Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7440 del 26/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 26/03/2018, (ud. 21/02/2018, dep.26/03/2018),  n. 7440

Fatto

che con sentenza in data 2 agosto 2012 la Corte d’appello di Roma respinge l’appello proposto dal dott. N.S. avverso la sentenza n. 3298/2008 del Tribunale di Velletri, di rigetto della domanda del N. volta ad ottenere, nei confronti della AUSL Roma (OMISSIS), il riconoscimento del diritto all’inclusione nel calcolo dell’anzianità di servizio – ai fini dell’indennità di esclusività, dell’indennità di posizione e di ogni altro istituto collegato a tale elemento – del servizio prestato in qualità di dirigente medico del SSN in virtù di rapporti di lavoro a tempo determinato svoltisi prima dell’assunzione a tempo indeterminato;

che la Corte territoriale precisa quanto segue:

a) è pacifico che prima dell’assunzione a tempo indeterminato – avvenuta a decorrere dal 21 agosto 2001 – il N. abbia prestato servizio presso la AUSL Roma (OMISSIS) P.O. di (OMISSIS) mediante una serie di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, nel periodo compreso tra il 24 aprile 1997 è la suddetta assunzione;

b) l’interessato con il ricorso introduttivo ha chiesto che tutto il suindicato periodo di lavoro a termine fosse valutato, ai fini dell’indennità di esclusività ai sensi degli artt. 5 e 12, comma 3, del CCNL Dirigenti medici e veterinari;

c) in base all’art. 12, comma 3, del CCNL dell’Area relativa alla Dirigenza medica e veterinaria 1998-2001, ai fini dell’attribuzione della suddetta indennità (disciplinata dall’art. 5 dello stesso contratto) l’anzianità complessiva, “con rapporto di lavoro a tempo determinato ed indeterminato”, alle date previste dalla norma deve essere stata maturata “senza soluzione di continuità anche in aziende ed enti diversi del comparto”;

d) nella specie prima dell’assunzione a tempo indeterminato vi sono state, tra un contratto a termine e l’altro, interruzioni – anche se brevissime – nelle prestazioni sicchè il suddetto requisito si deve considerare mancante, in quanto anche se i servizi sono stati prestati sempre in regime di subordinazione alle dipendenze del SSN tuttavia l’espressione “senza soluzione di continuità” non lascia adito a dubbi in merito alla sua assolutezza;

e) tale interpretazione è conforme alla ragione giustificatrice dell’indennità di esclusività che presuppone che l’attività dirigenziale espletata in forma esclusiva sia stata ininterrotta, il che non si è verificato nella specie a causa della presenza delle suindicate interruzioni, senza che possano assumere rilievo in contrario nè la circostanza che il N. negli intervalli non lavorati si sia sempre tenuto a disposizione del datore di lavoro nè l’eventuale illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti stipulati, visto che tale ultima evenienza non potrebbe mai comportare la conversione del rapporto di lavoro;

che avverso tale sentenza il dott. N.S. propone ricorso affidato a dieci motivi, al quale oppone difese l’AUSL Roma (OMISSIS) con controricorso;

che entrambe parti depositano anche memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che, preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità proposte dalla AUSL controricorrente, in quanto:

1) non viene in considerazione l’art. 360-bis c.p.c., n. 1, perchè la questione di cui si discute nel presente giudizio non è mai stata espressamente esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte, che si è sempre (anche nella sentenza n. 17661 del 2009, citata nel controricorso) occupata – escludendola – della computabilità nell’anzianità di servizio dei dirigenti medici ai fini dell’indennità di esclusività di periodi di servizio svolti in rapporto di convenzione ovvero alle dipendenze di privati, elementi pacificamente estranei alla presente controversia in cui il N. ha sempre e solo svolto la propria attività lavorativa alle dipendenze del SSN, come risulta anche dalla sentenza impugnata;

2) neppure sono rinvenibili violazioni del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione (c.d. autosufficienza);

