Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7432 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.23/03/2017),  n. 7432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 18712 del ruolo generale dell’anno

2015 proposto da;

D.G., (C.F.: (OMISSIS)), C.S. (C.F.:

CCCSDR72622A192Q), C.F. (C.F.: (OMISSIS)), U.F. (C.F.:

(OMISSIS)) eredi di C.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e

difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Stefano

Carboni (C.F.: CRBSFN68H21A192S);

– ricorrenti –

nei confronti di:

T.B., (C.F.: (OMISSIS)), M.M. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentata dal tutore Ch.Pa.Gi. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentate e difese, giusta procura in calce al

controricorso, dagli avvocati Giancarlo Cugiolu (C.F.:

CGLGCR47R03I452X) e Carlo Lai (C.F.: LAICRL56L03D430M);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Cagliari –

Sezione Distaccata di Sassari n. 528/2014, depositata in data 19

dicembre 2014, e notificata in data 11 maggio 2015;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 22

febbraio 2017 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.B. e M.M. hanno intimato sfratto per morosità a C.G. in relazione ad un immobile allo stesso locato dalla loro dante causa P.P. con contratto del (OMISSIS), contestualmente chiedendo ingiunzione per il pagamento dei canoni fino al rilascio.

Negata la convalida e disposto il mutamento del rito, la domanda è stata rigettata dal Tribunale di Sassari.

La Corte di Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, in riforma della decisione di primo grado, ha invece pronunciato la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, condannandolo al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni scaduti dall’aprile 2005.

Ricorrono gli eredi di C.G., sulla base di otto motivi. Resistono con controricorso la T. e la M..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, VIOLAZIONE della L. n. 606 del 1966, L. n. 11 del 1971 e FALSA APPLICAZIONE dell’art. 447 bis c.p.c. e segg., ed omessa motivazione”.

Il motivo – con il quale si deduce in sostanza che la controversia rientrerebbe nella competenza per materia delle Sezioni Specializzate Agrarie – è inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (e ciò anche a prescindere dalla fondatezza dell’assunto posto a base di esso, peraltro implicitamente disatteso dalla corte di appello, la quale ha escluso che tra le parti intercorresse un rapporto agrario).

La censura sembra in realtà porre una questione di competenza.

Sotto questo profilo, però, i ricorrenti avrebbero dovuto documentare – mediante la specifica indicazione ed il richiamo del contenuto dei relativi atti processuali, che invece manca di avere proposto tempestivamente la relativa eccezione nel corso del giudizio di primo grado, ovvero che essa fosse stata eventualmente sollevata di ufficio nei termini previsti dall’art. 38 c.p.c..

Anche a volerla intendere come questione di rito, sarebbe stata comunque necessaria la specificazione dell’interesse violato e della concreta lesione al diritto di difesa derivante dalla trattazione della controversia da parte del giudice non specializzato, indicazioni del tutto mancanti nel ricorso.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – violazione o falsa applicazione dell’art. 125 c.p.c. e dell’art. 164 c.p.c., ed assenza o illogicità della motivazione”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La censura risulta inammissibile, per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui con essa si deduce la nullità per indeterminatezza dell’originario atto introduttivo del giudizio, senza alcuno specifico richiamo del contenuto del suddetto atto.

E’ comunque infondata nella parte in cui si sostiene la totale assenza di motivazione con riguardo alle questioni della esatta individuazione dell’immobile locato e della legittimazione delle attrici, quali eredi dell’originaria locatrice.

La corte di appello ha infatti indicato le ragioni della decisione in relazione a tali questioni, richiamando la pronunzia di primo grado – ritenuta non censurata nella parte in cui aveva accertato l’avvenuta cessazione della locazione intercorsa tra le parti – e facendo altresì riferimento alle stesse difese del convenuto (anche sotto il profilo del principio di non contestazione) ed alle dichiarazioni dei suoi familiari, da questo indicati come testi, nonchè ai documenti acquisiti al processo.

Le censure svolte dai ricorrenti si risolvono dunque sotto tale profilo in una inammissibile contestazione di accertamenti di fatto incensurabilmente operati dai giudici del merito, e in una richiesta di nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, che non è possibile in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 342 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ancor prima che infondato.

Secondo i ricorrenti, l’atto di appello delle attrici avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 434 e 342 c.p.c., in quanto privo dell’indicazione delle modifiche che avrebbero dovuto essere apportate alla sentenza di primo grado.

