Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 744 del 15/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 744 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

ORDINANZA
sul ricorso 27090-2011 proposto da:
NARDOZZA DONATO NRDDNT63D26H3071, GIORDANO CARMELA
GRDCML66T57H307D, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TERENZIO N 7,
presso lo STUDIO TITOMANLIO, rappresentati e difesi dagli avvocati DE BONIS
CRISTALLI RAFFAELE, ABBAMONTE ORAZIO giusta procura a margine del
ricorso;

– ricorrenti contro
GALLU CCI MARIA ANTONIA CARMELA, LAUS ANDREA, elettivamente
domiciliati in ROMA, PIAZZA ANNIBALIANO 18, presso lo studio dell’avvocato
TELESCA CARMEN, rappresentati e difesi dagli avvocati MURANO ANTONIO,
PAOLINO VINCENZO giusta procura speciale alle liti a margine del controricorso;

– controlicorrenti avverso la sentenza n. 94/2011 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del
5/04/2011, depositata il 22/04/2011;
1

Data pubblicazione: 15/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/06/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
è presente il P.G. in persona del Dott. SERGIO DEL CORE.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 14 dicembre 2012, la seguente
proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

Antonia Carmela Gallucci avevano chiesto la demolizione della sopraelevazione del
fabbricato realizzata dai convenuti Donato Nardozza e Carmela Giordano in violazione
del diritto di veduta esercitato dal terrazzo del confinante edificio degli attori; nonchè
quella di regolarizzazione delle luci.
La sentenza era confermata in sede di gravame.
Per quel che ancora interessa, nell’escludere il difetto di legittimazione attiva denunciato
dagli appellanti che avevano contestato che gli attori fossero proprietari del terrazzo dal
quale si sarebbe esercitata la veduta, i Giudici accertavano che l’immobile era stato
costruito dai danti causa degli attori su suolo che i medesimi avevano ricevuto in
assegnazione dal Comune con delibera dell’8.5.1926, osservando che: si trattava di bene
non destinato a pubblico interesse e assoggettato alle regole di diritto privato; pur in
assenza di un formale negozio giuridico di trasferimento, era stato utilizzato in via
esclusiva dai danti causa degli attori, come proprietari, che vi realizzarono un edificio e
poi lo alienarono agli attori.
Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo Donato Nardozza e
Carmela Giordano.
Hanno resistito gli intimati.
2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e
375 cod.proc.civ., essendo manifestamente infondato.
L’unico motivo deduce che, essendo pacifica la detenzione da parte degli attori in virtù

di conce sione d bene pubblico e l’assenza di un negozio fui male di trasferimento —
come pure affermato dalla sentenza impugnata non esisteva un validò titolo di
proprietà né gli attori avevano fornito la prova di un atto di interversione del possesso.
2

“1. Il Tribunale di Melfi accoglieva: la domanda con la quale Andrea Laus e Maria

Denuncia che i Giudici, pervenendo a conclusioni contrastanti con le premesse da cui
erano partiti, avevano deciso la causa in violazione delle norme in materia di modi di
acquisto della proprietà.
Il motivo va disatteso.
La sentenza ha escluso che: a) l’atto di assegnazione configurasse una concessione

patrimonio disponibile, era assoggettato alle regole di diritto privato; b) la relazione di fatto
intrattenuta dagli attori fosse qualificabile come mera detenzione, giacché il riferimento
alla mancata formalizzazione di un atto solenne di trasferimento e a un comportamento
esercitato uti domini dai danti causa degli attori stavano piuttosto a significare che,
secondo la Corte, i medesimi avevano esercitato una situazione di possesso, protrattasi
dal 1926, utile ad usucapionem.
Ciò premesso, la questione che i ricorrenti propongono involge l’interpretazione dell’atto
di assegnazione del 1926 ovvero il significato da attribuire al regolamento ivi contenuto:
ma la questione, così come formulata, appare inammissibile perché, anche volendo
prescindere dalla novità, i ricorrenti avrebbero dovuto censurare l’interpretazione del
predetto atto, denunciando la violazione dei criteri di cui all’art. 1362 e ss. cod.civ. con
riferimento al complessivo contenuto, di cui avrebbero dovuto riportare i passi salienti in
modo da dimostrare l’errore compiuto dai Giudici: tali oneri non sono stati osservati.
P.Q.M.
Il ricorso deve essere rigettato”.
Che la memoria depositata nell’interesse dei controricorrenti Andrea Laus e Maria

amministrativa laddove ha affermato che il bene in questione, facente parte del

Antonia Carmela Gallucci conclude per la inammissibilità del ricorso;
Rilevato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui
sopra;
Ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del presente
giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in applicazione del
principio della soccombenza, essere poste a carico dei ricorrenti in solido.
P.Q.M.

3

j•-‘ ■.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del
presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2700,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile —2, il 6 giugno

2013.

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