostituzionalità delle disposizioni di cui trattasi, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie relative ai “comportamenti” delle pubbliche amministrazioni, osservando che “nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio, ancorchè viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione”. Ai fini, dunque, della devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative ai comportamenti in questione è sufficiente il collegamento della realizzazione dell’opera fonte di danno con una dichiarazione di pubblica utilità, ancorchè illegittima, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta tale dichiarazione, viceversa valorizzata dalla giurisprudenza anteriore alla richiamata pronuncia della Corte costituzionale – Cass. S.U. 29 maggio 2003 n. 8701, Cass. S.U. 31 ottobre 2007, n. 23018, Cass.S.U. 25/7/2016, n. 15284 -.

8.3 Non si è poi mancato di sottolineare che l’esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità è condizione imprescindibile per ritenere che l’apprensione, l’utilizzazione e l’irreversibile trasformazione del bene in proprietà privata da parte della pubblica amministrazione siano riconducibili a un concreto esercizio del potere autoritativo, quale condizione necessaria per affermare la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a norma dell’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. g), e tale dichiarazione deve esistere al momento dell’apprensione dei beni privati – cfr. Cass. S.U. n. 31028/2019 -. In definitiva, quando si prospetta una condotta illecita correlata allo schema dell’occupazione appropriativa – salvo a farne derivare le conseguenze rivisitate alla luce dei principi espressi da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 735/2015 – la lesione che sta a base dell’azione e che si sostanzia nella trasformazione del bene immobile del privato da parte di soggetto che non è il titolare incide sul diritto (soggettivo) di proprietà ma è il collegamento, indiretto, all’esercizio del potere espropriativo (in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità) a giustificare l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. S.U., 22 aprile 2008 n. 10446).

8.4 Detto orientamento è stato ribadito anche più di recente da queste Sezioni Unite che hanno ritenuto essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133 c.p.a., comma 1, lett. g), le controversie nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti a una dichiarazione di pubblica utilità, ancorchè il procedimento nel cui ambito tali attività sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo o sia caratterizzato da atti illegittimi – Cass., S.U., 29 gennaio 2018, n. 2145 e Cass., S.U., 16 aprile 2018, n. 9334 -.

8.5 Orbene, a tale radicato indirizzo giurisprudenziale si è pienamente conformata la Corte di appello di Palermo, declinando la propria giurisdizione in favore di quella del giudice amministrativo rispetto ad una domanda risarcitoria correlata all’occupazione di un cespite immobiliare operata dall’amministrazione comunale sulla base di una dichiarazione di p.u. legalmente data – Delib. G.M. 8 giugno 1981, n. 341 rinnovata con Delib. G.M. 11 gennaio 1996, n. 1 – v. pag. 4 e 5 sent. Trib. Palermo n. 6586/2008 – ancorchè alla stessa, dopo il compimento dei lavori, non sia seguita l’adozione nei termini fissati del decreto ablatorio.

9. L’esito dei primi due motivi di ricorso principale ed il conseguente giudicato formatosi sul punto della giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alle domande risarcitorie promosse dalla società R. determina l’assorbimento del terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente principale aveva come già ricordato prospettato un conflitto negativo di giurisdizione.

10. Anche il quarto motivo di ricorso, depurato dalle censure che introducendo elementi fattuali non presi in esame dalla Corte di appello ed attinenti al merito – come tali non sindacabili in questa sede anche in relazione alla censura in diritto prospettata dalla società ricorrente – è nel resto destituito di fondamento.

10.1 Ed invero, questa Corte è ferma nel ritenere che per la determinazione del pregiudizio correlato alla perdita di godimento di aree determinato dall’occupazione di un’area da parte della p.a. sulla base di un provvedimento legalmente dato assume valore decisivo la suddivisione tra aree edificabili e aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie) su cui è impostato il sistema previsto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, definito dalla Corte costituzionale non irrazionale nè arbitrario. A tale fine occorre quindi riferirsi ai principi espressi sulla rilevanza delle possibilità legali ed effettive di edificazione, in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica – Cass. n. 16531/2009 -.

10.2 Va aggiunto che le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area – Cass., 7 marzo 2017, n. 5686, Cass., 10 maggio 2017, n. 11445, Cass. n. 14186/2016 -. In definitiva, ove una zona sia stata concretamente destinata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità) la classificazione apporta un vincolo che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, come tali soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia, con la conseguenza che l’area va qualificata come non edificabile, restando irrilevante la circostanza che la destinazione richieda la realizzazione di strutture finalizzate unicamente alla realizzazione dello scopo pubblicistico (cfr. Cass. 28 settembre 2016 n. 19193; Cass. 24 settembre 2016, n. 13172; Cass. 13 gennaio 2010, n. 404, Cass. 7 settembre 2018, n. 21914).

10.3 Questa Corte è poi ferma nel ritenere che per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 15, comma 1, secondo periodo e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, che commisuravano l’indennità al valore agricolo medio, la stima dev’essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, previsto in via generale dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, con la conseguente possibilità di dimostrare che, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, il fondo presenti caratteristiche che ne consentono lo sfruttamento per fini ulteriori e diversi da quello agricolo, e quindi di attribuire allo stesso una valutazione di mercato tale da rispecchiare la possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (cfr. Cass., S.U., 3 luglio 2013, n. 17868; Cass., S.U., 7 maggio 2019 n. 11930; Cass. 19 luglio 2018 n. 19295, Cass. 8.3.2018 n. 5557; Cass., 17 ottobre 2011, n. 21386).

