Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7447 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/03/2017, (ud. 11/01/2017, dep.23/03/2017),  n. 7447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19685-2015 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE TRIBULATO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, ente pubblico non economico, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente, elettivamente domiciliato

in ROMA, LARGO BOCCEA 34, presso lo studio dell’avvocato ANNA RITA

FERA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO MATAFU’ giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 525/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

emessa il 16/04/2015 e depositata il 04/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GHINOY

PAOLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’ appello di Palermo accolse il gravame proposto dal Consorzio autostrade siciliane e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese che, in esito all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato dal Consorzio Autostrade Siciliane con M.R. in data 3.10.2002, aveva condannato il primo al risarcimento del danno liquidato in 23 mensilità di retribuzione riconoscendo n. 15 mensilità volte a remunerare la mancata conversione della L. n. 300 del 1970, ex art. 18 comma 5, art. 18 e la L. n. 183 del 2010, ex art. 32, n. 8 mensilità, commi 5 e 7 – rigettò la domanda risarcitoria della lavoratrice. Allo scopo argomentò che non era stato nè allegato nè provato il danno subito, essendosi la ricorrente limitata ad invocare la tutela risarcitoria quale misura alternativa all’impossibilità di convertire il contratto cui era stato illegittimamente apposto il termine in considerazione della natura di ente pubblico non economico del datore di lavoro.

2. Per la cassazione della sentenza M.R. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso il Consorzio Autostrade Siciliane, che ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. La sentenza della Corte territoriale, che non ha riconosciuto a titolo risarcitorio nè il valore economico della mancata reintegrazione nè l’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, è criticata da M.R. con due motivi: con il primo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c., art. 2043 c.c., art. 2697 c.c., artt. 2727, 2728 e 2729 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, la L. n. 183 del 2010, art. 32, art. 1226 c.c., oltre che l’omesso esame di fatti decisivi ed oggetto di discussione tra le parti; come secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dell’art. 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 28.6.1999 n. 1999/70/CE.

2. Il Collegio ritiene il ricorso manifestamente infondato.

Va premesso che le Sezioni Unite questa Corte, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno avuto modo di chiarire che nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari (Cass. S.U. 15/03/2016 n. 5072). Piuttosto, considerato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori (cfr. ancora Cass. S.U. n. 5072 del 2016, in motivazione).

3. Nel caso, tuttavia, la Corte d’appello ha espressamente rilevato a pg. 2 della motivazione, con affermazione che non è stata censurata in questa sede, che il thema decidendum devoluto al giudizio di gravame era esclusivamente il contratto di lavoro a termine stipulato in data 3.10.2002, oggetto della declaratoria di nullità del Tribunale, che la Corte ha confermato in considerazione del rilevato difetto di forma. Era pertanto con esclusivo riferimento al contratto a termine ritenuto illegittimo, costituente il tema di indagine ancora aperto, che andava determinato il risarcimento dei danni.

4. Non potendosi valorizzare, per la preclusione processuale maturata, altri contratti intervenuti tra le parti, non si verteva nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a tettnine che configura violazione del diritto dell’Unione (ai sensi della clausola 1 lett. b) e della clausola 5 dell’Accordo quadro sui contratti a tempo determinato attuato con la Direttiva 1999/70/CE) per la quale opera – come statuito dalle richiamate S.U. 5072/16 – in funzione di agevolazione dell’onere probatorio del danno subito dal dipendente pubblico assunto reiteratamente a termine – il risarcimento di cui della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario” (in tal senso, per la differenza tra le due ipotesi, v. Cass. 02/12/2016 n. 24666, Cass. 17/11/2016 n. 23433). Correttamente quindi la Corte territoriale ha fatto riferimento ai principi di diritto comune in tema di responsabilità da inadempimento (v. in tal senso Cass. 09/07/2014 n. 15714).

5. Nè la motivazione della Corte territoriale è stata specificamente attinta nella parte in cui ha argomentato che nel caso non erano state formulate deduzioni relative al danno concretamente ed effettivamente subito e come tale risarcibile (ribadito che esso, secondo l’insegnamento delle S.U. 5072/16, cit., non può essere parametrato al rapporto di lavoro perduto, in assenza della possibilità di conversione).

6. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

7. Sussistono i presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo unificato dovuto per tale ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad e 100,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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