Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7427 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 17/03/2021), n.7427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25484 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata

ricorrente;

contro

D.M.N., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. Cesidio Gualtieri, presso il

cui studio in Roma, via Felice Barnabei, 5 è elettivamente

domiciliato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Abruzzo, n. 142/02/2013, depositata in data 8 luglio

2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Gianna

Galluzzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a D.M.N. tre avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, aveva contestato maggiori redditi di impresa non dichiarati relativi all’attività di agente di Karnak s.a., società avente sede nella Repubblica di (OMISSIS), in base all’assunto che lo stesso aveva ricevuto provvigioni “in nero”, mediante versamenti in un conto corrente a lui intestato presso un istituto di credito sanmarinese ed usufruito mediante l’uso di un bancomat; avverso i suddetti avvisi di accertamento il contribuente aveva proposto ricorso, deducendo che non vi era alcuna prova dell’intestazione del suddetto conto a suo favore e che la documentazione posta a fondamento della pretesa non era idonea a dare la prova dei fatti contestati; il giudice di primo grado aveva rigettato il ricorso, avendo ritenuto che la documentazione era, invero, idonea a dar prova dei fatti contestati; avverso la suddetta pronuncia il contribuente aveva proposto appello.

La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo ha accolto l’appello.

In particolare, ha ritenuto che: la documentazione prodotta dall’Agenzia delle entrate non era idonea a provare la esistenza del maggior reddito non dichiarato in quanto i vari passaggi di controllo da parte degli organi della Guardia di finanza mancavano di quella “necessaria conseguenzialità tale da potere addivenire a sufficiente certezza circa l’effettivo reddito percepito dal ricorrente e presuntivamente non dichiarato ritenere raggiunta, con sufficiente certezza, l’effettivo reddito percepito e presuntivamente non dichiarato”; nè, a tal proposito, poteva darsi rilievo probatorio alla documentazione extracontabile acquisita; inoltre, i controlli eseguiti non avevano consentito di individuare la carta bancomat dell’istituto di credito sanmarinese che, secondo l’assunto dell’amministrazione finanziaria, consentiva di attingere agli importi versati “in nero” dalla società mandante.

L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito il contribuente con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di parte controricorrente di inammissibilità del ricorso in quanto nel corpo dell’atto introduttivo non risultano trascritte e indicate le motivazioni della sentenza censurata, atteso che, invece, la sentenza censurata, oltre che depositata, risulta trascritta, nella sua parte motiva, a pag. 5, del ricorso, nel quale, peraltro, sono stati riportati, nella parte in fatto, le ragioni giustificative della pretesa, le prospettazioni delle parti, lo svolgimento dei giudizi di merito, consentendo, in tal modo, a questa Corte di apprezzare le ragioni delle doglianze proposte.

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e dell’art. 2697, c.c., per non avere valutato se, nell’ambito dell’accertamento induttivo compiuto, gli elementi di prova prodotti dall’amministrazione finanziaria avessero i requisiti della gravità, precisione e concordanza idonei a ritenere fondata la pretesa della esistenza di un maggior reddito imponibile non dichiarato.

Il motivo è fondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di accertamento tributario, relativo sia all’imposizione diretta che all’Iva, la legge (rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Di conseguenza, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, impugnabile in cassazione non per il merito, ma per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono (Cass. civ. 23 aprile 2010, n. 9784).

Nel caso di specie, tale complessiva e specifica valutazione degli elementi allegati dall’Ufficio non risulta effettuata dal giudice del gravame, che si è limitata ad affermare che, nel caso di specie, la documentazione extracontabile rinvenuta, in particolare il partitario di cui all’allegato 2/B, non poteva condurre a “conclusioni tali da potere ricostruire il fatto come, nella sua complessità, valutato dall’ente accertatore”, e che, inoltre, non era stata data prova della esistenza della carta bancomat al fine di un utilizzo degli importi versati presso un istituto bancario sito in (OMISSIS).

