Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7427 del 18/03/2020

Cassazione civile sez. I, 18/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 18/03/2020), n.7427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 780/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini 8,

presso lo studio dell’avvocato Cecchini Cristina Laura, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Feroci Consuelo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e

difende in Roma Via Dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2146/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 10.10.2018, ha rigettato l’appello proposto da M.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Ancona aveva respinto l’impugnazione proposta dal cittadino straniero avverso il decreto di respingimento prot. N. 21103/IMM Cat. 1/11/2016 del 23.5.2016 emanato dal questo di Macerata.

Il giudice di secondo grado, previo rigetto dell’eccezione di natura processuale relativa alla dedotta violazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito prove sufficienti della convivenza effettiva con la sorella, cittadina italiana, requisito richiesto per ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari in base al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, lett. b).

In particolare, l’interessato, su cui gravava l’onere della prova non aveva allegato nè chiesto di dimostrare le ragioni che avevano determinato la sua assenza dall’abitazione della sorella nelle occasioni in cui erano stati effettuati i sopralluoghi, non essendo sufficienti le generiche dichiarazioni della sorella al fine di dimostrare l’effettiva convivenza.

Ha proposto ricorso per cassazione M.A. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, nonchè del principio del buon andamento della P.A..

Lamenta il ricorrente che nonostante lo stesso, nel corso della procedura di concessione del permesso di soggiorno per motivi familiari, avesse presentato osservazioni all’Ufficio Immigrazione della Questura di Macerata, queste non erano state tenute in considerazione nel decreto di rigetto.

Ciò aveva determinato una grave violazione di legge.

2. Il motivo non è fondato.

Va osservato che la Corte d’Appello ha correttamente osservato che l’oggetto del presente giudizio è la spettanza o meno dell’invocato diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari e non l’impugnazione del provvedimento amministrativo. E’, infatti, proprio per questo motivo che il legislatore per le controversie aventi ad oggetto il diniego del permesso di soggiorno per motivi familiari ha previsto che l’interessato può proporre direttamente opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6.

Ne consegue che non rilevano eventuali vizi del procedimento amministrativo, dovendo il giudice ordinario valutare la spettanza o meno del diritto invocato dal ricorrente.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 T.U.I., come attuato dal D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, nonchè la violazione del diritto all’unità familiare.

Espone il ricorrente che il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28 – che disciplina il permesso di soggiorno per motivi familiari nei confronti degli stranieri che si trovano nelle documentate circostanze di cui all’art. 19, comma 2, lett. c) T.U.I. – deve essere interpretato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria e, segnatamente dell’art. 8 CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il quale impone all’autorità giudiziaria di tenere conto di diversi criteri tra cui la natura e l’effettività del vincolo familiare dell’interessato, l’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il paese d’origine e la durata del soggiorno sul territorio nazionale.

Pertanto, posto che comunque la convivenza tra il ricorrente e la sorella F. sussisteva e sussiste anche oggi, rileva il ricorrente che il concetto di famiglia non può restringersi all’ipotesi meccanicistica della sola convivenza, con la conseguenza che il diritto di permesso di soggiorno per motivi familiari può sussistere anche se i soggetti non convivano.

In ogni caso, contesta il ricorrente gli elementi probatori sulla base dei quali è stato ritenuto che lo stesso non convivesse con la sorella, essendo la sua temporanea assenza dall’abitazione della sorella stata registrata soltanto in occasione di due soli sopralluoghi effettuati nell’arco di tre mesi, e non essendo stato illegittimamente tenuto conto della testimonianza della sorella solo in quanto familiare.

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va preliminarmente osservato che il ricorrente non può contestare in sede di legittimità la valutazione in fatto effettuata dalla Corte territoriale in ordine al requisito della convivenza dello stesso con la sorella, palesandosi le sue censure sul punto inammissibili perchè di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici dei precedenti gradi del giudizio.

In ordine alla dedotta non necessità del requisito della convivenza ai fini del conseguimento del permesso di soggiorno per motivi familiari, va osservato che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 202/2013, si è occupata della lesione dell’art. 8 CEDU, in una situazione in cui ha voluto tutelare quegli stranieri che, pur trovandosi nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento familiare, non hanno esercitato il relativo diritto, non facendo richiesta del relativo provvedimento formale. E’ stato, in particolare, ritenuto dalla Consulta che l’impossibilità di annoverare tra i beneficiari della tutela rafforzata di cui all’art. 5, comma 5 T.U.I. tutti coloro che vivono in Italia con una famiglia, indipendentemente dal tipo di permesso di soggiorno di cui dispongono, determina una illegittima compromissione di diritti fondamentali legati alla tutela della famiglia e dei minori, in violazione sia degli artt. 2,3,29,30 e 31 Cost., sia dell’art. 8 CEDU come applicato dalla Corte di Strasburgo, integrante il parametro di cui all’art. 117 Cost..

Non è stata quindi affatto ammessa una deroga a favore di stranieri privi delle condizioni sostanziali necessarie per ottenere il ricongiungimento familiare, che, peraltro, nella prospettiva del nostro legislatore (art. 29 T.U.I.) ha ad oggetto un nucleo che comprende solo i coniugi non legalmente separati, i figli minori, e, a determinate condizioni previste dall’art. 29, comma 1, lett. c) e d) anche i figli maggiorenni e i genitori a carico.

I fratelli entrambi maggiorenni non rientrano quindi nella nozione di famiglia rilevante ai fini del ricongiungimento familiare, tanto è vero che possono ottenere il permesso per motivi familiari solo a norma del combinato disposto del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28 e dell’art. 19, comma 2, lett. c) T.U.I. (che impone il requisito della convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana) o eventualmente a norma del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 3, comma 2, lett. a), (attuativo della direttiva 2004/38/CE) – applicabile anche ai cittadini italiani in virtù dell’art. 23 Legge cit. – che consente l’ingresso o il soggiorno in territorio comunitario di “ogni altro familiare”, qualunque sia la cittadinanza, non definito all’art. 2, comma 1, lett. b), solo se è a carico o convive nel paese di provenienza con il cittadino dell’Unione.

Nè, peraltro, può comunque prospettarsi una lesione, nel caso di specie, dell’art. 8 CEDU, che, come detto, tutela il rispetto della vita familiare.

Infatti, se è pur vero che il concetto di “vita familiare”, nella recente interpretazione della Corte EDU è stato progressivamente esteso, tanto da farvi rientrare anche situazioni di comunione affettiva di persone anche non legate da un vincolo giuridico (come, ad esempio, l’unione di fatto di coppia omossessuale), tuttavia, non vi è dubbio che la relazione tra due fratelli entrambi maggiorenni, tra i quali non si sia neppure instaurata una convivenza, non rientri nella nozione di “vita familiare”, occorrendo, a tal fine, la prova rigorosa di legami personali effettivi, ovvero di una concreta condivisione della vita in comune, situazione che può, al limite, presumersi solo in presenza di una effettiva convivenza tra i fratelli medesimi.

Va, pertanto, formulato il seguente principio di diritto:

“La relazione tra due fratelli entrambi maggiorenni e non conviventi non è riconducibile alla nozione di “vita familiare” rilevante a norma dell’art. 8 CEDU, difettando ogni elemento presuntivo dell’esistenza di un legame affettivo qualificato da un progetto di vita in comune, con la conseguenza che, affinchè un fratello possa ottenere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare ad altro fratello o sorella, è necessario il requisito della convivenza effettiva, come prescritto dal combinato disposto del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28 e dell’art. 19, comma 2, lett. c) T.U.I.”.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00, oltre S.P.A.D..

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2020

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