3) neanche si riscontra la formazione di alcun giudicato interno con riguado all’attribuzione dell’indennità di posizione, visto che nella parte in fatto della sentenza impugnata la Corte d’appello ne ha dato conto, così mostrando di esserne stata investita, pur non avendola più menzionata nella motivazione in diritto;

che il ricorso è articolato in dieci motivi;

che con il primo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 112,342 e 437 c.p.c.; omessa pronuncia con riguardo alla lamentata violazione del principio di non discriminazione del lavoratore a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato, sottolineandosi che fin dal ricorso introduttivo del giudizio il N. aveva evidenziato come l’applicazione abusiva dei contratti a termine verificatasi nella specie non avrebbe potuto dare luogo all’ulteriore abuso rappresentato dalla suindicata discriminazione, in contrasto con il d.lgs. n. 368 del 2001 attuativo della direttiva 1999/70 CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 26 ottobre 2006, causa C-371/04;

che, in tale decisione, la CGUE ha affermato il principio secondo cui: il nostro Stato è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, per non avere tenuto conto ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio di lavoratore – nel caso deciso dalla CGUE: comunitario – impiegato nel settore pubblico italiano dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso una Pubblica Amministrazione di un altro Stato membro;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione: 1) degli artt. 3,35,36 e 117 Cost.; 2) della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e dell’allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, secondo cui il legislatore interno non può adottare misure volte a discriminare i lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato; 3) dell’art. 139, n. 2, TCE; del D.Lgs. n. 368 del 2001; del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2,; 4) delle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11;

che si precisa che, quand’anche si ritenesse che la Corte d’appello abbia implicitamente affermato la compatibilità con il diritto UE citato delle norme di CCNL che vengono in considerazione come interpretate nella sentenza qui impugnata, comunque una simile – meramente ipotetica – decisione implicita si porrebbe in contrasto con le norme su richiamate, essendo basata sull’erronea premessa di ritenere che l’espressione “senza soluzione di continuità” riferita ai contratti a termine debba essere intesa nel senso che non debbano esserci intervalli – neppure minimi tra un contratto a termine e l’altro, il che equivarrebbe ad affermare paradossalmente che l’anzianità di servizio maturata in forza di contratti di lavoro a tempo determinato potrebbe essere considerata utile – ai fini del requisito della “esperienza professionale”, richiesto per l’indennità di esclusività e gli altri istituti in contestazione, ai sensi dell’art. 12 del CCNL, Area dirigenza medica e veterinaria, 1998-2001 (Parte economica 2^ biennio 2000-2001) – soltanto in caso di contratti a termine radicalmente illegittimi, in quanto conclusi in contrasto con l’art. 16, commi 7 e ss., del CCNL del Comparto, 1994-1997, che sanziona con la nullità i contratti a termine stipulati in successione con elusione delle disposizioni di legge o del contratto stesso che prevedono che debbano esservi degli intervalli tra un contratto e l’altro;

che si aggiunge che una simile interpretazione si pone in patente contrasto con la citata giurisprudenza della CGUE per la quale l’unico elemento rilevante per l’inclusione del servizio pre-ruolo nell’anzianità di servizio dei dipendenti pubblici è rappresentato dall’analogia delle mansioni svolte nel periodo pre-ruolo con quelle che si è chiamati a svolgere dopo l’immissione in ruolo, in base al punto 1 della clausola 4 del citato Accordo quadro, mentre è considerato di per sè ininfluente che i suddetti periodi di servizio siano stati svolti in base a contratti a termine, in quanto diversamente si perpetuerebbe una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato;

che, tanto meno, può darsi rilievo ai suddetti fini – nel senso di escluderne il computo nell’anzianità di servizio – la circostanza che vi sia o meno una limitata soluzione di continuità tra un contratto a termine e l’altro;

che alla medesima conclusione portano sia il D.Lgs. n. 368 del 2001 sia il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45;