Non viene però richiamato specificamente il contenuto rilevante dell’atto processuale in questione, onde l’assunto resta affermazione del tutto generica.

Ciò impedisce alla Corte di verificarne la fondatezza attraverso l’esame diretto del predetto atto (sulla necessità che il motivo di ricorso sia comunque proposto “in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4” perchè la Corte di Cassazione eserciti il suo potere di accesso diretto agli atti processuali, in caso di censure attinenti alla nullità del procedimento o della sentenza, cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012, Rv. 622361-01, espressamente richiamata e ribadita ad es. da Sez. 6-3, Sentenza n. 25308 del 28/11/2014, Rv. 633637-01).

Ad ogni buon conto, va dato atto che le censure avanzate in sede di gravame dalle attrici avverso la sentenza di primo grado risultano sufficientemente specifiche.

4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “art. 360, n. 3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., art. 345 c.p.c. e art. 112 c.p.c.”.

Con il quinto motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 346 c.p.c. ed omessa motivazione su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il quarto ed il quinto motivo del ricorso sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Secondo i ricorrenti, dopo la fase sommaria del giudizio le attrici avrebbero radicalmente mutato l’oggetto delle domande originariamente proposte, e comunque in sede di gravame non avrebbero riproposto le domande ed eccezioni disattese in primo grado, che quindi dovrebbero ritenersi rinunciate.

Anche a prescindere dal mancato specifico richiamo del contenuto degli atti processuali rilevanti, è sufficiente osservare in proposito che è infondato in radice l’assunto in diritto posto a base delle censure in esame, e cioè quello per cui le domande di risoluzione del contratto per grave inadempimento all’obbligo di pagamento dei canoni e di condanna del conduttore al pagamento dei suddetti canoni costituirebbero domande nuove e diverse rispetto a quelle contenute nella istanza di convalida dello sfratto per morosità con ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino al rilascio.

Si tratta invece della medesima azione: la domanda ordinaria di risoluzione del contratto e di condanna del conduttore è evidentemente contenuta in quella promossa con il procedimento speciale di cui all’art. 658 c.p.c., essendo caratterizzata dal medesimo titolo e dal medesimo oggetto.

5. Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., ed omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su un punto controverso della decisione”.

Il motivo è infondato.

E’ assorbente il rilievo che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, il pagamento delle spese del giudizio di primo grado, in base a sentenza esecutiva, non comporta implicita acquiescenza alla sentenza stessa (ex multis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 14368 del 25/06/2014, Rv. 631641-01: “il pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d’appello, o comunque esecutiva, non comporta acquiescenza alla stessa, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all’intimazione del precetto”; conf.: Sez. 2, Sentenza n. 3934 del 29/02/2016, Rv. 638974-01; Sez. U, Sentenza n. 1242 del 01/12/2000, Rv. 542298-01; Sez. 1, Sentenza n. 13764 del 20/09/2002, Rv. 557494-01; Sez. U, Sentenza n. 7898 del 20/05/2003, Rv. 563348-01; Sez. L, Sentenza n. 11798 del 02/08/2003, Rv. 565647-01; Sez. 3, Sentenza n. 3403 del 20/02/2004, Rv. 570351-01; Sez. 3, Sentenza n. 18187 del 28/08/2007, Rv. 599147-01; Sez. 2, Sentenza n. 13630 del 11/06/2009, Rv. 608543-01; Sez. 3, Sentenza n. 13429 del 01/06/2010, Rv. 613146-01).

6. Con il settimo motivo del ricorso si denunzia “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360, comma 1, n. 5. Violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392 e dell’art. 11 disp. gen. e, conseguentemente, dell’art. 447 bis c.p.c. e dell’art. 660 c.p.c. ed omessa motivazione”. Con l’ottavo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 58; art. 2697 c.c., art. 1321 c.c., art. 1596 c.c. e art. 1597 c.c., prescrizione del contratto ed omessa motivazione su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5”.

Il settimo e l’ottavo motivo sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

6.1 Risulta in primo luogo infondato l’assunto per cui non sarebbe nella specie applicabile la disciplina della locazione degli immobili urbani di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392 (e conseguentemente il regime processuale di cui agli art. 447-bis c.p.c. e segg. e art. 660 c.p.c.), essendo stata la locazione stipulata in data anteriore all’entrata in vigore di detta legge.

