Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7425 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 337/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/05/2005 r.g.n. 647/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Verona, regolarmente notificato, G.R., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e dall'(OMISSIS) al (OMISSIS) per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava che i motivi indicati nel contratto concluso non rientravano nell’ambito delle ipotesi previste, ai sensi della L. L. n. 56 del 1987, art. 23, dall’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, così come integrato con l’accordo collettivo del 25 settembre 1997 e che, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 23.9.2003 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato dei rapporti in questione, a decorrere dal 16 giugno 1999, condannando la società convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, con accessori, dal 9.4.2003, data di offerta delle prestazioni.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 12.4.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava che l’assunzione in parola, pur essendo stata dichiarata come effettuata ai sensi della disciplina legale vigente ed a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e dei successivi accordi integrativi, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni della stipulazione a termine sottese alla previsione – astratta e di natura programmatica – dell’accordo collettivo; ed in particolare mancava la necessaria specifica indicazione della incidenza della manovra riorganizzati va indicata nel predetto contratto con riferimento al luogo, al tempo, alle mansioni o posizione di lavoro attribuite alla lavoratrice interessata. Rilevava altresì che i contratti erano stati stipulati quando era scaduta la stessa possibilità di assunzione per l’ipotesi di cui all’accordo collettivo 25.9.1997; possibilità prevista sino al 31.1.1998 e prorogata sino al 30.4.1998.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione la Poste Italiane s.p.a con sei motivi di impugnazione.

La lavoratrice intimata non ha svolto attività difensiva.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che erroneamente, la Corte territoriale aveva rigettato, con motivazione comunque insufficiente, l’eccezione di scioglimento del rapporto per effetto di mutuo consenso espresso dalle parti per facta concludentia. Ciò in quanto la inerzia del lavoratore protrattasi per un cospicuo lasso di tempo dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto, costituisce implicita manifestazione di consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare osserva che la Corte territoriale, dopo avere ritenuto che l’accordo sindacale del 25.9.1997 era stato concluso sulla base della delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, rilevando che quest’ultima norma aveva lasciato “piena autonomia alle parti collettive nella individuazione delle stesse ipotesi”, e dopo aver ritenuto che la pacifica esistenza di un piano di ristrutturazione aziendale di lungo periodo costituiva una legittima causale per la stipulazione di contratti a termine, aveva contraddittoriamente affermato che tale previsione sarebbe invalida qualora non imponesse che ogni assunzione a termine fosse giustificata dalla situazione particolare del singolo ufficio di assegnazione.

Col terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare la Corte territoriale, dopo aver affermato che la delega conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, attribuiva alla contrattazione collettiva un “delega in bianco” nella individuazione delle ipotesi di assunzione a termine, aveva contraddittoriamente negato tale ampiezza richiedendo l’introduzione di un rigido limite temporale di validità alla stipula di tali contratti.

Col quarto motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, nonchè della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23; art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare osserva che in maniera contraddittoria la Corte territoriale, dopo aver rilevato che l’accordo sindacale del 25.9.1997 era stato concluso sulla base della delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 e che questa norma lasciava piena autonomia alle parti collettive nell’individuazione delle stesse ipotesi, ha ritenuto che l’interpretazione fornita dalla società datoriale dell’accordo predetto comporterebbe una inammissibile subordinazione delle legittimità di tali assunzioni a termine alla previsione di un limite temporale, introducendo un elemento non previsto dal dettato normativo di cui alla predetta L. n. 56 del 1987, art. 23.

Col quinto motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e degli artt. 1362 e segg. c.c., nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione; art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., e, in particolare, ricercando la volontà comune delle parti nello stipulare l’integrazione all’art. 8 CCNL 1994, deve concludersi che gli accordi collettivi non fissano alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine. E pertanto la Corte territoriale, ritenendo di reperire il siffatto limite temporale in alcuni verbali sindacali, aveva erroneamente disatteso il precetto normativo posto che la delega all’autonomia collettiva contenuta nella legge era testualmente limitata alle “ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali appartenenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, mentre i verbali sindacali non avevano chiaramente dignità di contratto collettivo.

