Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7431 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.23/03/2017),  n. 7431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 15999 del ruolo generale dell’anno

2015 proposto da:

A.D., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura a margine del ricorso, dall’avvocato Alberto Sechi (C.F.:

SCHLRT62M29A192L);

– ricorrente –

nei confronti di:

AZIENDA REGIONALE PER L’EDILIZIA ABITATIVA – A.R.E.A. di Sassari

(C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore Generale, legale

rappresentante pro tempore, C.M. rappresentato e difeso,

giusta procura in calce al controricorso, dagli avvocati Giuseppe

Cudoni (C.F.: CDNGPP65D24I452N) e Claudio Sadurny (C.F.:

SDRCLD48A01H501S);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Cagliari –

Sezione Distaccata di Sassari n. 258/2014, depositata in data 13

giugno 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 22

febbraio 2017 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.D. ha agito in giudizio nei confronti dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Sassari (nei cui rapporti giuridici, nelle more del giudizio, è subentrata A.R.E.A. – Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa), chiedendo accertarsi gli importi versati a titolo di canoni di locazione per un alloggio sito in (OMISSIS), dal 31 dicembre 1995 al 31 dicembre 1999, l’infondatezza della pretesa dell’istituto di dovere ricevere un conguaglio pari ad Euro 5.405,47, e la somma eventualmente ancora dovuta.

L’istituto convenuto ha chiesto in via riconvenzionale l’accertamento del suo credito residuo in Euro 4.138,93 e la condanna dell’attrice al pagamento di tale importo.

Il Tribunale di Tempio Pausania ha dichiarato infondate le pretese dell’istituto e accertato un credito della conduttrice, per canoni versati in eccesso, pari ad Euro 2.234,46.

La Corte di Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, in riforma della decisione di primo grado, ha invece condannato la conduttrice al pagamento dell’importo di Euro 2.190,07, a titolo di canoni insoluti, oltre interessi.

Ricorre la A., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso A.R.E.A., che ha altresì depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., n. 1.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “omessa motivazione circa il rinnovo della C.T.U. esperita in primo grado”.

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili, in quanto:

– l’esercizio da parte del giudice di merito del proprio potere discrezionale di avvalersi di un consulente tecnico di ufficio non è sindacabile in sede di legittimità;

– la corte di appello ha in realtà indicato le ragioni che la hanno indotta a rinnovare la consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado, facendo presente (cfr. pag. 1, righi 16/18 della motivazione della sentenza impugnata) che la stessa era carente in ordine al quesito originariamente formulato;

– la ricorrente non indica specifiche norme di diritto sostanziale o disposizioni processuali eventualmente violate, nè fatti decisivi ai fini del giudizio di cui sarebbe stato omesso l’esame, e dunque la censura non è riconducibile a nessuno dei motivi di ricorso per cassazione previsti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c.; essa finisce per risolversi in una generica critica agli accertamenti effettuati dal consulente tecnico di ufficio, certamente inammissibile nella presente sede.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione di norme art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 111 Cost., violazione e falsa applicazione di una norma di legge, omessa, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui vengono rappresentati vizi riconducibili all’insufficienza della motivazione, trattandosi di censure non più prospettabili con il ricorso per cassazione in base alla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella fattispecie in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (giugno 2014).

E’ infondato nella parte in cui denunzia la totale assenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’accertamento del proprio debito.

La corte di appello ha adeguatamente indicato le ragioni della sua decisione, facendo richiamo alle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio disposta per il calcolo dell’importo ancora dovuto dalla conduttrice a titolo di canoni, ed ha specificamente indicato, d’altra parte, anche i motivi per i quali ha ritenuto di doversi discostare parzialmente dalle suddette conclusioni al fine di determinare la somma complessivamente spettante alla locatrice.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme decisive al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento a quanto previsto dall’art. 112 c.p.c.”.

Il motivo è infondato.

La corte di appello non ha affatto condannato la conduttrice al pagamento di un debito estraneo all’oggetto della domanda proposta, riferita ai soli canoni di locazione.

Ha semplicemente imputato un determinato pagamento, documentato dalla stessa conduttrice, ad un debito diverso da quelli per canoni di locazione, in accoglimento della relativa eccezione avanzata dall’istituto locatore.

Il precetto di cui all’art. 112 c.p.c., non risulta pertanto in alcun modo violato.

4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme decisive con riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4)”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile per difetto di specificità e violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui fa generico riferimento ai dati di consulenze contabili di cui non è richiamato il contenuto rilevante, che non risultano prodotte in allegato al ricorso e di cui non si indica l’esatta allocazione nel fascicolo processuale, nonchè nella parte in cui si contestano accertamenti di fatto incensurabilmente operati dai giudici di merito in relazione agli importi dovuti e versati.

E’ comunque infondato nella parte in cui si denunzia totale assenza di motivazione con riguardo alla condanna al pagamento dei canoni: nella sentenza impugnata risultano infatti adeguatamente illustrate le ragioni del riconoscimento in favore dell’istituto locatore dell’importo di Euro 851,55 relativo a canoni insoluti.

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto della citata L. n. 228 del 2012 , art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’azienda controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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