10.4 Orbene, a tale indirizzo si è pienamente uniformato il giudice di appello, in considerazione dell’esistenza di un compendio immobiliare nel quale l’area interessata dall’attività di trasformazione risultava destinata ad attrezzature sportive, campi da gioco e attrezzature varie, in base al Piano regolatore generale approvato dall’Assessore Regionale al Territorio e ambiente con D.A. n. 185 del 10.11.1979 – cfr. pag. 16 sent. Trib. Palermo n. 6586/2008 e pag. 11 sent. Corte di appello Palermo, n. 82/2018 qui impugnata -.

10.5 Ed è appena il caso di evidenziare che siffatta modalità di quantificazione dell’indennità di occupazione legittima, parametrata sul valore “reale” del bene, si sottrae alle critiche pure prospettate dalla società ricorrente a proposito del vulnus al paradigma convenzionale rappresentato dall’art. 1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU.

10.6 Una volta esclusa la natura lato sensu espropriativa dei vincoli pubblicistici conformativi correlati alle previsioni di piano destinate alla zonizzazione di una parte del territorio comunale destinata a parco urbano, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, va parimenti abbandonata l’idea che la sussunzione della superficie nell’ambito delle aree agricole determini la violazione del parametro convenzionale sopra ricordato – cfr. Cass. 16 dicembre 2019 n. 33229 – risultando pienamente coerente con la protezione del diritto dominicale la quantificazione dell’indennizzo parametrata al valore concretamente risultante dallo sfruttamento dell’area secondo le sue caratteristiche intrinseche ed ulteriori rispetto a quelle agricole.

10.7 Ciò, del resto, in sintonia con quanto già chiarito da Corte Cost. n. 181/2011 a proposito della necessità di estendere anche alle aree agricole i principi espressi dalla Corte edu a proposito delle aree edificabili, riferendosi l’art. 1 del primo protocollo della CEDU “…con previsione chiaramente generale ai beni, senza operare distinzioni in ragione della qualitas rei” – cfr. par. 6.4, Corte Cost. n. 181/2011 -.

10.8 Le superiori considerazioni escludono, dunque, in radice il vizio prospettato dalla società ricorrente, mettendo al riparo la liquidazione dell’indennità di occupazione anche dal prospettato vulnus rispetto al parametro convenzionale. La soluzione espressa dalla Corte di appello, infatti, si pone in piena sintonia con quanto chiarito dalla Corte dei diritti umani a proposito della necessità di parametrare il valore della superficie ablata alla situazione concreta del terreno ed alle sue caratteristiche reali – Corte dir. uomo, 17 novembre 2015, Preite c. Italia -.

11. Anche il quinto motivo di ricorso è destituito di fondamento.

11.1 Giova ricordare che la statuizione in punto di compensazione delle spese processuali, tanto in primo che in secondo grado, è stata adottata dalla Corte di appello in ragione del parziale accoglimento della domanda proposta dall’appellante Comune di Trabia quanto alla restituzione delle somme corrisposte in eccedenza alla società R. ed all’accoglimento parziale delle domande proposte dalla società anzidetta in punto di determinazione dell’indennità di occupazione legittima.

11.2 Ora, mette conto rilevare che l’art. 92 c.p.c., comma 2, dispone per quel che qui importa che “Se vi è soccombenza reciproca (…) il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.”. La norma, pertanto, consente al giudice di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite tra le parti in caso di reciproca soccombenza, sicchè anche nell’ipotesi di soccombenza reciproca, il limite di fronte al quale si arresta la discrezionalità del giudice riguardo alla distribuzione dell’onere delle spese di lite – altrimenti non soggetta a sindacato di questa Corte – è rappresentato dall’impossibilità di addossarne, in tutto o in parte, il carico alla parte interamente vittoriosa, poichè ciò si tradurrebbe in un’indebita riduzione delle ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito. Si è infatti ritenuto che in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti – minimi, ove previsti e – massimi fissati dalle tabelle vigenti – cfr. Cass. n. 19613/2017; Cass. n. 26918/2018 -.

11.3 Orbene, nel caso di specie, per le considerazioni sopra esposte non può ritenersi che detto limite sia stato violato, nè tanto meno risulta provata la violazione dell’art. 96 c.p.c. pure reclamata dalla ricorrente principale.

12. Conclusivamente, vanno rigettati il primo, secondo quarto e quinto motivo di ricorso principale, assorbito il terzo, mentre devono essere dichiarati improcedibili il controricorso con ricorso incidentale proposti dal Comune di Trabia.

13. Ricorrono i presupposti, in relazione all’esito del giudizio, per compensare le spese fra le parti.

14. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il primo, secondo, quarto e quinto motivo di ricorso principale, assorbito il terzo.

Dichiara improcedibile il controricorso ed il ricorso incidentale proposti dal Comune di Trabia.

Compensa le spese del giudizio.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis se dovuto.

Così deciso in Roma, dalle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2020

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