che con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 12 del CCNL, 1998-2001; dell’art. 16 del CCNL, 1994-1997; della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2; degli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c.; dell’art. 12 Preleggi, rilevandosi che la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulla sola base della contestata interpretazione dell’art. 12 del CCNL, 1998-2001 senza considerare tutte le altre norme che disciplinano i contratti a termine, oltretutto configurando la tesi difensiva del ricorrente come diretta a propugnare una “interpretazione sostanziale” della norma, mentre la tesi sostenuta dal N. era – ed è – quella di intendere il concetto di “continuità di servizio” riferito ai contratti a termine nel quadro delle norme che disciplinano tali contratti le quali, a partire dal citato art. 16 del CCNL del 1994-1997, vietano in radice la stipulazione di un successivo contratto a termine se non vi sia un intervallo di tempo rispetto a quello precedente;

che, pertanto, la soluzione della Corte d’appello si pone altresì in contrasto con gli artt. 1362 e 1363 c.c. perchè finisce col rendere inapplicabile l’art. 12 del CCNL, 1998-2001 laddove le Parti sociali hanno inteso premiare con l’indennità di esclusività coloro che abbiano prestato servizio soltanto alle dipendenza del SSN sia per effetto di un rapporto a tempo indeterminato sia per effetto di una successione di contratti a tempo determinato;

che con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione circa il punto decisivo della “soluzione di continuità” e, in particolare, laddove la “continuità di servizio” è stata intesa dalla Corte territoriale come “continuità assoluta” e quindi come servizio svolto in assenza di “interruzioni anche brevi”, senza considerare neppure che nella specie l’interruzione è stata una sola e precisamente quella tra il penultimo e l’ultimo contratto, che pur risultando pari di fatto a trenta giorni è stata solo apparente, visto la delibera relativa alla stipulazione dell’ultimo contratto è stata adottata per la copertura del medesimo posto sempre assegnato al N. quando era in corso il penultimo contratto e nel periodo intermedio il N. è pacificamente rimasto a disposizione del SSN;

che con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e violazione del principio di non contestazione, per la mancata considerazione dell’assenza di specifica contestazione da parte della AUSL della circostanza, ritualmente dedotta, secondo cui le ferie non godute del penultimo contratto sono state “trasferite” sull’ultimo contratto così dimostrando l’unicità del rapporto instaurato nei due contratti, sia pure a termine e quindi l’insussistenza della “soluzione di continuità”;

che con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa il punto decisivo rappresentato dalla sequenza e dalla successione-proroga dei diversi contratti a termine stipulati sempre per lo stesso posto di lavoro, i quali, infatti, hanno avuto tutti – tranne l’ultimo, di cui si è detto sopra – decorrenza dal giorno immediatamente successivo alla scadenza del contratto precedente o addirittura ancor prima di tale scadenza, il che se costituisce violazione dell’intervallo minimo che deve intercorrere tra un contratto e l’altro dimostra, altresì, in modo evidente, la sussistenza di un unico rapporto e l’assenza di “soluzione di continuità”;

che con il settimo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: a) violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2; degli artt. 1363,1367 e 1418 c.c.; del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2-bis, e art. 40, comma 2; dell’art. 12 Preleggi; dell’art. 16 del CCNL, 1994-1997; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla commessa violazione da parte dell’Amministrazione sanitaria – prima AUSL Roma (OMISSIS) e poi AUSL Roma (OMISSIS) – della L. n. 230 del 1962, richiamata dall’art. 16 del CCNL 1994-1997, per aver stipulato ben otto contratti a termine consecutivi per la copertura del medesimo posto e per non aver esaminato la rituale domanda di dichiarazione di incidentale di nullità dell’art. 12 del CCNL 1998-2001 se interpretato nel senso sostenuto dalla Corte d’appello in quanto tale disposizione in tal modo attribuirebbe validità ai fini dell’anzianità di servizio soltanto ai rapporti nascenti da contratti a termine illegittimi perchè consecutivi;

