Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7432 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 26/03/2010), n.7432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA VITE,

7 presso lo studio dell’avvocato MASINI MARIA STEFANIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LATRECCHINA ANTONIO,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.S., R.A.;

– intimati –

sul ricorso 14439-2006 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 170/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/04/2005 r.g.n. 272/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenze n. 588, 619 e 641 del 2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano accoglieva le domande proposte da S. S., F.R. e R.A., dichiarando la natura subordinata a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro instauratisi con la s.p.a. Poste Italiane per la accertata illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le parti (per la S. dal (OMISSIS), per il F. dal (OMISSIS) e per la R. dal (OMISSIS)) con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate con le rispettive indicate decorrenze.

Avverso le dette sentenze la società proponeva appelli chiedendone rispettivamente la riforma con il rigetto delle domande introduttive.

Gli appellati si costituivano e chiedevano la conferma delle impugnate sentenze.

La corte d’Appello di Milano riuniti i processi, confermava le sentenze di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la Società ha proposto ricorso con cinque motivi.

Il F. ha resistito con controricorso.

La R. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato. La società ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della R..

La S. è rimasta intimata.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., nonchè copia di verbale di conciliazione in sede sindacale concluso con la R. in data 30-1-2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Considerato, poi, l’intervenuto verbale di conciliazione in sede sindacale concluso tra la società e la R. in data 30-1-2009, il ricorso principale della società nei confronti della R. ed il ricorso incidentale di quest’ultima vanno dichiarati inammissibili.

Dal verbale di conciliazione prodotto in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità dei rispettivi ricorsi in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13- 7-2009 n. 16341).

Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di Cassazione tra le dette parti.

Il ricorso della società va poi respinto nei confronti del F. e della S..

Il primo motivo con il quale la società lamenta violazione dell’art. 1372 c.c. e vizio di motivazione (carenza di motivazione per S.) con riguardo alla eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, risulta in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass., 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Peraltro, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Sul punto la sentenza impugnata ha esaminato la eccezione della società soltanto con riferimento alla “posizione F.”, in relazione alla quale ha rilevato che “la sola inattività per un lasso di tempo non è sufficiente se non supportata da ulteriori elementi o circostanze significative da cui desumere la chiara volontà di porre definitivamente fine al rapporto”.

Tale motivazione è conforme al principio sopra richiamato e resiste alla censura della società, che del resto non specifica quali siano stati gli ulteriori elementi eventualmente trascurati dalla Corte di merito.

Per quanto riguarda, inoltre, la S., la ricorrente non indica con quale atto ed in che modo abbia specificamente eccepito davanti ai giudici di merito la risoluzione per mutuo consenso (non trattata nell’impugnata sentenza con riferimento alla S. stessa – v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336-).

Sulla illegittimità, poi, dei termini apposti ai rispettivi contratti del F. e della S. (per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. 25-9- 97, decorrenti rispettivamente dal 1-2-2000 e dal 12-10-1998) osserva il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che: “le organizzazioni sindacali che conclusero l’intesa originaria priva di termine ne siglarono contestualmente altra che ha riconosciuto trovarsi l’impresa nelle condizioni previste sino al 31-1-1998 ed hanno poi raggiunto posteriori accordi che hanno indicato la possibilità di “procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato entro date successive e da ultimo entro il 30 aprile 1998. Ulteriore differimento è stato previsto, ma solo con riguardo alla causale della sostituzione dei lavoratori in ferie e per le sole assunzioni a tempo parziale. Le assunzioni di cui si discute nel presente giudizio successive al 30 aprile 1998, sono allora prive di strumento derogatorio … “.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto ai contratti de quibus (stipulati “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-4-1998), così respingendosi il terzo motivo del ricorso principale, restando assorbito il secondo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggetti ve di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1″ (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (” in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30-4-98″) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Va pertanto confermata la nullità del termine apposto ai contratti de quibus.

Con il quinto motivo, infine, (il quarto riguarda soltanto la R.) la società lamenta che la Corte di merito avrebbe disposto il pagamento delle retribuzioni dalla rispettiva comunicazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, laddove le lettere “non contenevano alcuna messa in mora, nè alcuna offerta della prestazione”.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di Appello sul punto ha confermato la decisione del primo giudice identificando nelle dette comunicazioni “il primo atto di messa in mora”.

Tale accertamento, prettamente di fatto, riservato al giudice del merito, è stato, quindi, effettuato dalla Corte territoriale, in conformità con l’indirizzo più volte dettato da questa Corte (v.

fra le altre Cass. 27-3-2008 n. 7979 e, con riferimento alla comunicazione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la offerta della prestazione lavorativa, v.

Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710).

La società, del resto, ha censurato tale decisione in modo del tutto generico, senza neppure riportare il testo delle comunicazioni in oggetto, che, secondo il suo assunto, non avrebbero integrato la ravvisata messa in mora.

Il ricorso principale va pertanto respinto nei confronti del F. e della S., e la società va condannata al pagamento delle spese in favore del F.. Nulla per le spese nei confronti della S., che non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili il ricorso principale della società nei confronti della R. e il ricorso incidentale di quest’ultima e compensa le spese tra le dette parti;

rigetta il ricorso principale nei confronti del F. e della S., condanna la società al pagamento delle spese, in favore del F., liquidate in Euro 28,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA; nulla per le spese nei confronti della S..

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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