Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7443 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 05/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BONGIORNO ANTONIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA CRISTO RE S.P.A., in persona dell’amministratore unico,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 6, presso lo studio

dell’avvocato LEPORE GAETANO, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARTELLI CORRADO, giusta procura speciale a margine del controricorso

e ricorso incidentale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 191/2008 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, del

12/2/08, depositata il 29/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI MAMMONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. RIOCARDO FUZIO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

Con ricorso al giudice del lavoro di Messina depositato il 4.7.03 B.A.C. impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogatogli in data (OMISSIS) dalla Casa di Cura Cristo Re e chiedeva la corresponsione di differenze retributive.

Rigettata la domanda, il predetto proponeva appello contestando la prima pronunzia, per la quale la domanda era coperta da giudicato formatosi in controversia circa la legittimità del recesso già promossa in precedenza dallo stesso ricorrente.

La Corte d’appello di Messina con sentenza 12.2-29.4.08 rigettava l’impugnazione dato che l’oggetto del giudizio (declaratoria di illegittimità del licenziamento) era del tutto sovrapponibile a quello di altro giudizio promosso il 2.8.97 e conclusosi con sentenza del Pretore passata in giudicato; in quell’occasione il B. aveva contestato il calcolo del periodo di comporto, mentre nel secondo giudizio aveva ritenuto erroneamente inseriti i giorni di assenza causati dallo svolgimento di mansioni usuranti indebitamente attribuite.

Rilevato che l’appellante aveva tardivamente tentato di mutare domanda in corso di causa chiedendo al datore il risarcimento del danno per violazione dell’art. 2087 c.c., la Corte considerava che comunque sul punto dell’indebita destinazione a mansioni non dovute il primo giudice si era pronunziato correttamente rigettando la domanda per mancanza di prova sulle circostanze di fatto dedotte.

Altrettanto corretta riteneva, infine, la reiezione della richiesta di differenze retributive, essendo il credito prescritto.

Proponeva ricorso per Cassazione il B. con due motivi: 1) violazione della L. 12 aprile 1968, n. 482, art. 20, e degli artt. 2087 e 2110 c.c., con il quesito: se può ritenersi violata la L. n. 482 del 1968, laddove l’invalido lavoratore venga destinato a mansioni diverse e vietate e, in particolare, se lo stesso abbia diritto all’indennizzo/risarcimento danni con ogni altro connesso diritto; 2) violazione dell’art. 324 c.p.c., con il quesito: se, in relazione a petitum e causa petenti diversi nei presupposti e nelle condizioni di legge e di fatto, possa ritenersi legittimamente valutata la copertura della giudicato – costituitosi sulla prima radicalmente diversa domanda di esubero dei giorni di malattia – sulla nuova domanda di illegittimità del licenziamento per destinazione del lavoratore invalido a mansioni diverse e vietate dalla legge.

Rispondeva con controricorso la Casa di cura Cristo Re s.p.a..

Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale ed è stata notificata ai difensori costituiti.

Preliminarmente deve rilevarsi che la società controricorrente ha intestato il suo atto difensivo quale “controricorso … con ricorso incidentale”. Nella realtà l’atto in questione non reca alcuna richiesta di carattere impugnatorio, limitandosi esclusivamente a dedurre l’inammissibilità del ricorso di controparte ed a richiederne il rigetto. La predetta qualificazione data all’atto difensivo, pertanto, deve essere considerata una mera improprietà.

Tanto premesso, va rilevata l’infondatezza del ricorso.

Il ricorso nel suo complesso non coglie il decisum del giudice di merito in quanto non contesta validamente la affermazione che la domanda era già coperta dal precedente giudicato; non precisa quale fosse la domanda originariamente proposta e non pone la stessa a confronto con quella proposta nel secondo giudizio, non fornendo quindi supporto alla contestazione.

Soprattutto nel secondo motivo non è svolta una discussione di diritto circa la pretesa erroneità dell’affermazione della non riproponibilità della domanda e gli effetti del giudicato.

Analogamente, quanto al primo motivo, l’impugnazione rivolge alla parte (invero del tutto marginale) della sentenza che affronta il merito della questione, una contestazione eccentrica, in quanto discute l’aspetto della corretta applicazione della L. n. 482 del 1968, senza contestare l’assunto di fondo adottato dal giudice, e cioè che una prova esauriente circa le circostanze di fatto non è fornita.

Il ricorso è, dunque, infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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