Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7452 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. III, 31/03/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (OMISSIS), P.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SOGLIANO

70, presso lo studio dell’avvocato AMETRANO GIUSEPPE, rappresentati e

difesi dall’avvocato BERETTA EMILIO BATTISTA, giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE BERGAMO SPA (OMISSIS), in persona del suo

procuratore avv. B.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI MARIO,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 679/2008 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

Sezione Prima civile, emessa il 28/05/2008, depositata il 23/06/2008;

R.G.N. 1252/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato BERETTA EMILIO BATTISTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso a richiesta della Banca Popolare di Bergamo nei confronti dei ricorrenti P.M. e S., per l’importo del residuo credito vantato dalla Banca nei confronti della S.r.l.

Progresso, essendosi i predetti, unitamente a D.A. costituiti fideiussori solidali della società nei confronti della Banca, con dichiarazione contestuale all’atto pubblico di mutuo. A sostegno dell’opposizione, i P. assumevano che la Banca aveva acconsentito alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a garanzia del credito, così determinando l’estinzione della fideiussione a norma dell’art. 1955 c.c.; mentre la Banca sosteneva che essi avevano accettato di rinunciare alla facoltà di avvalersi di tale eccezione.

Il Tribunale adito respingeva l’opposizione e la Corte di Appello di Brescia, con sentenza depositata il 23.6.2008, respingeva l’appello del P. confermando la correttezza della sentenza di prime cure, affermando che l’atto pubblico in questione si presentava come “non seriale”, ma frutto di trattative ed intese che avevano consentito la conclusione di convergenti accordi ad hoc ed il collegamento negoziale tra di essi era sufficiente ad escludere la predisposizione unilaterale; in aggiunta altra autonoma ragione per escludere l’applicabilità dell’art. 1341 c.c. era rappresentata dalla circostanza che non è necessaria l’approvazione scritta delle clausole inserite in un atto pubblico; inoltre la clausola di rinuncia all’eccezione di estinzione della garanzia non poteva considerarsi “vessatoria”, mancando il requisito “oggettivo”, essendo essa stata oggetto di trattativa individuale (dato il contesto negoziale innanzi riassunto), nonchè – come rilevato anche in primo grado – quello soggettivo, dato che la qualità del debitore principale attraeva quella del fideiussore al fine d’individuare se ricorresse la figura del “consumatore”.

Propongono ricorso per cassazione i P. con nove motivi; la banca resiste con controricorso, deducendone l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza.

I ricorrenti formulano a conclusione del motivi i quesiti di seguito riportati:

I. relativo a “Error in iudicando – violazione art. 1955 c.c.” – “se si possano ritenere sussistenti gli effetti della fideiussione nel caso in cui, per fatto del creditore, non possa aver effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti di garanzia del creditore stesso, qualora non risulti una dichiarazione di rinuncia espressa contestualmente o successivamente alla conclusione del contratto fideiussorio”;

2. error in iudicando – violazione artt. 1341 e 1955 c.c.: “se la clausola che implichi la rinuncia all’inefficacia della fideiussione nel caso di mancato trasferimento in capo al garante dei diritti spettanti al creditore principale per fatto di questi, abbia natura vessatoria e se debba, quindi, essere specificamente approvata per iscritto” Si badi che il quesito non specifica che la clausola è inserita in un atto pubblico;

3. error in iudicando – violazione artt. 1341 e 1955 c.c., nonchè travisamento dei fatti art. 360 c.p.c., n. 5: “l’elemento di fatto controverso relativo alla sottoscrizione espressa della rinuncia da parte dei fideiussori alla tutela codicistica inficia la motivazione rendendola inidonea a sorreggere la decisione” Come è evidente,nel quesito non viene indicato il contesto negoziale;

4. errore di giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, in riferimento agli artt. 1955 e 1469 bis c.c.: “se la contratto di fideiussione concluso tra professionista e consumatore, in collegamento ad un precedente mutuo (si badi che si tratta, invece, di atto pubblico contestuale, come emerge dalla trattazione del motivo), concluso tra professionisti, ed a garanzia dell’adempimento del mutuatario, preservi la propria autonomia giuridica e si debba configurare, indipendentemente dal collegamento con altro contratto, come contratto a cui deve essere applicata la disciplina a tutela del consumatore”.

5. Viene rubricato errore di giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento agli artt. 1469 bis, 1469 sexies c.c. ed L. n. 52 del 1966, art. 25. La Corte d’Appello avrebbe contraddittoriamente affermato la mancata lettura degli allegati predisposti dalla Banca e l’asserita certa conoscenza degli stessi da parte dei ricorrenti.

6. Viene rubricato errore di giudizio, per violazione dell’art. 1469 bis, art. 1469 sexies c.c. ed L. n. 52 del 1966, art. 25 e si assume che la sentenza sarebbe contraddittoria perchè le ragioni della tutela starebbero proprio nella diversità della qualificazione tra i contraenti dei quali alcuni in posizione di forza ed altri in una situazione di soggezione;

7: Viene rubricato “Errore di giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5 “, concludendo che la violazione dei principi che rappresentano la ratio legis della tutela del consumatore inficia la sentenza e non la rende idonea a decidere correttamente la controversia.

8: ripropone omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull’asserita conoscenza da parte dei contraenti delle clausole, comprendenti tra l’altro limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, contenute in documenti di cui il notaio non ha dato lettura.

9. Travisamento dei fatti ed erronea rappresentazione dei presupposti fattuali della controversia con riferimento alla dichiarazione del pubblico ufficiale che nega di aver dato lettura, sicchè il rigetto dell’opposizione non avrebbe potuto fondarsi sulla piena conoscenza da parte dei fideiussori di documenti definiti in ricorso “tuttora misteriosi anche a noi” disciplinanti le condizioni del rapporto fideiussorio.

I motivi si rivelano tutti inammissibili per inidoneità dei quesiti formulati alla fine del primo, secondo, terzo e quarto motivo (nei quali non si da assolutamente conto sia pur sinteticamente della fattispecie e, in particolare, del contesto negoziale, con conseguente non conferenza dei quesiti alle questioni controverse), per mancanza del quesito nel sesto motivo, per mancanza del richiesto “momento di sintesi nei motivi quinto, settimo ed ottavo, tutti deducenti asseriti vizi motivazionali e per l’assoluta genericità e mancanza di autosufficienza del nono motivo. Il ricorso difetta anche della cd. autosufficienza “documentale”, nel senso che si discute del tenore letterale dell’atto pubblico e del suo allegato B, ma tali documenti su cui il ricorso si basa non sono stati allegati allo stesso, oltre che non è stato dedotto se, quando ed in quali termini le relative questioni siano state proposte nei precedenti gradi.

I quesiti, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769;

26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine dei primi quattro motivi proposti nel presente ricorso, dato che non contengono alcun riferimento in fatto, nè espongono le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esauriscono in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame – e, soprattutto, al contesto negoziale:

atto pubblico contenente i collegati negozi di mutuo e di fideiussione -, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso effettivamente sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).

Quanto ai motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, essi devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione).

Orbene, nel caso con riferimento al quinto, al settimo ed all’ottavo motivo, con i quali vengono denunziati vizi di motivazione, il ricorrente non ha formulato i sopra riportati momenti di sintesi.

Difetta, pertanto, la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata.

I motivi si rivelano pertanto privi dei requisiti richiesti a pena di inammissibilità dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6.200= di cui Euro 6.000= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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