che con il ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del CCNL, 1998-2001; dell’art. 16 del CCNL, 1994-1997; della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2; dell’art. 2126 c.c., contestandosi il punto della sentenza impugnata nel quale la Corte territoriale ha affermato, in conformità con la sentenza di primo grado, che l’eventuale illegittimità dell’apposizione del termine avrebbe potuto avere come unico effetto quello dell’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. “non anche la conversione”, senza considerare che il N. assunto a tempo indeterminato dopo il superamento di un pubblico concorso, non ha mai chiesto la conversione, ma ha soltanto domandato che gli anni di servizio prestati in base ad una serie di contratti a termine reiterati, antecedenti l’immissione in ruolo, tutti relativi alla copertura dello stesso posto fossero computati nell’anzianità di servizio secondo quanto previsto dall’art. 12 del CCNL, 1998-2001, aggiungendo che, ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, e dell’art. 16 del CCNL, 1994-1997, è del tutto irrilevante ai fini della configurazione di un unico rapporto ininterrotto il “fraudolento differimento della decorrenza dell’ultimo contratto”;

che, infatti, il N., senza minimamente contestare la non convertibilità del rapporto nell’ambito del lavoro pubblico, ha chiesto al Giudice di appello di affermare comunque la sussistenza di un unico rapporto a tempo determinato pre-ruolo onde poterlo agganciare a quello in ruolo, ai fini che qui interessano (indennità di esclusività etc.);

che con il nono motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 5, del CCNL per i Medici convenzionati con il SSN; del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63; dell’art. 98 Cost.; del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60; della L. n. 421 del 1991, art. 4, comma 7; del D.P.R. n. 348 del 1978, artt. 78, 116, 117; dei principi elaborati dalla Corte di cassazione in relazione alla figura dei medici convenzionati, diversa da quella dei medici dipendenti dal SSN, sottolineandosi che nella sentenza impugnata sono state citate, a sostegno della decisione, alcune sentenze della Corte di cassazione del tutto inconferenti perchè in esse si è risolta, in senso negativo per gli interessati, la questione della valutabilità ai fini dell’indennità di esclusività, del servizio – anche ininterrotto – prestato dai medici convenzionati;

che con il decimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175,1366 e 1375 c.c., sostenendosi che la contestata interpretazione della espressione “continuità lavorativa” adottata dalla Corte d’appello si pone in contrasto anche con i suddetti fondamentali principi, in quanto con essa si consente al datore di lavoro di porre arbitrariamente un intervallo di tempo, anche minimo, tra un contratto a termine e l’altro così impedendo al dipendente di maturare l’anzianità di servizio necessaria per ottenere l’indennità di esclusività;

che ritiene il Collegio che i dieci motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – meritino accoglimento, per le ragioni di seguito esposte;

che, per una migliore comprensione della decisione, deve essere, in primo luogo, precisato che l’attuale ricorrente – dopo la sua assunzione a tempo indeterminato (a decorrere dal 21 agosto 2001) quale Dirigente Medico di primo livello, area funzionale di Chirurgia, disciplina di Chirurgia generale, alle dipendenze del SSN, avvenuta in seguito al superamento di un regolare concorso – ha instaurato il presente giudizio domandando che – ai fini dell’indennità di esclusività, dell’indennità di posizione e di ogni altro istituto collegato all’elemento dell’anzianità di servizio – gli anni di servizio prestati alle dipendenze del SSN, a decorrere dal 24 aprile 1997 fino alla suddetta assunzione, in base ad una serie di otto contratti a termine reiterati, antecedenti l’immissione in ruolo tutti relativi alla copertura dello stesso posto – fossero computati nell’anzianità di servizio secondo quanto previsto dall’art. 12 del CCNL, 1998-2001, aggiungendo che, ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, e dell’art. 16 del CCNL, 1994-1997, doveva considerarsi del tutto irrilevante ai fini della configurazione di un unico rapporto ininterrotto a tempo determinato il differimento della decorrenza dell’ultimo contratto deciso dell’Amministrazione, visto che la stipulazione di tale contratto era avvenuta mentre era in esecuzione il penultimo contratto e con trasferimento delle ferie maturate sull’ultimo (il che dimostrava la perdurante unicità del rapporto a tempo determinato);

