Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7431 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 17/03/2021), n.7431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10146-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

COOPERATIVA CIRCOLO CESARE BATTISTI SOCIETA’ COOPERATIVA A RL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 137/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 08/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 137/28/2012, depositata in data 8.10.2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della Cooperativa Circolo Cesare Battisti Società a responsabilità limitata avverso la sentenza n. 137/28/12 della Commissione tributaria provinciale di Milano; il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale era stato rideterminato il reddito per l’anno di imposta 2007.

Nell’anno 2006 la cooperativa aveva emesso due fatture nei confronti di altrettanti soci della cooperativa, i quali avevano acquistato degli immobili per complessivi Euro 311.480,46. I rogiti erano stati stipulati nel 2007, ma i relativi ricavi non erano stati indicati nella dichiarazione dei redditi.

La CTR confermando la sentenza di primo grado affermava che la cooperativa aveva correttamente contabilizzato, nel 2007, l’utile netto derivante dalle vendite dei due immobili.

Avverso la sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposte ricorso per cassazione affidando il suo mezzo a tre motivi.

La contribuente non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Lamenta che la CTR aveva erroneamente valutato le censure formulate in appello dall’ufficio come motivi ed eccezioni nuove e come tali inammissibili.

La censura è inammissibile.

La CTR non ha fondato la propria decisione sulla inammissibilità dei motivi e delle eccezioni nuove, essendosi limitata a rilevare, in un passaggio della motivazione, che la ricostruzione contabile operata dall’ufficio aveva connotazioni nuove, tuttavia, esaminandola nel merito.

2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Lamenta che la CTR non aveva motivato in relazione alla sussistenza di documentazione contabile atta a dimostrare l’inserimento dei ricavi derivanti dalla cessione dei due immobili tra i proventi straordinari.

3.Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1, comma 2, artt. 39 e 41 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce che erroneamente la CTR aveva posto a carico dell’ufficio l’onere probatorio della insussistenza della documentazione contabile atta a dimostrare l’inserimento dei ricavi derivanti dalla cessione dei due immobili tra i proventi straordinari.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse non sono fondate.

La CTR ha osservato, richiamando la sentenza di primo grado che, sebbene la procedura seguita dalla contribuente non fosse contabilmente corretta – poichè l’importo totale pari a Euro311.480,46 avrebbe dovuto figurare nel conto economico del bilancio del 2007 tra i ricavi di vendita, mentre le rimanenze iniziali pari a Euro249.184,36 avrebbero dovuto essere riclassificate tra i costi del medesimo bilancio, non era stata sottratta materia imponibile, in quanto, sempre nell’anno 2007 era stato contabilizzato, tra i proventi straordinari derivanti dalle predette vendite, l’utile pari a Euro62.296,10 derivante dalla differenza tra i ricavi e le rimanenze iniziali, concorrente alla tassazione del reddito di esercizio.

La CTR ha evidenziato che la parte contribuente, già nel primo grado di giudizio, aveva “versato in causa, in data 17.5.2011, copia del mastrino delle rimanenze (OMISSIS), copia del mastrino Acquisto immobile e legali e consulenze (OMISSIS), copia del mastrino rimanenze via (OMISSIS), copia del mastrino sopravvenienze attive, copia del mastrino proventi vari, prospetto della determinazione utile vendite (OMISSIS), copia del mastrino sopravvenienze oneri non sostenuti, copia del mastrino clienti conto anticipi. Dall’analisi della documentazione testè mensionata si è potuto verificare che la contribuente ha operato correttamente, senza commettere evasione di imposta. Nella presente sede l’Ufficio tenta una ricostruzione contabile….. che non prova l’illegittimità dell’operato della contribuente la quale ha giustamente contabilizzato nel 2007 l’utile netto derivante dalla vendita dei due immobili menzionati in narrativa, quindi sussiste la relativa partecipazione alla tassazione del reddito di esercizio”.

Il preteso vizio di motivazione è inammissibile; la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Le censure motivazionali non conferiscono, comunque, al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).

Del resto, esercitandosi l’ufficio motivazionale su un percorso argomentativo che presuppone, in ragione della natura presuntiva dell’accertamento, la selezione del materiale indiziario e quindi la valutazione degli elementi provvisti della necessaria concludenza probatoria, il riesame di essi che si richiede laddove non siano evidenziabili vizi logici, costituisce accertamento di merito che esula notoriamente dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato a questa Corte Nella specie, la CTR ha ritenuto che la società contribuente non avesse commesso evasione di imposta in quanto aveva contabilizzato nel 2007 l’utile netto derivante dalla vendita dei due immobili che aveva partecipato alla tassazione del reddito di esercizio; l’errore commesso nella dichiarazione era, pertanto meramente formale.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Nulla sulle spese in assenza di attività difensiva di parte intimata.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il secondo e terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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