Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7444 del 18/03/2020

Cassazione civile sez. I, 18/03/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 18/03/2020), n.7444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4266/2019 proposto da:

H.S., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Carmela Grillo in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 794/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 H.S., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), nell'(OMISSIS), a nord di (OMISSIS), al confine con l'(OMISSIS) e di far parte del partito impegnato a lottare per la libertà e i diritti del (OMISSIS); che vi era in corso una indagine nei suoi confronti; che durante una manifestazione del 22/10/2012 per i martiri del (OMISSIS) si erano scatenati disordini e lui era stato ingiustamente denunciato alla polizia; di essersi dato alla fuga in preda al panico.

Il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal H. è stato rigettato dalla Corte di appello di Perugia, a spese compensate, con sentenza del 16/11/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso H.S., con atto notificato il 25/1/2019, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita in giudizio con controricorso notificato il 12/3/2019 chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

1.1. Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato era del tutto carente di motivazione circa il diniego della protezione internazionale; il ricorrente proveniva da una zona vicinissima al confine con l'(OMISSIS) che si caratterizzava come area di guerra con costante situazione di conflitto armato.

Inoltre il ricorrente faceva attivamente parte del partito per la libertà e i diritti del (OMISSIS) e aveva depositato svariata documentazione a conforto delle sue dichiarazioni (tessera e certificato del partito, attestato del suo difensore circa una indagine in corso nei suoi confronti).

1.2. Quanto alla vicenda personale, la sentenza della Corte di appello perugina, pur nella sua spiccata stringatezza, dà conto della ragione del rigetto della protezione internazionale, recependo (pag.3, primo paragrafo e successivo capoverso) la motivazione della decisione di primo grado, essenzialmente basata sulla legittimità del procedimento penale a cui H.S. era stato sottoposto in patria, alla luce delle sue stesse dichiarazioni con cui egli aveva ammesso di aver effettivamente provocato, unitamente ad altre due persone, gravi disordini e danneggiamenti, con morti.

Aggiunge la Corte di appello che il partito (OMISSIS) era ancora normalmente attivo in patria, sottintendendo così l’assenza di una persecuzione politica e riconducendo il processo a carico del ricorrente ai reati da lui commessi.

1.3. Quanto alla situazione generale della zona di provenienza, il ricorrente assume che l'(OMISSIS) a nord di (OMISSIS) sarebbe zona di guerra caratterizzata da costante conflitto armato, senza dar conto di come e quando egli avrebbe dedotto tale circostanza nel processo, cosa questa che non risulta affatto dal provvedimento impugnato e che il ricorrente sarebbe stato tenuto a precisare.

Il ricorrente si riferisce poi del tutto genericamente a “cronaca giornalistica” reperibile su alcuni siti ((OMISSIS)), senza dar conto di come e quando tali documenti sarebbero stati versati in atti e del luogo di possibile reperimento nelle carte processuali, al pari della cartina allegata al ricorso, di cui non afferma la preventiva indispensabile sottoposizione al contraddittorio nel giudizio di merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

2.1. In presenza di una situazione di rischio di esposizione a violenza generalizzata derivante dalla guerra in atto nella regione di confine fra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dal conflitto fra le due potenze per il controllo della regione del (OMISSIS) non sarebbe stata necessaria la rappresentazione di una personale e diretta esposizione a pericolo.

2.2. Anche a questo proposito l’inammissibilità della censura scaturisce dal fatto che il ricorrente non riferisce di come e quando egli avrebbe dedotto la circostanza del conflitto armato nel processo, cosa questa che non risulta affatto dal provvedimento impugnato e che il ricorrente sarebbe stato tenuto a precisare.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame circa la domanda di protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

3.1. Il ricorrente reclama attenzione sia alla costante situazione della violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza sia all’integrazione coinvolgente il ricorrente che da tempo aveva ottenuto un posto di lavoro a tempo indeterminato.

3.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto D.L..

Inoltre la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez.1, 23/02/2018, n. 4455).

3.3. Il ricorrente invoca in modo del tutto generico le condizioni di vita in (OMISSIS) senza alcun riferimento individualizzante alla propria condizione di vulnerabilità soggettiva e personale e, con emblematica genericità, chiede attenzione all’aspetto dell’integrazione che lo ha visto coinvolto, non meglio specificata nei suoi stessi contenuti, prima ancora che nelle sue fonti di prova.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali liquidate in Euro 2.100,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2020

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