Secondo quanto riportato nel ricorso dell’Agenzia in ossequio al canone di autosufficienza, risulta invece che, nel caso di specie, all’interno di un corriere (OMISSIS), erano stati rinvenuti cinque scatoloni contenenti numerosi plichi provenienti da diverse società facenti parte del gruppo Karnak Service srl, Titanedi sa, Unika srl, Greka s.a. e K Consulting srl di (OMISSIS), che contenevano mastrini contabili, estratti bancari di istituti di credito sanmarinesi afferenti provvigioni corrisposte ad agenti di commercio.

Con riferimento alla posizione del contribuente, inoltre, risulta acquisita comunicazione con la quale K Consulting s.r.l. informava il suddetto dell’avvenuto bonifico provvisionale relativo al mese di novembre, nonchè una scheda contabile, denominata “Situaz. Costi distribuzione mese: gennaio 2008”, (OMISSIS) nelle quali risultava l’indicazione di provvigioni corrisposte al contribuente oltre all’indicazione di estremi di due bonifici bancari in suo favore, per importi non interamente risultanti dall’estratto conto esibito dal contribuente.

Va quindi precisato che, secondo questa Corte, la c.d. contabilità “in nero” risultante da brogliacci o appunti personali o informali dell’imprenditore costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge, con conseguente onere a carico del contribuente di fornire la prova contraria (Cass. civ., 4080/2015; Cass. civ., 20451/2011; Cass. civ., 17627/2008).

Nel caso di specie non risulta che sia stata effettuata una adeguata e complessiva valutazione di tutti gli elementi presuntivi posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento induttivo, dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 39, comma 1, lett. d), e delle contrarie deduzioni del contribuente, in tal modo incorrendo la sentenza censurata nel vizio di violazione di legge.

Nè rileva quanto eccepito dal controricorrente in ordine al fatto che il motivo di ricorso in esame comporterebbe una non legittima rivalutazione degli elementi di prova da parte del giudice del gravame.

In realtà, quel che non è corretto, nella decisione del giudice di secondo grado, è la applicazione dei principi in materia di prova presuntiva di cui all’art. 2729, c.c., in particolare la valutazione della idoneità inferenziale dei diversi elementi indiziari, considerati nella loro globalità, al fine di potere ritenere se il fatto non certo sia provato oppure no.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in particolare per non avere pronunciato sulla questione relativa al recupero dell’Iva.

Il motivo è fondato, per quanto di ragione.

Va considerato, in primo luogo, che in sentenza si dà atto della circostanza che in sede di appello era stata prospettata dal contribuente la questione della illegittimità della pretesa dell’Iva, in particolare lo stesso aveva evidenziato, contestando la pronuncia del giudice di primo grado, che il rapporto con la società estera non poteva determinare l’applicazione dell’Iva in quanto la controparte negoziale era una società estera e non anche una società avente sede nel territorio italiano.

Sul punto, il giudice del gravame non si è pronunciato, avendo unicamente esaminato la questione della mancata dichiarazione dei maggiori redditi provenienti, secondo l’assunto della amministrazione finanziaria, da provvigioni ricevute in “nero”.

Sebbene il presente motivo di ricorso sia stato rubricato quale censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e dunque per vizio di motivazione, va considerato che, in realtà, tenuto conto del contenuto dello stesso, il ricorrente si duole della mancata pronuncia su di una questione che era stata prospettata alla valutazione del giudice del gravame.

Sotto tale profilo, il motivo deve essere riqualificato quale ragione di censura proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e, sotto tale profilo, lo stesso è fondato, in quanto non risulta alcuna statuizione della sentenza impugnata sulla questione suddetta, afferente la sussistenza del requisito della territorialità dell’Iva con riferimento alle prestazioni di servizio effettuate.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, in tema di territorialità per le intermediazioni di servizi ai fini del pagamento dell’Iva.

Il motivo in esame è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

In conclusione, sono fondati il primo e secondo motivo, assorbito il terzo, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza censurata con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite.

PQM

La Corte:

accoglie il primo e secondo motivo, assorbito il terzo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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