Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7434 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 17/03/2021), n.7434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2414/2012 R.G. proposto da:

Satel srl, già Cogelt srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Argenio, con

domicilio eletto in Roma, via Muzio Clementi, n. 68, presso lo

studio dell’avv. Claudia Cozzi;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– intimata/costituita –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 134/25/11, depositata il 22

marzo 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre

2020 dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 134/25/11, depositata il 22 marzo 2011, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, respingeva l’appello proposto dalla Cogelt srl avverso la sentenza n. 48/06/10 della Commissione provinciale tributaria di Foggia che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IVA 2002.

La CTR osservava in particolare che l’atto impositivo impugnato doveva considerarsi tempestivamente emesso, stante la speciale disciplina del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nel caso, come quello di specie (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti), di rilevanza penale del rilievo fiscale e peraltro dovendosi fare applicazione della proroga biennale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 10 ancorchè la società contribuente avesse utilizzato le disposizioni condonistiche di tale legge, riguardando le medesime i debiti fiscali dei contribuenti, ma non i loro crediti (come appunto nel caso in esame); infine rilevava l’infondatezza dell’eccezione circa la mancata azione accertatrice nei confronti dell’emittente dette fatture (Global System), risultando invece al contrario provato dall’agenzia fiscale l’emissione di analogo atto impositivo anche nei confronti della medesima.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di poter partecipare alla discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57,artt. 24 e 111 Cost., poichè la CTR ha respinto la sua eccezione di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato perchè emesso dopo lo scadere del termine “ordinario” quadriennale previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, proposta con il ricorso introduttivo della lite e non oggetto di specifica contestazione in prime cure, affermando l’applicabilità della disposizione speciale, contenuta nella medesima disposizione legislativa (comma 3), di “raddoppio” di detto termine in caso di rilievo penale della ripresa fiscale, così accogliendo la relativa difesa erariale, ma appunto in violazione dell’evocata disposizione processuale speciale che vieta la proposizione di eccezioni “nuove” in grado appello e più in generale dei suoi diritti di difesa sanciti dalle pure evocate disposizioni costituzionali.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, poichè la CTR ha affermato l’applicabilità di tale disposizione legislativa speciale (c.d. “raddoppio dei termini” di accertamento), pur non sussistendone i presupposti fattuali, in particolare essendo stata la denuncia penale, fondante il prolungamento del termine “ordinario” di accertamento, effettuata dopo l’emissione dell’atto impositivo impugnato.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondate.

Vanno anzitutto ribaditi i seguenti principi di diritto:

-“Nel processo tributario, la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso può rendere specifica la stessa in sede di gravame poichè il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine” (Cass., n. 12651 del 23/05/2018, Rv. 648522 – 01); -“Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (ex multis v. Cass. n. 31224 del 29/12/2017, Rv. 646995 – 01);

– “In tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi)” (Cass., n. 10345 del 26/04/2017, Rv. 643961 – 01);

– “In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011″ (Cass. n. 11171 del 30/05/2016);

– “In tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti nè di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie “ab origine” diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto operante il “raddoppio” solo nel caso di rilievo del reato da parte dell’Ufficio finanziario prima dello spirare del termine quadriennale di prescrizione tributaria)” (Cass. n. 23628 del 09/10/2017).

Tali arresti giurisprudenziali, valutati nel complesso e quindi applicati al caso di specie, inducono, per un verso, a considerare mera difesa – consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 – l’introduzione nel giudizio di appello da parte dell’agenzia fiscale appellata del, diverso, thema decidendi dell’applicabilità della speciale disciplina dei termini decadenziali dell’azione accertativa fiscale (in campo IVA) di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3; per altro verso, a ritenere irrilevante l’eccepita diacronia tra avviso di accertamento e denuncia penale.

Tale disciplina speciale infatti integra una fattispecie distinta ed autonoma rispetto a quella ordinaria e quindi si risolve in una mera quaestio juris, ove unico aspetto rilevante è l’astratta, ancorchè non meramente virtuale, configurabilità della sussistenza dell’obbligo della denunzia penale, la cui tempestività peraltro non ha rilievo.

Ancor più specificamente in ordine alla prima censura, bisogna osservare che l’eccezione di decadenza contenuta nei motivi del ricorso introduttivo della lite, ancorchè delimitata alla questione della proroga biennale del termine correlativo L. n. 289 del 2002, ex art. 10, non poteva essere estesa dalla società contribuente alla, diversa, questione dell’applicabilità del termine “raddoppiato” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, ma di contro, appunto in via di “mera difesa” ed anche in appello, poteva essere posta dall’agenzia fiscale e quindi esaminata dalla CTR, senza che si possa ravvisare alcuna violazione del divieto di nuove eccezioni sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2.

D’altro canto e ciò è comunque dirimente, è la stessa ricorrente che nella narrativa di ricorso espressamente attesta che il primo motivo del ricorso introduttivo della lite riguardava proprio il decorso del termine decadenziale “ordinario” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1, e quindi la questione del raddoppio “apparteneva” già alla causa quale eccezione, in senso stretto, proposta dalla ricorrente medesima.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, poichè la CTR ha ritenuto comunque applicabile anche la proroga biennale del termine decadenziale per l’emissione dell’avviso di accertamento (IVA) prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10.

La censura è inammissibile.

Pur dovendosi ritenere che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, e L. n. 289 del 2002, art. 10, si pongano su di un piano di rispettiva/reciproca specialità, sicchè non può attribuirsi prevalenza applicativa all’una ovvero all’altra sulla base del principio ermeneutico lex specialis derogat legi generali, tuttavia va rilevato che la prima delle due prevede un termine ben più ampio (4 anni invece che 2) ed è quindi senza dubbio questa che deve trovare, esclusiva, applicazione nel caso di specie.

Quindi, quand’anche si ritenesse fondata la censura in esame, comunque la medesima non potrebbe indurre la cassazione della sentenza impugnata, secondo il principio di diritto che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass., n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882 – 01; conforme, da ultimo, Cass., n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 – 01).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese stante la costituzione tardiva dell’agenzia fiscale, che quindi non ha di fatto svolto alcuna difesa nel giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

 

 

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