Sul punto, la corte di appello ha infatti espressamente richiamato l’art. 58 della legge in questione, che disciplina proprio il regime delle locazioni in corso alla suddetta data.

6.2 Nè può trovare accoglimento l’assunto per cui la L. n. 392 del 1978, non sarebbe applicabile in ragione della natura e dell’ubicazione dell’immobile locato.

I giudici di merito hanno incensurabilmente accertato in fatto che l’immobile oggetto di locazione aveva destinazione abitativa pur essendo situato fuori città, e hanno escluso la sussistenza di un rapporto agrario.

Ne hanno correttamente dedotto che erano applicabili le disposizioni sostanziali e processuali sulla locazione degli immobili destinati ad uso di abitazione, in conformità al principio di diritto enunciato da questa Corte (che il ricorso non contiene elementi tali da indurre a rivedere, e al quale va quindi data continuità) secondo il quale ai fini dell’applicabilità della normativa concernente le locazioni degli immobili urbani ovvero di quella relativa ai contratti agrari, la qualifica dell’immobile come “urbano” ovvero “rustico” non è collegata alla ubicazione dello stesso, bensì alla natura dell’attività che in esso si svolge, e cioè alla sua destinazione, nel primo caso, ad uso abitativo, commerciale, professionale, industriale o artigianale e, nel secondo caso, al servizio del fondo agricolo, eventualmente anche come abitazione dell’affittuario, onde la denominazione di “immobile urbano”, senza ulteriore specificazione, è riferibile ad ogni edificio compreso in un insediamento abitato, in contrapposto ad immobile rustico, che ha invece rilievo in un rapporto di carattere agrario (cfr. in tal senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5668 del 30/11/1978, Rv. 395448-01; Sez. 3, Sentenza n. 5871 del 08/11/1982, Rv. 423626-01; Sez. 3, Sentenza n. 697 del 28/01/1984, Rv. 432952-01; Sez. 3, Sentenza n. 6344 del 14/12/1985, Rv. 443437-01; Sez. 3, Sentenza n. 2775 del 19/04/1986, Rv. 445815-01; Sez. 3, Sentenza n. 5701 del 20/10/1988, Rv. 460234-01; Sez. 3, Sentenza n. 4157 del 26/04/1999, Rv. 525766-01).

6.3 Neanche possono trovare accoglimento, infine, gli ulteriori assunti secondo i quali la locazione sarebbe cessata dopo il primo anno di rapporto – o al più tardi nel 1984 in caso di proroga legale – e l’immobile locato sarebbe stato rilasciato dal conduttore sin dal 1985, onde non avrebbe potuto applicarsi la procedura di intimazione di sfratto per morosità di cui all’art. 660 c.p.c., non sarebbero dovuti i canoni, nè alcuna indennità, ed il contratto stesso sarebbe prescritto.

La corte di appello ha incensurabilmente accertato in fatto che il contratto di locazione originariamente stipulato per iscritto nel 1976 non era stato oggetto di risoluzione consensuale, e che l’immobile non era stato affatto rilasciato dal conduttore, il quale – pur essendosi trasferito altrove – non lo aveva mai restituito alla locatrice, e ne aveva invece trasmesso la detenzione ad un figlio.

Tali accertamenti risultano operati all’esito dell’esame degli elementi istruttori acquisiti agli atti e sono adeguatamente motivati, quindi non sono censurabili nella presente sede.

Non potendosi ritenere mai rilasciato l’immobile locato, risulta irrilevante l’individuazione della data di scadenza legale della locazione, non potendosi ravvisare alcun concreto interesse in proposito dei ricorrenti.

Non vi è dubbio infatti che la locazione sia comunque cessata, ed il conduttore è stato condannato a pagare l’importo corrispondente a quello dei canoni solo a partire dall’aprile 2005 (epoca certamente successiva alla risoluzione per grave inadempimento dichiarata dalla stessa corte di appello), ai sensi dell’art. 1591 c.c., essendo prescritto il relativo diritto per quelli anteriormente maturati.

E’ poi appena il caso di osservare che non può dirsi “prescritto” il contratto di locazione, in quanto l’istituto della prescrizione si riferisce ai diritti e non ai contratti, e quindi la relativa disciplina risulta nella specie correttamente applicata.

7. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto della citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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