Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 745 del 14/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 745 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso 20310-2011 proposto da:
BON UGLIA BRUNO BNGBRN35D11 H 501 M, elettivamente
dorniciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. MASSA GIUNTO, giusta procura
speciale in calce al ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 14/01/2013

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

controricorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 240/2010 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/10/2012

dal

Consigliere

Relatore

Dott.

ANDREA

SCALDAFERRI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Aldo Niccolini (per delega avv.
Giunio Massa) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LUCIO
CAPASSO che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo del
ricorso, assorbito il resto.

In fatto e in diritto
Rilevato che Bruno Bonuglia ricorre per cassazione nei confronti del
decreto della Corte d’appello di Genova, in epigrafe indicato, che,
liquidando euro 6.000,00 per anni sei di ritardo, ha accolto
parzialmente la domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per
violazione dei termini di ragionevole durata del procedimento relativo
al fallimento della Capital Italia s.r.l. svoltosi avanti al Tribunale di
Lucca e nell’ambito del quale erano decorsi circa diciotto anni dalla
data della presentazione della domanda di ammissione al passivo;
che il Ministero della giustizia resiste con controricorso;
che in prossimità dell’udienza la parte ricorrente ha depositato
memoria illustrativa.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione
semplificata;
Ric. 2011 n. 20310 sez. M1 ud. 18-10-2012
-2-

D’APPELLO di GENOVA del 3.12.2010, depositato il 20/01/2011;

Ritenuto che con i primi sei motivi si censura il decreto impugnato,
sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione,
nella parte in cui ha ritenuto ragionevole una durata della procedura de

qua di dodici anni;
che la censura è fondata, nei limiti di seguito precisati;

tenendo conto della sua peculiarità, il termine è stato ritenuto elevabile
fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti
particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisabile in
presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di
proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e
quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso), di
pluralità di procedure concorsuali indipendenti;
che, sebbene la procedura in questione —come già riconosciuto da
questa Corte in fattispecie identica (Sez. I, 14 novembre 2011, n.
23831)— si presenti senz’altro di particolare complessità, non è
conforme al richiamato principio il decreto impugnato che ha ritenuto
di poter individuare un termine di durata ragionevole superiore ai setti
anni;
che raccoglimento degli esaminati motivi e la necessità di
rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’ammontare
dell’indennizzo e di regolare le spese, comporta l’assorbimento degli
ulteriori motivi;
che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;
che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può
essere decisa nel merito;
che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, n.
21840/09; n.22869/09; n.1893/2010; 19054/2010), a mente della
Ric, 2011 n. 20310 sez. M1 ud. 18-10-2012
-3-

che, in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e

quale l’importo dell’indennizzo può essere di curo 750 per anno per i
primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in
considerazione del limitato paterna d’animo che consegue all’iniziale
modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere
richiamato il parametro di curo 1.000 per ciascun anno di ritardo;

pagamento in favore del ricorrente di curo 10.250,00 a titolo di equo
indennizzo per il periodo di undici anni di irragionevole durata, quale
risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni diciotto quella, da
ritenersi ragionevole, di anni sette;
che su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della
domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa
Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;
che le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, tenuto conto, per il giudizio di legittimità, di
quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione dell’art.9 comma
2 D.L. n.1/2012 conv. in Legge n.271/2012 (cfr.S.U.n.17406/12), in
particolare dei parametri indicati dalla Tabella A- Avvocati per lo
scaglione di riferimento, dei criteri di valutazione previsti dall’art.4 e
della riduzione prevista dall’art.9 del Decreto citato.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in
favore del ricorrente della somma di 10.250,00 oltre interessi legali su
detta somma dalla domanda; condanna inoltre il Ministero al rimborso
in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, in
complessivi € 1.140 -di cui curo 490 per onorari ed curo 600 per dirittioltre spese generali ed accessori di legge, e delle spese di questo

Ric. 2011 n. 20310 sez. M1 – ud. 18-10-2012
-4-

che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al

giudizio di legittimità, in C 506,25 per compenso e in C 100,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione 6/1 della
Corte di Cassazione, il 18 ottobre 2012

L’estensore

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