Col sesto motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 c.c.; art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data delle pretesa messa in mora, e cioè dalla data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, incorrendo in tal modo nella palese violazione dei principi e delle norme di legge sulla corrispettività delle prestazioni, avendo la giurisprudenza evidenziato che in caso di trasformazione in unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine, gli intervalli non lavorati fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione.

Rileva il Collegio che il gravame proposto dalla società ricorrente è infondato e deve essere pertanto rigettato, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamele affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Il ricorso tuttavia non può trovare accoglimento.

Invero nel quadro sopra delineato, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (e la Corte territoriale ha rilevato che, comunque, che i contratti erano stati stipulati quando era scaduta la stessa possibilità di assunzione per l’ipotesi di cui all’accordo collettivo 25.9.1997, possibilità prevista sino al 31.1.1998 e prorogata sino al 30.4.1998), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18383; Cass. sez. lav., 14.4.2005 n. 7745; Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 1.10.2007 n. 20608; Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979;

Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Con numerose sentenze questa Corte Suprema (v., ex plurimis, la predetta sent. n. 18378 del 23.8.2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che avevano dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25.9.1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione), dopo il 30.4.1998. Ed invero, premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, configura – per come detto – una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento ai distinti accordi attuativi sottoscritti dalle parti sociali, ha ritenuto che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.1998 (e poi, in base ad ulteriore accordo attuativo, fino al 30.4.1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, di talchè deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.1998 in quanto privi di presupposto normativo. Ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti.

In base al detto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 21.3.2007 n. 6703), va confermata la nullità della apposizione del termine ai contratti de quibus, conclusi, ex art. 8 CCNL 1994 e accordo collettivo 25.9.1997, successivamente al 30.4.1998, restando assorbita ogni ulteriore censura sul punto.

I motivi di cui ai punti due, tre, quattro e cinque del proposto gravame non possono pertanto trovare accoglimento.

Deve essere rigettata anche l’ulteriore censura proposta dalla società ricorrente, concernente la declaratoria, nella sentenza impugnata, dell’infondatezza della tesi dell’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione al tempo trascorso tra la scadenza dell’ultimo contratto a termine e la manifestazione della volontà del lavoratore di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.

Ed invero, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17.12.2004 n. 23554) nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. Orbene, nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che l’intervallo di un certo lasso di tempo fra la cessazione dell’ultimo rapporto e l’atto di costituzione in mora non consentiva di ritenere, in assenza di qualsiasi altra circostanza univoca, l’esistenza di una volontà chiara e certa di dismissione del rapporto, atteso che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non era sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso; e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

Del pari infondato è il sesto motivo di gravame.

Osserva il Collegio che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 14381 dell’8.10.2002, hanno precisato che, nell’ipotesi di “illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro, al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo, non spetta la retribuzione finchè non provveda ad offrire la prestazione medesima, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro”. Sulla base di questo enunciato, deve affermarsi il diritto alla retribuzione, pur in assenza di prestazione lavorativa per fatto addebitabile al datore di lavoro, allorchè il dipendente abbia formalmente posto a disposizione del datore di lavoro la propria prestazione lavorativa.

Ed invero l’illiceità del termine apposto al contratto, pur determinando, di per sè, la modificazione della natura del rapporto (in rapporto di lavoro a tempo indeterminato), non determina il sorgere del diritto alla retribuzione.

Questo diritto presuppone, in assenza della prestazione, l’offerta della prestazione stessa, anche quale espressa disponibilità a rientrare al lavoro.

E poichè la richiesta di tentativo di conciliazione reca la volontà di giungere alla risoluzione della controversia anche attraverso attuazione del diritto dedotto dalla parte istante (prestazione lavorativa), la richiesta di conciliazione sulla base della pretesa illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro reca in sè la disponibilità a protrarre con il contratto la relativa esecuzione (Cass. sez. lav., 7.12.2007 n. 25657).

A ciò deve aggiungersi che nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato, nella parte relativa allo svolgimento del processo, che “con lettera raccomandata ricevuta dalla società il 9 aprile 2003 la ricorrente chiedeva alla s.p.a. Poste Italiane di essere riammessa in servizio offrendo la prestazione lavorativa”.

Il proposto gravame va pertanto rigettato. Nessuna statuizione va adottata il ordine alle spese di giudizio non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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