Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7436 del 18/03/2020

Cassazione civile sez. I, 18/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 18/03/2020), n.7436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7080/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della 1^

sezione civile della Suprema Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dall’Avv. Froldi Luca;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2356/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 26/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2020 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata in data 26.10.2018, ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di A.N., cittadino del Pakistan, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, di quella umanitaria.

Il giudice di merito ha ritenuto, in primo luogo, insussistenti i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato per l’inattendibilità del racconto del richiedente (costui aveva riferito di essere fuggito dal Pakistan per paura del proprio datore di lavoro, che era il capo villaggio, il quale lo aveva fatto picchiare affinchè convincesse il proprio fratello a confessare di aver fatto parte del gruppo che aveva attaccato la moschea di (OMISSIS) in cui vi erano stati molti morti e feriti).

Il giudice d’appello ha, inoltre, ritenuto inesistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione dell’insussistenza di una situazione di violenza diffusa e generalizzata nel paese di provenienza del ricorrente.

Il ricorrente non è stato, altresì, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, difettando in capo allo stesso i presupposti per il riconoscimento di una sua condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione A.N. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il ricorrente che al medesimo non è stato chiesto dai giudici di merito alcun chiarimento, non sono state approfondite le dichiarazioni dallo stesso rese davanti alla Commissione territoriale, lo stesso non è stato posto, attraverso il suo ascolto, in condizioni di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni, deduzioni e mezzi istruttori.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973/2019).

Dunque, anche nell’ipotesi in cui manchi la videoregistrazione del colloquio (situazione neppure dedotta dal ricorrente), non sussiste l’obbligo del giudice di rinnovare l’audizione del richiedente, il quale, peraltro, nel caso di specie, neppure risulta aver chiesto di essere nuovamente ascoltato dai giudici di merito.

Infine, il ricorrente neppure ha indicato gli elementi fattuali sui quali avrebbe eventualmente dovuto vertere la nuova audizione.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente l’esistenza nella regione del Punjab in Pakistan di una situazione di violenza generalizzata, come confermato da numerose pronunce dei giudici di merito.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato, alla luce di numerose fonti internazionali accreditate (Freedom House, United States Department of State, EASO, rapporto di Amnesty International 2017-2018), l’insussistenza di una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata derivante da un conflitto armato nella regione del Punjab in Pakistan ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente – che non si è minimamente confrontato sul punto con le argomentazioni della Corte territoriale – si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, essendosi il Ministero dell’interno costituito in giudizio tardivamente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2020

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