che la Corte d’appello, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda sul principale assunto secondo cui il combinato disposto degli artt. 5 e 12 del CCNL 1998-2001 dell’Area relativa alla Dirigenza medica e veterinaria deve essere interpretato nel senso che l’espressione “senza soluzione di continuità” che il comma 3 riferisce al servizio prestato ai fini dell’attribuzione dell’indennità di esclusività (di cui all’art. 5) comporta che, anche se si tratta di servizio svolto in base a contratti a tempo determinato, si deve trattare di situazione lavorativa nella quale non si riscontri alcuna interruzione, pur se di minima entità, come accade nella specie;

che – a prescindere dalla improprietà dei riferimenti contenuti nella sentenza impugnata alla non convertibilità del rapporto di lavoro nonchè alla giurisprudenza di questa Corte che ha escluso che ai fini del computo dell’anzianità di servizio per l’indennità di esclusività si possa tenere conto del periodo ‘di servizio in rapporto di convenzione, visto che è pacifico sia che il N. non abbia mai chiesto alcuna conversione del rapporto sia che abbia sempre prestato servizio come dipendente del SSN, restando a disposizione del Servizio stesso per tutto il periodo di stipulazione dei contratti a termine – la suddetta interpretazione non è condivisibile;

che, premesso che come si è detto la presente questione non è mai stata espressamente esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte, va precisato che la doverosa utilizzazione del canone dell’interpretazione conforme a Costituzione in particolare al principio di razionalità-equità di cui all’art. 3 Cost. (interpretazione di cui ricorrono tutte le condizioni applicative: vedi Corte cost. n. 36 del 2016), rinforzato dal concorrente canone vincolante per l’ordinamento interno dell’interpretazione non contrastante con la normativa UE (direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, clausola 4, come interpretati dalle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C305/11) porta al diverso risultato di escludere che determinino “soluzione di continuità” ai fini dell’indennità di esclusività e di ogni altro istituto collegato all’elemento dell’anzianità di servizio gli intervalli temporali richiesti dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva tra i diversi contratti a termine e, quindi, a maggior ragione intervalli minimi come quelli che si riscontrano nella specie;

che, ai fini della presente controversia, assume rilievo centrale la parte dell’art. 12, comma 3 del CCNL 1998-2001 cit. in cui si stabilisce che per l’applicazione del precedente art. 5 (sull’indennità di esclusività) la maturazione dell’anzianità complessiva di servizio può indifferentemente avvenire sia per effetto di “un rapporto di lavoro a tempo determinato” sia per effetto di un rapporto a tempo indeterminato;

che la parte successiva della disposizione ove si specifica – “senza soluzione di continuità anche in aziende ed enti diversi del Comparto” – può logicamente e giuridicamente venire in considerazione solo se si è in presenza di un valido ed efficace rapporto di lavoro di uno dei due tipi contemplati prima;

che per quanto riguarda il rapporto di lavoro a tempo determinato – oggetto del presente giudizio – la suddetta norma deve essere posta in relazione sia con la dichiarazione delle OO.SS. del 5 dicembre 1996 nella quale le Parti sociali hanno convenuto sulla necessità di riformulare l’art. 16 del CCNL 1994-1997 per l’Area della Dirigenza Medica e Veterinaria, “attesa l’importanza strategica dell’istituto del contratto a tempo determinato ai fini del regolare andamento e della continuità dei servizi sanitari delle aziende ed enti” sia con l’Accordo sindacale 5 agosto 1997 contenente il nuovo testo del citato art. 16, prevedente, fra l’altro, una normativa conforme alla L. n. 230 del 1962 (all’epoca vigente) per la proroga o il rinnovo del termine del contratto a tempo determinato e la sanzione della nullità in caso di assunzioni successive a termine intese ad eludere la normativa legislativa o contrattuale anche con riguardo ai richiesti intervalli tra la stipulazione di un contratto e quello successivo;

che, pertanto, sia l’art. 3 Cost. sia la citata giurisprudenza della CGUE portano a ritenere che laddove le Parti sociali hanno posto sullo stesso piano, per la maturazione dell’anzianità complessiva di servizio ai fini dell’indennità di esclusività, il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato lo abbiano fatto sulla premessa della conformità dei relativi contratti alla relativa disciplina legislativa e contrattuale vigente;

che, quindi, laddove il servizio dal dirigente si sia svolto sempre e soltanto alle dipendenze del SSN – come accade nella specie – non costituisce “soluzione di continuità” la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla suddetta disciplina;

che laddove tali intervalli siano insussistenti o minimi – come si è verificato nella presente vicenda – e la parte interessata rinunci a far valere la prevista nullità, a maggior ragione, è da escludere che possa configurarsi una “soluzione di continuità” nel rapporto;

che la diversa soluzione sostenuta dalla Corte d’appello appare, in primo luogo, del tutto irragionevole e tale da rendere la affermata equiparazione, ai fini che qui interessano, tra i rapporti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato (di cui all’art. 12, comma 3, del CCNL 1998-2001 cit.) priva di una reale applicazione se non nei casi di assunzioni successive a termine intese ad eludere la normativa legislativa o contrattuale;

che, d’altra parte, tale soluzione appare altresì discriminatoria per i lavoratori con contratti a termine e quindi in contrasto con il diritto UE in materia, come interpretato dalla Corte di Giustizia;

che infatti, come affermato da questa Corte anche di recente (Cass. 12 luglio 2017, n. 17223), l’obbligo posto a carico degli Stati membri UE di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (CGUE, sentenza 9 luglio 2015, causa C-177/14, punto 32);

che la clausola 4 del citato Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia UE che ha ne riconosciuto il carattere incondizionato ai fini della disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (CGUE sentenze 15 aprile 2008, causa C-268/06; 13 settembre 2007, causa C-307/05; 8 settembre 2011, causa C-177/10), escludendo ogni interpretazione restrittiva della clausola stessa, sull’assunto secondo cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5, del Trattato (oggi 153, n. 5), non può “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (C-307/05 cit., punto 42);

che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive derivanti dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (CGUE 9 luglio 2015, in causa C-177/14, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, non rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (C-177/14 cit., punto 55 e, con riferimento ai rapporti non di ruolo negli enti pubblici italiani, CGUE sentenze 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11 cit.; 7 marzo 2013, causa C393/11);

che l’interpretazione delle norme UE è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – ed hanno valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, nel senso che esse indicano il significato ed i limiti di applicazione delle norme UE, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);

che nella sentenza impugnata la Corte territoriale non solo non ha preso in considerazione la disciplina del CCNL in materia di contratti a termine, ma neppure ha esaminato tali ultimi profili della questione – cui fa da sfondo il principio di non discriminazione – che certamente non possono considerarsi implicitamente assorbiti nella pronuncia, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso;

che, per tutte le anzidette ragioni, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:

“in tema di compensi spettanti al personale del Servizio Sanitario Nazionale, l’art. 12, comma 3 del CCNL 1998-2001 per la Dirigenza medico veterinaria, nella parte in cui stabilisce che ai fini dell’indennità di esclusività (di cui al precedente art. 5) la maturazione dell’anzianità complessiva di servizio può avvenire anche per effetto di “un rapporto di lavoro a tempo determinato”, “senza soluzione di continuità” anche in aziende ed enti diversi del Comparto – in conformità con l’art. 3 Cost. nonchè con la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, clausola 4, come interpretati dalle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11- deve essere inteso nel senso che laddove il servizio dal dirigente si sia svolto, in base a contratti a termine, sempre e soltanto alle dipendenze del SSN non costituisce “soluzione di continuità” la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla suddetta disciplina e che, a maggior ragione, è da escludere che possa configurarsi una “soluzione di continuità” nel rapporto laddove tali intervalli siano insussistenti o minimi e la parte interessata rinunci a far valere la prevista nullità”.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2018

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